Menu

Zeffirelli: una fanfara mediatica da basso impero per un regista mediocre

Da alcuni giorni, ormai, le televisioni e la stampa ci ammorbano con la morte e i funerali di Franco Zeffirelli.

Una fanfara mediatica da basso impero, che sta letteralmente martoriando coscienze e intelligenze, ormai assuefatte a qualunque merce culturale, o pseudo tale, gli venga propinata.

Mi chiedo, infatti, cosa mai abbia fatto Zeffirelli di grande, nel cinema e per il cinema, italiano e internazionale, che possa giustificare una tale commozione nazionale, un tale afflato memorialistico e un così vasto piagnisteo luttuoso, se non frequentare i salotti buoni della politica, di destra principalmente; ma anche della nostra odierna sinistra liberal. Sempre meno radical e sempre più chic.

D’altronde, non ha mai avuto, il regista toscano, il tocco vellutato, profondo, poetico del grande autore. O, di converso, lo spirito abrasivo, urticante, critico e iconoclastico dell’intellettuale impegnato.

Non possedeva la lucida oggetività dello sguardo, propria del cinema dinchiesta, sociale e politico. Non aveva la pietas necessaria per dipingere affreschi esistenziali, con la tavolozza dei colori della tragica commedia umana. Non era dotato della necessaria freddezza, utile a maneggiare quel bisturi che gli avrebbe permesso di vivisezionare l’animo dei suoi personaggi, al fine di indagarne sentimenti, passioni, meschinità, psicologie.

Neanche la brillantezza caleidoscopica e la freschezza inventiva e semiologica del cinema postmodernista – e fieramente liberista – gli apparteneva.

Non possedeva l’ ampiezza di respiro e la stratificazione narrativa del primo Bertolucci. Non la magnificenza visionaria di un Fellini. Non aveva il talento, nel cogliere il dinamismo della realtà, di un Bellocchio. Gli mancavano l’arguzia ironica e la cultura sociale di un Germi, per scandagliare, tra le pieghe, il sentimento piccolo-borghese dell’ italiano medio. E anche sul terreno di quel melodramma, che tanto amava, non era in grado di toccare le vette del pathos umano, vibranti sullo sfondo della Storia, cui sapeva giungere Visconti.

Gli mancava la sensibilità lirica del cantore neorealista, che invece apparteneva a De Sica. Non era provvisto di quella cultura materialista, che gli permettesse di coniugare i processi storici con la vicende singolari e soggettive, di cui era, invece, superbamente dotato Rossellini. Mancava di quelle capacità documentaristiche e inchiestistiche, in cui eccelleva Rosi.

Il suo animo e la sua intelligenza artistica non riuscirono mai a toccare le corde di quell’ intimo sentire cristiano, popolare e borghese, che, da par suo, viceversa, riusciva a far risuonare, senza retorica, un autore come Olmi. Era sprovvisto dell’incanto realistico e magico dei fratelli Taviani. Furono assenti, nel suo percorso, il grido della solitudine umana, l’incomunicabilità, la seduzione corruttrice della società dei consumi e la conseguente critica borghese che appartennero, contrariamente, ad Antonioni.

Non possedeva lo sguardo d’insieme, politico, corrosivo, grottesco, espressionista, che caratterizzava un regista come Petri. E men che meno gli si potrebbe ascrivere la genialità eretica di quel grandissimo maestro che fu Marco Ferreri. Nulla di tutto ciò, rientrava nel cinema di Zeffirelli.

Era invece, il regista fiorentino, un conservatore. Un sincero reazionario, in materia di scelte artistiche. Sia per quanto concernesse i codici espressivi, sia sul piano della sua cifra stilistica. Ma anche e soprattutto, Franco Zeffirelli fu reazionario, lui omosessuale, in tema di diritti omosessuali.

Fu, infatti, decisamente contrario ai matrimoni gay e alle adozioni da parte di coppie omogenitoriali. Chiariamoci, giusto per non creare equivoci. Noi non siamo, per nostra cultura, a favore della cosiddetta famiglia borghese. Tutt’altro. Ma in una società, di fatto, incentrata sui valori borghesi della famiglia tradizionale, e intrisa di morale cristiana, il matrimonio tra persone dello stesso sesso ci sembra che vada a scardinare quel moralismo cattolico e benpensante che avversiamo e condanniamo, perché esso stesso all’origine del detestabile modello di famiglia patriarcale, eterosessuale e socialmente “normalizzata”.

Dunque, si diceva, regista mediocre, il toscano. Autore estetizzante, manierista, melenso, melodrammatico, ideologicamente borghese, lezioso e privo di qualunque tratto di originalità, Zeffirelli aveva – ci sembra di poterlo affermare con animo sereno – una concezione ottocentesca, nel senso più deteriore, del teatro e del cinema. Retrograda e inquadrabile nell’ottica di una cultura formalistica, descrittiva, erudita, arcadica.

Amante, com’è noto, dell’Opera Lirica, il suo cinema era giustappunto paragonabile alla retorica ampollosità di certe opere di Verdi. Le sue erano regie essenzialmente artificiose, inautentiche e conformi al gusto dominante.

Insomma, con un azzardo polemico e un accento ironico, avvalendoci di un’arbitraria estensione semantica, potremmo definire il cinema estetico ed estetizzante di Zeffirelli uno pseudo cinema kantiano. Con riferimento, ovviamente, al concetto di Bello espresso dal gigante di Königsberg nella sua Critica del giudizio.

Un cinema, pertanto, intellettualmente disimpegnato, disinteressato, a-finalistico, incarnazione di quella pulchritudo vaga che ben sembra attagliarsi all’arte dei nostri tempi. Tempi di merce, di mercato, di svago. Un’idea dell’arte inaccettabile per chi si professa seguace di teorie estetiche riconducibili a Benjamin, Adorno, Lukàcs. E di un’idea di cultura marxiana, sganciata dall’autovalorizzazione del Capitale.

I suoi film sembrano puri esercizi di stile e di maniera. Il suo Fratello sole sorella luna è un ritrattino agiografico privo di qualunque pathos, di qualunque sofferenza intima e dunque di qualunque tensione alla trascendenza, che pure fecero della vita del santo di Assisi quella parabola tanto complessa ed eretica all’interno della storia stessa del cattolicesimo.

A Shakespeare Zeffirelli tolse poesia, sangue, nervi, conflitto, emozione, tragedia, vis comica e, soprattutto, quell’inattualità propria dei classici, che li rendono nostri contemporanei. Per citare proprio un saggio dedicato al Bardo di Stratford, da Jan Kott, dal titolo Shakespeare nostro contemporaneo.

Ne relegò, invece, contenuti, tematiche, poetica, all’interno di una cornice illustrativa, mielosa e neo-romantica: il suo Romeo e Giulietta risulta irritante, in tal senso; un quadro di barocca spettacolarità hollywoodiana, scenograficamente sontuoso, infarcito di puro accademismo formale e svuotato, pertanto, di qualunque densità emotiva e psicologica, come nel caso dell’Amleto.

Mentre il suo biondissimo Gesù di Nazareth, era un condensato di infantile ingenuità favolistica, di arrogante iconografia ariana e pervaso da un grottesco stupore messianico e miracolistico. Il pur bravo Robert Powell, in poche parole, sembrava la copia dell’immenso Robert Plant che, in preda a un acido, camminava sulle acque.

Anche se, devo ammetterlo con malcelato fastidio, ne rivedo sempre con piacere alcune scene, quando lo trasmettono, perché mi riporta indietro nel tempo. Ai miei dieci anni.

Degli altri film che ho visto non parlo, per risparmiare a me e a chi legge il tedio di ulteriori giudizi negativi. Storia di una Capinera mi dicono sia un buon film ma, sinceramente, mi sono rifiutato di visionarlo. Forse lo farò.

Dunque, per concludere. La morte di Zeffirelli non lascia, a nostro modesto avviso, nessun vuoto nella storia del cinema, del teatro e della cultura di questo paese.

Un paese già abbondantemente immiserito, nel suo patrimonio intellettuale e artistico, da un’ondata reazionaria che lo sta trascinando nelle secche di un convenzionalismo ripugnante e pericoloso, su cui estende la sua longa manus il verbo assoluto del mercato. Un convenzionalismo che qui da noi si declina con tutti i crismi della Kultura catto-fascista, maschilista, patriarcale e sciovinista.

Una cultura, dobbiamo dirlo, alla cui persistenza ha contribuito anche Franco Zeffirelli!

- © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO

Ultima modifica: stampa

11 Commenti


  • Giuseppe

    Anche se non l’ho follemente apprezzato, e mi sono sempre ritrovato politicamente distante da lui, devo dirle che a mio parere le sue considerazioni sono esagerate
    Ad ogni modo ognuno è libero di esprimere il proprio pensiero.


  • Elisa

    Mostrare dissenso e antipatia con classe è un’arte non scontata e questo articolo lo dimostra. Che tristezza questa malevolenza post mortem, questo elenco particolareggiato di registi che sembra redatto solo per sminuire il soggetto di cui si dovrebbe parlare. Con questo articolo è riuscito nella difficile impresa di rendermi simpatico Zeffirelli, di cui tutto si può dire, ma non che non fosse geniale,


  • Stefano B

    Questo articolo lascia di proposito da parte la parte più importante della carriera di Zeffirelli, quella dedicata all’opera. Le productions di Zeffirelli hanno segnato un’epoca e sono ancora riproposte ovunque nel mondo.
    La cosa che più mi infastidisce di questo tipo di articoli è che sono intenzionalmente parziali, descrivono solo quello che serve per rinforzare un concetto.
    Lo dico da gay, sposato e di sinistra, questo articolo non rende giustizia a quello che è stata la figura di Zeffirelli.


  • Marco Freddi

    Che Zeffirelli non sia stato il più grande regista italiano direi che sia chiaro a tutti, ma che sia stato così immensamente negativo direi che è una vera esagerazione. Ed è interessante notare che, per poter abbattere meglio la sua figura artistica si sia ricorsi ancge alka detrazione inutile e plateake del più grande ooerista italiano di tutti i tempi, quel Giuseppe Verdi le cui opere sono da considerare quali esempi di critica sociale e, a vokte anche feroce, e musicalmente di una qualità quasi inarrivabile.
    Sul fatto che, da omosessuale, Zeffirelli fosse un reazionario (e non solo sulle questioni riguardanti i gay), non mi stupisco, figlio com’era di certa cultura cattolica molto calata nella tradizione, ma questo non toglie nulla alle capacità registiche.
    Nel complesso, trovo che dissentire sucqualsuasi cosa sia giusto e auspicabile (l’omologazione è ka morte della cultura), ma deve semore essere fatto con le dovute maniere, senza cadere nel livore che invece ho percepito in questo articolo.


  • Daisy

    Per utilizzare una frase tratta dal mondo della lirica, tanto caro al Maestro Zeffirelli, “Un bel tacer non fu mai scritto..”


  • giovanni

    Zeffirelli regista di cinema semplicemente non esiste, è un regista teatrale (o meglio, regista di opere, che non è affatto la stessa cosa) prestato al cinema.


  • Umberto

    Quando il colore politico è un filtro che ti fa vedere le cose in modo distorto.


  • Claudia Gai

    sono d’accordo con il contenuto di questo articolo, non ci trovo cattiveria o malevolenza ma solo la verità e mi stupisce che sia simile all’opinione che ho sempre avuto nei confronti di Zeffirelli. regista.


  • Antonello Chichiricco

    Zeffirelli con quel suo sfottò, prosopopeico, impudentemente conservatore e reazionario mi è sempre stato molto antipatico. Ma in effetti ridurlo a paccottiglia fascistoide con iniqui paragoni con tanti grandi autori di cinema di altre sponde politiche (ti sei scordato il gigante Pasolini) – paragoni da cui ovviamente esce massacrato – mi pare gratuito e esagerato. Zeffirelli come l’altro destrorso, Squitieri, qualche piccolo merito l’ha avuto anche lui (certo che quelli di destra per trovare qualcosa di valido son costretti a raschiare il fondo del barile), vedi per esempio, di quest’ultimo, “E li chiamarono briganti”, una verità storica rimossa dalla sinistra “istituzionale”. Di Zeffirelli ti consiglio la visione – possibilmente senza preconcetti – dell’ottimo “Jane Eyre” (1996), secondo me il suo miglior film. Un opera apprezzata anche da alcuni di vera sinistra come il sottoscritto.


  • sandro

    non si tratta di malevolenza post mortem, personalmente ho sempre pensato che Zeffirelli non abbia aggiunto nulla alla storia del cinema italiano (ma anche del teatro o dell’opera lirica).
    Solo l’appartenenza culturale alla peggiore destra italiana, che ne ha fatto un proprio simbolo ha consentito a Zeffirelli di ottenere l’immeritato successo.


  • Francesco

    Quoto ogni considerazione dell’autore, che del resto ha riconosciuto a Zeffirelli i suoi meriti di carattere puramente tecnico, pur fotografandone con precisione l’estetica. Morvillo non ha parlato di un incapace – del resto Zeffirelli era un regista teatrale e cinematografico preparato – ma di un artista consolatorio e rassicurante, legato a un linguaggio molto convenzionale e a un’idea di bellezza canonizzata e un po’ retriva. Se si apprezza un approccio simile si apprezzerà – giustamente – anche l’estetica di Zeffirelli. Il regista era l’equivalente di un poeta che sforna endecasillabi con una facilità impressionante per ingraziarsi le simpatie del pubblico che nella poesia cerca solo una maestria tecnica puramente “classica”, una forma di epsressione che rispecchi l’idea più condivisa di ciò che è “bello” (azzeccati i riferimenti a Kant e e l’aggettivo araldico). Naturalmente la sua analisi è contestabile, come ogni giudizio critico (non esiste la verità, in questi ambiti, ovviamente), ma credo si debba farlo entrando nel merito e non berciando ai “Comunisti!!11!!1). Purtroppo il berlusco/renzo/salvinismo hanno fatto più danni di uno tsunami anche quando si parla di analisi critica in materia artistica.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *