È proprio vero che, oramai, i negri pensano di poterla fare da padrone. Non solo ci invadono. Non solo ci tolgono il lavoro. Non solo stanno contaminando la nostra razza. Non solo deturpano il nostro decoro urbano. Non solo inquinano i nostri mari con i loro sbarchi ed annessi annegamenti. Ora, poi, pensano addirittura di poterci comprare, aggiungendo un surplus di inquinamento marittimo, mediante rifiuto speciale. Non bastano, i loro sporchi corpi!
No, qui a Contropiano non ci siamo improvvisamente convertiti al verbo salviniano e fascioleghista. Non abbiamo abbracciato, di punto in bianco, il malthusianesimo, il darwinismo sociale, le teorie sull’eugenitica o il razzismo biologico di matrice nazionalsocialista.
Stiamo solo giocando, sul filo del paradosso a fini sarcastici – teso e aperto sull’abisso del razzismo – per introdurre un ragionamento in merito ad un evento che, in questi giorni, ha tenuto banco sui social e sui media italiani.
Un sarcastico paradosso stimolato dall’episodio della scommessa, avvenuto qualche giorno fa, a Napoli, presso il molo di Mergellina, e che ha visto protagonisti il ricco calciatore di colore, Mario Balotelli, e il certo meno ricco, bianco ma terrone, barista partenopeo, di nome Catello.
E allora, continuando lungo la catena del paradosso, come definire la balotellata se non come il gesto arrogante, e financo sprezzante, di una nuova razza padrona? Anche qui, naturalmente (si faccia attenzione!) estendendo, con intenti stranianti, il valore semantico del concetto di “razza”, divaricandone le possibilità interpretative.
Cerchiamo di capire.
In un video, divenuto immediatamente virale sui social, si vede un dinoccolatissimo Supermario – non nuovo a certe spacconate – con fare da ricco rapper del Bronx e postura da vecchio guappo napoletano, mettere mano alla proverbiale tasca e allungare 2000 euro al già citato Catello – barista del Molosiglio – che le avrebbe potute passare nelle di lui tasche, se solo avesse avuto il coraggio di gettarsi col suo mezzo (motorino in napoletano) nelle acque antistanti il molo.
Scommessa accettata, tra l’ilarità compiaciuta degli astanti e i gridolini da groopies di alcune fanciulle. E vinta, ovviamente. Perché Catello, da buon maschio latino, anzi napoletano, non poteva rifiutare. Non poteva sottrarsi alla sua macha spavalderia.
Ma soprattutto, non poteva rinunciare a 2.000 euro buttati praticamente nel cesso.
Ed è proprio sull’aspetto economico, maschile, ma indissolubilmente legato, secondo noi, anche alla “questione razziale” – nel caso di Balotelli – e ai suoi profondi risvolti psicologici, che la vicenda, nella sua pur totale stupidità, lascia affiorare alcuni intertogativi.
Dicevamo all’inizio, giocando sul paradosso, che “i neri, ormai, ci comprano e si comportano da padroni”.
Cos’altro ha voluto dimostrare, infatti, Balotelli, ragazzo dall’infanzia difficile, nero in un paese attraversato da fortissime pulsioni razziste, devastato da una forbice sociale sempre più ampia tra ricchi e poveri, culturalmente maschilista, se non di essere lui, il ricco, il potente, il maschio dominante?
Lui, che può permettersi di stracciare 2.000 per comprarsi un futile divertimento momentaneo, trattando da servo/clown un bianco, sottoproletario, per giunta terrone?
D’altra parte, quando le polemiche sono cominciate a fioccare, lo stesso Balotelli si è difeso, affermando che quella scommessa doveva essere letta come un gesto di solidarietà verso chi conduce, senz’altro, un’esistenza più misera della sua. Insomma, un Mario Balotelli in veste di benefattore, verso chi è costretto a faticare sotto padrone per campare la vita.
In breve, stando alle parole di Balotelli, questa vicenda andrebbe letta come un apologo. Una sorta di riscatto sociale a doppio senso. Per il nero Supermario – figlio di immigrati ghanesi e, per ragioni economiche, affidato, da loro, ad una bianca famiglia di Brescia – divenuto ricco al punto di comprarsi anche un uomo, per trasformarlo in personale oggetto di svago e divertimento.
E per il buon Catello, povero terrone napoletano, ma furbo al punto di rendersi oggetto di divertimento, per Balotelli e per gli astanti, pur di ritrovarsi, alla fine, con 2.000 euro in saccoccia.
Peccato che in questa che vorrebbe essere una versione riveduta, corretta e aggiornata di Arlecchino servitore di due padroni, i due protagonisti finiscano per apparire, invece, come grottesche maschere cechoviane, immerse in un tempo bloccato e al servizio di un unico padrone. Il Denaro.
Quel Denaro/Capitale che tutto compra, tutto pervade, tutto riduce a merce. Elemento di sopraffazione e discriminazione sociale, ma anche capace, illusoriamente, di livellare i destini. Tiranno di un’epoca il cui unico valore è la sua stessa autovalorizzazione. Costante ontologica in un presente disumanizzato e disumanizzante.
Perciò, nessun riscatto per il ghanese Balotelli e per il napoletano Catello. Schiavi, inconsapevoli o forse coscienti, al soldo e ai capricci del padrone/denaro. E soggiogati dalla peggiore ideologia neoliberista, declinata nei termini del classismo, del razzismo e del machismo più subdoli.
Solo una triste scena di umanità contemporanea. Con le acque del Golfo di Napoli a fare da incolpevoli e ferite spettatrici, di questo difficile rapporto tra Uomo, Capitale e Natura.
Perché, come cantava Pino Daniele: «il mare, il mare, il mare sta sempe llà, tutto spuorco, chino ‘e munnezza e nisciuno ‘o vo’ guardà’»
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Giordano Bruno
Mi piacerebbe chiedervi cosa ne pensate di questo “rendersi oggetto di divertimento”. Perché questa prestazione occasionale a nero viene vista come oggettificante quando chi si esibisce è nel suo pieno arbitrio? A parità di sfruttamento, cosa cambia questo gesto rispetto all’operaio dell’ILVA? (che pro capite inquina pure di più) Non è che in qualche modo siamo anche noi (auto)razzisti a voler necessariamente proiettare dinamiche post-coloniali (che per carità ci sono) secondo un’unica chiave di lettura? (che per carità non è l’unica)
Emanuele
I ricchi, bianchi o neri, non sono mai schiavi del denaro. E se lo fossero, starebbero bene lo stesso.