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“Senza Classe”, uno sguardo rassegnato alla metropoli partenopea

Ripercorrere oltre 40 anni di storia sociale non è un esercizio arduo. Quando poi l’oggetto di questo scandaglio strutturale e politico attiene la metropoli partenopea l’obiettivo diventa complesso e i rischi di banalizzazione e di impressionismo diventano una possibilità concreta.

Troppi autori, troppi analisti e troppi narratori che, da sempre, si cimentano nell’interpretare questa metropoli porosa hanno – magari inconsapevolmente – ceduto agli stereotipi di ogni tipo che si producono quando l’oggetto della discussione è la città di Napoli.

Spesso autori con le migliori intenzioni hanno toppato quando il loro sguardo doveva allungarsi oltre il primo impatto, oltre il formalismo ed oltre la tentazione di flirtare con un immaginario ricorrente ed abituale che alligna sulla città.

Senza Classe. La crisi di Napoli, le ferite operaie, la politica, la storia, il futuro.” Edizioni Il Quaderno, è un generoso tentativo di ripercorrere le trasformazioni economiche e sociali e il lungo ciclo politico ed istituzionale il quale, anche attraverso rotture, scomposizioni e ricomposizioni, si è configurato nell’area metropolitana partenopea con variegati esiti nell’intera Campania.

L’autore – Vito Nocera – è un compagno di lunga militanza.

Vito ha dato un contributo nelle organizzazioni che, sul finire degli anni Settanta, si definivano “sinistra rivoluzionaria”, è stato negli anni Ottanta un dirigente nazionale di Democrazia Proletaria e poi – dopo lo scioglimento del PCI – ha avuto ruoli di responsabilità in Rifondazione Comunista.

Oggi Vito – da quel che capisco – è interessato alla ricostruzione di una “Sinistra che si pone il tema del governo” anche se il suo metodo di lavoro e le discussioni che articola mi appaiono lontani dal volgare e dilagante politicismo e da ogni sorta di riperpetuazione di quella autonomia del politico la quale ha costituito una autentica catastrofe teorica per molti compagni.

Il libro di Vito è costruito utilizzando incursioni narrative/riflessive a ridosso di alcuni avvenimenti topici del nostro paese (la fine della Guerra Fredda nell’89/91, le turbolenti trasformazioni del capitalismo italiano, l’esaurimento dei partiti della Prima Repubblica fino alla stagione di Seattle/Genova, del movimento alter/mondialista e la nascita del Centro/Sinistra internazionale, quello di Clinton, Blair e D’Alema) per poi calarsi nel complicato caleidoscopio partenopeo (alcuni ricordi degli anni Settanta, Pomigliano d’Arco: l’Alfa/Sud, la Fiat fino alla neonata Stellantis, il lavoro precario, nero e malsano, la contraddittoria lunghissima epopea dei disoccupati organizzati, Antonio Bassolino e la sua permanenza a Palazzo San Giacomo e a Santa Lucia, gli arancioni e Luigi De Magistris fino alla città odierna, alle sue aporie e all’incipiente frammentazione che percorre rovinosamente l’intera società).

Le divergenze con il compagno Vito Nocera.

Il ragionamento che Vito alimenta nel presentare questi spaccati analitici è – a parere di chi scrive – condivisibile sul versante dell’analisi fenomenologica e nel giudizio su alcuni esiti politici maturati in questi decenni. La mia assonanza con i ragionamenti di Vito è totale anche nell’evidenziare limiti oggettivi di alcune esperienze sociali pur nella loro generosità esemplificativa dal punto di vista del protagonismo popolare e della ricchezza programmatica delle ragioni sociali che si sono espresse.

Ciò che – assolutamente – non mi convince è l’attitudine politica di Vito la quale, da oltre un decennio, si colloca dentro un orizzonte culturale e politico che ha come obiettivo – qui ed ora – la “possibile governance a tutti i costi”.

Nell’azione di Vito (e di tanti altri compagni) si è fatta strada la convinzione che la nostra politica oggi debba tenersi lontana da ogni modalità di opposizione e/o di rottura del quadro di compatibilità economico e politico (imposto dalla gabbia dell’Unione Europea) che grava sul nostro paese.

Del resto le indicazioni politiche del libro – il bilancio storico potremmo definirlo – sono, coerentemente, in continuità sia con il suo passato impegno istituzionale nel Consiglio Regionale e sia con quello politico quando condivideva ruoli di direzione in Rifondazione Comunista in Campania in connessione con la linea espressa da Fausto Bertinotti.

Una linea di condotta che si è cimentata (e consumata) in quel Laboratorio Campano che, sostanzialmente, ha governato la Campania dal 1993 al 2010.

Un ciclo politico nato sulle ceneri di Tangentopoli (che in Campania coinvolse pienamente il PCI e il nascente PDS) con un mandato popolare carico di aspettative che – mano a mano – sono andate disperse e disilluse sotto i colpi di una palese subalternità ai poteri forti (anche internazionali) e attraverso una continua concertazione –  con allegati aspetti affaristici e speculativi – non solo con i De Mita o i Mastella ma con quei settori di borghesia cittadina i quali, senza mai mettere mano al proprio portafoglio, hanno continuato a prosperare ininterrottamente con buona pace della contigua crescita delle diseguaglianze economiche e della polarizzazione sociale.

Non sarà colpa della cattiva sorte se quel ciclo politico si è –  penosamente – chiuso con la moltiplicazione dello strumento dell’Emergenza (e del suo Stato di Eccezione giuridico e istituzionale), con la Monnezza per le strade e con le foto di Napoli ferita ed avvelenata sulle pagine della stampa internazionale.

Ho voluto ricordare questa pagina nera della storia recente di Napoli e della Campania per far – sommessamente – notare che anche in quello snodo politico, a fronte del palesarsi di una crisi ambientale seria, fu scelta la strada della governance a tutti i costi e dell’accordo (suicida) con quei settori dell’imprenditoria e del sistema delle imprese che sono state (e sono tutt’ora) parte dell’irrisolto problema della criminale devastazione dell’eco/sistema della Campania.

L’invito dunque al compagno – nonché vecchio amico – Vito Nocera ad andare più a fondo nell’analisi e nella ricerca, sicuramente anche con caratteristiche inedite, di una ancora attuale prospettiva di riscatto e di rinascita di Napoli e del nostro Meridione.

Autoconfinarsi in una logica – una maldestra coazione a ripetere – di gestione of course della situazione, ripercorrere la prospettiva di conciliare interessi inconciliabili tra loro in una congiuntura politica dove “non è tutto oro quello che luccica” (a cominciare dai fondi del Recovery Plan ) sembra una pratica da Tafazzi la quale provocherà, ulteriori, danni ai settori popolari della società.

Comunque anche se il libro allude a ipotesi di impegno politico e sociale per il prossimo futuro molto diverse da quelle che persegue chi  scrive questa recensione ritengo necessaria la lettura di tale testo e delle riflessioni contenute le quali – in ogni caso – danno conto di una lunga stagione di conflitto e di movimenti sociali che meritano di essere disvelate dall’oblio e oltremodo socializzate alle nuove generazioni.

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