Il Covid-19 ci ha portato via Manu Dibango, musicista africano che aveva trovato la sua consacrazione internazionale in almeno tre continenti: Africa, America ed Europa.
Nato a Douala, in Camerun, nel 1933, figlio di un funzionario pubblico e di una sarta, arriva a Marsiglia nel 1949 come molti studenti provenienti dalle colonie francesi. Prosegue in seguito i suoi studi a Parigi e a Bruxelles, ma è la musica ad appassionarlo più di tutto. Comincia a frequentare i locali di jazz, dove lo guida il musicista suo compatriota Francis Bebey. Presto scopre le danze afroamericane che dominano a Parigi, il mambo e la beguine antillese.
Il suo strumento d’elezione resta e resterà il saxofono, soprattutto tenore, pur sapendo suonare anche vibrafono e tastiere. Nel 1960 una prima svolta nella carriera di Manu Dibango, quando il famoso cantante zairese Kabasele gli propone di unirsi al suo gruppo, l’“African jazz”, con cui compie diverse tournée in Africa. Sono gli anni della decolonizzazione e tutta l’Africa balla sull’Independence cha cha cha di Kabasele.
Tornato a Parigi nel 1964, affinato il suo stile, Manu Dibango riprende la sua carriera nei locali di jazz, sinché partecipa alla formazione dell’orchestra di Dick Rivers e di quella di Nino Ferrer, prima di tornare in Africa per dirigere l’orchestra della televisione ivoriana.
Il jazz, che Manu Dibango conosce a fondo, resta per lui una fonte d’ispirazione, un substrato da cui partire, ma è vissuto in modo libero e indipendente, mescolato a tanti altri stimoli e generi musicali.
La celebrità arriva, anche in Occidente, all’inizio degli anni settanta, per una via abbastanza insolita. Nel 1972 si deve infatti tenere a Yaoundé la “Coppa dei Tropici”, e il Ministero dello Sport del Camerun gli commissiona un inno per sostenere la squadra nazionale di calcio.
Il Camerun fa poca strada in quella competizione e l’inno è dimenticato. Tuttavia, sul verso del disco prodotto in quell’occasione c’è una canzone che è la reinterpretazione molto personale di uno stile di danza urbana camerunese: la makossa, influenzata dalla rumba zairese come dall’highlife nigeriano e che ha avuto in Francis Bebey uno dei suoi pionieri con la canzone Idiba.
Proprio quella canzone, Soul Makossa, viene acquisita dalla casa discografica americana Atlantic: due anni di successi e due milioni di dischi venduti.
Michael Jackson riprende senza autorizzazione in una sua incisione il refrain della canzone “Ma ma ma , ma ma sa, ma ma makossa” e ne nasce un contenzioso legale risolto con una transazione.
Dagli anni settanta, Manu Dibango è protagonista di tutti i diversi generi della musica nera: l’highlife, il reggae, la danza-rap, la musica afrocubana ed è al fianco di tutti i grandi nomi africani che si affacciano alla scena, come Youssou N’Dour, King Sunny Ade, Ray Lema e i Touré Kunda, ma anche del cubano Eliades Ochoa.
Manu Dibango è stato anche mentore di molti giovani di talento che si sono formati nella sua orchestra e grazie alla sua cultura e al suo carattere franco e carismatico, ambasciatore anziano della musica della diaspora africana degli ultimi decenni.
Sono un uomo diviso. Nato da due etnie antagoniste in quel Camerun dove il costume è dettato dall’origine del padre, non ho mai potuto identificarmi totalmente con nessuno dei miei genitori. Dunque, sono andato incontro agli altri per tracciarmi una via (…). Ero un ponte spezzato tra due mondi. (Manu Dibango)
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