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Il “Decennio maledetto” che ha sconvolto il nostro mondo

Ci sono giorni che valgono anni e anni che valgono un secolo. I dieci anni trascorsi dal 2011 al 2021 hanno indubbiamente sconvolto il nostro mondo, il nostro spazio geografico, sociale, politico e la fase storica in cui ci è toccato di vivere.

E’ appunto un “decennio maledetto” secondo l’autore del libro, in questo caso il direttore del nostro giornale Sergio Cararo. Il volume è diviso in tre sezioni dedicate la prima alle vicende europee, la seconda all’Italia, la terza al Medio Oriente/Mediterraneo.

Qui di seguito riproduciamo l’introduzione del libro uscito nei giorni scorsi a cura delle edizioni L’AD e disponibile sulla piattaforma Youcaprint.it .

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L’ultima spallata, in ordine di tempo, l’ha data la pandemia – o meglio ancora la sindemia  – di Covid 19 con cui stiamo ancora facendo (e continueremo a fare) i conti anche in questo 2021.

Ma i nodi venuti al pettine in questi mesi di pandemia/sindemia, sono andati velocemente accumulandosi, soprattutto nell’ultimo decennio, fino a condensarsi in quella che si configura come una “tempesta perfetta”.

Perché iniziare proprio dal 2011? Perché è l’anno in cui l’Italia comprende chiaramente di essere un Paese “commissariato” dagli apparati dell’Unione europea,  tramite i cui diktat, quest’ultima, ha capitalizzato le accelerazioni già impresse in precedenza con la crisi finanziaria del 2007/2008.

E perché l’intero Mediterraneo Sud è stato attraversato dalle Primavere Arabe – manifestatesi con rivolte, movimenti e colpi di Stato – dalla Tunisia alla Siria, passando per Libia, Egitto, Libano, mentre la ferita di sempre, la questione palestinese, veniva definitivamente rimossa e liquidata dal politicidio israeliano ed internazionale denunciato da tempo da Kimmerling.

Un decennio è, a seconda della prospettiva, un tempo breve e un tempo lungo. Lungo se manteniamo la visione storica del “Secolo breve” di Hobsbawn. Breve se quello che indicammo come “Il piano inclinato”, la sera stessa dell’11 settembre 2001, ha impresso contemporaneamente una velocizzazione delle contraddizioni mondiali e lo stallo nelle possibilità dei principali imperialismi di continuare a governarle e dominarle.

Per l’Italia il biennio 2011/2012 è quello che mette fuori gioco Berlusconi e, soprattutto, liquida l’alibi dell’antiberlusconismo che ha fatto polpette della sinistra.

La lettera della Bce, dell’agosto 2011, spianerà alla strada a quello che, da un certo punto di vista, possiamo definire un golpe controfirmato dall’Unione europea, dai suoi leader politici e dai suoi interessi economico/finanziari.

L’imposizione di Monti come Presidente al consiglio al posto del Cavaliere porta in dote l’obbedienza cieca ai diktat dell’austherity imposta dai poteri decisori della Ue.

Suggellata dall’imposizione di una revisione dell’articolo 81 della Costituzione, che ha istituzionalizzato la tagliola sul pareggio di Bilancio. Mentre Mario Draghi, nello stesso anno, liquida definitivamente il mito del “modello sociale europeo” perché insostenibile.

Decenni di elucubrazioni sulla diversità del “modello capitalista renano”, rispetto alla brutalità di quello “anglosassone”, vengono spazzate via dalla rivelazione che l’Unione europea – e non l’Europa – si reggerà sui dogmi dell’ordoliberismo tedesco piuttosto che sul neoliberismo statunitense.

È un cambio di passo e di paradigma su cui “la sinistra” ha perso del tutto la bussola, finendo con l’allinearsi, o balbettare, su un’illusione europeista che non esiste più da almeno vent’anni. Ma che sopravvive anche grazie alla straordinaria indulgenza e subalternità su questa visione “progressiva” dell’Europa.

Quando, però, l’Europa si è fatta Unione europea – ossia un apparato di comando, governance, gerarchizzazione e concentrazione di interessi capitalistici definiti – le cose sono cambiate strutturalmente.

Al punto tale che se ne sono accorti anche gli Stati Uniti, spinti ad aumentare i fattori di competizione con la Ue su molti campi, fino ai dazi, alle guerre commerciali e alle tensioni dentro la Nato.

Questo libro cerca, in qualche modo, di documentare i passaggi e le conseguenze di questo periodo. In ragione del fatto che un cambiamento dei rapporti di forza tra i principali  poli imperialisti ha sempre un costo assai più pesante sui paesi della periferia e delle rispettive aree di influenza.

Se la gerarchizzazione nella Ue ha condannato i paesi euromediterranei ad una posizione subalterna rispetto al “centro” (la kernel Europa), l’onda d’urto è arrivata con maggiore violenza nei paesi del Mediterraneo Sud.

Abbiamo salutato con interesse le rivolte popolari in Tunisia ed Egitto, ma abbiamo preso le distanze da quanto avveniva in Libia e Siria. Erano situazioni diverse e con obiettivi ben diversi.

Non a caso i primi due sono stati rapidamente stabilizzati (anche con la forza, come in Egitto), mentre Libia e Siria sono state apertamente aggredite dall’interno e dall’esterno per la loro dissonanza rispetto al progetto di stabilizzazione e dalla competizione inter-imperialista nella regione.

Nei capitoli che seguono si prova a spiegare anche queste differenze e l’inaccettabilità di una destabilizzazione che ha come obiettivo la totale subordinazione agli interessi occidentali.

Il libro, diversamente da altri, non è figlio del lockdown. È una raccolta di saggi, interventi, relazioni, articoli scritti nel corso di questi dieci anni, più o meno circolati in passato. Ma che non erano mai stati sistematizzati per offrirne una lettura più lineare ed omogenea.

L’incoraggiamento degli editori, l’emergenza pandemica e, ancora di più di quella sociale, sono stati la spinta per provare a sintetizzare i lavori e a connetterli proprio con le contraddizioni alle quali la pandemia ci sta mettendo di fronte. E che rendono ancora più urgente la rimessa in campo di alternative credibili alla crisi sistemica del capitalismo oggi così evidente.

Nel testo, per ammissione dell’autore, c’è almeno un grande buco: la Cina. Ma occorre su questo essere onesti. L’autore ha scelto di affrontare temi, fronti e teatri che conosce.

Su quelli che non si conoscono bene è meglio leggere cosa scrivono altri autori più informati e approfonditi, magari sostituendo al virus della “tuttologia” la modestia di prendere carta e penna e appunti su quello che altri più preparati cercano di socializzare.

Un ringraziamento va agli editori che si sono assunti l’impegno di dare alle stampe un libro di saggistica, anche piuttosto rognoso per le questioni affrontate e la visione con cui le affronta.

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