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Mostri globalizzati: l’Afghanistan abbonda sulla bocca degli stormi

Sterminate quantità di analisi sull’Afghanistan imperversano. Con 60 milioni di allenatori che diventano altrettanti stormi di osservatori di politica internazionale. Sembra quasi un déjà vu del 2001, quando troppi non sapevano nemmeno dove fosse situato l’Afghanistan.

D’altronde, ora, si tratta di una questione straordinaria, inaspettata, almeno per buona parte degli autoeletti stormi di osservatori: l’assalto all’aeroporto, gli uomini aggrappati agli aerei, i talebani che si rivedono a Kabul, non sembravano prevedibili fino a 2 settimane fa.

Il drammatico ritorno dei talebani non è che il materialistico risultato della storia di quella terra: prima foreign fighter di comodo, poi terroristi, ora legittimi interlocutori. Gli improbabili nuovi scienziati politici poco si applicano nella ricerca storica che potrebbe riservare loro risposte più impegnative della pappardella ripetuta.

Invasioni di vario tipo hanno attraversato quel travagliato crocevia asiatico, sia prima dell’islamizzazione (persiani, medi, greci, bactriani), sia dopo. Poco dopo la morte del profeta e nella loro fase di espansione, gli arabi invasero la regione e introdussero l’Islam. Religione che ha definito l’armatura della società nei secoli successivi, che nemmeno Gengis Khan e i suoi massacri sono riusciti a scalfire.

Solo nel 1747, l’Afghanistan diventa monarchia unitaria, fondata dal pashtun Ahmed Durrani. Influenzata dal “Grande Gioco” del XIX secolo, ossia dal conflitto, non solo diplomatico, tra l’Impero zarista e britannico per il controllo del Medio Oriente e dell’Asia centrale, l’area fu attraversata dalla prima guerra anglo-afgana (1839-42), culminata con una clamorosa sconfitta inglese, e dalla seconda, quarant’anni dopo, che, invece, si concluse con l’influenza dell’impero britannico su Kabul.

La terza guerra avvenne nel 1919 e si concluse con il trattato di Rawalpindi, con cui il paese centroasiatico si rese politicamente autonomo. Amanullah divenne re e diede sostanza a una serie di riforme civili, tra cui l’abolizione del velo obbligatorio. Nel ’29 fu costretto ad abdicare dopo che la capitale cadde nelle mani di Bacha-i-Saqao, un gruppo di tagiki.

Da quell’anno fino al 1973, a succedersi al potere furono Nadir Shah, assassinato nel ’33 da uno studente, e suo figlio Zahir. Alcune riforme precedenti furono abolite e dal 1953 fu nominato primo ministro Daoud, che strinse sempre più stabili rapporti con l’URSS di Chruscev, in direzione anti-Pakistan.

Nel 1964, fu promossa una nuova Costituzione, che inaugurava la nascita del Parlamento, i cui membri erano nominati in parte dal sovrano, in parte cooptati da assemblee provinciali, e in parte eletti dal popolo. Nacquero nuovi partiti politici, tra questi il Partito democratico popolare afgano, di ispirazione marxista-leninista.

Nel 1973, mentre Zahir Shah era in visita in Italia, Daoud con un colpo di Stato fondò la prima Repubblica afgana. Il nuovo presidente dopo aver abolito la costituzione precedente, varò nuove riforme, ma con scarso successo.

Nel 1978, instabilità politica e crisi economica portarono a un nuovo colpo di Stato da parte del Partito democratico popolare, appena riunito dopo le spaccature precedenti: il rovesciamento comportò la morte di Daoud e di alcuni suoi familiari che occupavano posti di rilievo.

La cosiddetta ‘Rivoluzione di aprile’, portò Taraki a ricoprire il ruolo di presidente del consiglio rivoluzionario della nuova Repubblica democratica.

Il governo in carica attuò un programma di tipo socialista: servizi sociali (trasporto e sanità in primis) garantiti a tutti, prezzi dei beni calmierati, sindacati legalizzati, nuove scuole per una forte campagna di alfabetizzazione e scolarizzazione, nuovi ospedali, anche nelle province più remote.

L’apparato burocratico fu svecchiato e modernizzato. Cessarono i matrimoni combinati e la vendita delle bimbe; la soppressione dei tribunali tribali ancora in vigore. Fu eliminato il burqua e gli uomini costretti a radersi. Le ragazze ebbero gratuito accesso all’università e videro riconosciuto il diritto di voto.

Vietata l’usura, si assistette a una ridistribuzione della terra per migliaia di famiglie contadine e l’abrogazione dell’ushur, l’onerosa decima che i braccianti consegnavano ai vecchi proprietari.

Nonostante il nuovo corso, la religione islamica non fu proibita, sebbene le gerarchie religiose, per la maggior parte possidenti terrieri penalizzati dall’abrogazione dell’arcaico ushur, denunciarono una limitazione nelle proprie funzioni.

Questo argomento consentì loro di incoraggiare la jihad e finanziare i mujaheddin contro i “senza Dio” del nuovo governo rivoluzionario, con un avanzamento progressivo che durò poco più di un anno. Settembre 1979: il vicepresidente Amin fece uccidere Taraki.

Già nel luglio dello stesso anno, Carter aveva firmato una direttiva per dare sostegno bellico ed economico ai mujaheddin, attraverso una fitta rete di Stati finanziatori. Base per l’addestramento, il Pakistan. Capo militare, Hekmatyar, che con i suoi metodi efferati provocò moltissime vittime: utilizzo dell’acido per sfregiare donne non rispettose dei costumi, amputazione di arti e genitali dei nemici.

Meglio qualche fanatico musulmano, o la liberazione dell’Europa centrale e la fine della Guerra Fredda?” si chiedeva pleonasticamente l’ex Consigliere democratico per la Sicurezza americana, Brzezinski.

Con Amin primo ministro, i sovietici, temendo una connessione tra il nuovo presidente e la CIA, decisero di invadere l’Afghanistan e destituirlo con un altro membro del governo, Karmal, a cui successe prima Chamkani, nel 1986 e, poi, Najibullah, l’anno seguente, in carica fino al 1992.

Nel frattempo, Reagan era diventato il 40° presidente USA e gli estremisti islamici divennero “combattenti per la libertà”, ricevendo più armi e soldi. Tra i finanziatori il miliardario Bin Laden, che solo nel ’88 fondò al Qaida.

La guerra alla Repubblica democratica afgana finì ufficialmente nel 1988 con gli accordi di Ginevra che definivano la lenta evacuazione dell’Armata Rossa, terminata nel febbraio del ’89: un milione e mezzo di morti e 5 milioni di profughi.

Solo nel 1992, destituito Najibullah, fu proclamata la Repubblica islamica. Nuovo presidente Rabbani, capo del partito islamico fondamentalista.

Nel 1993, la fazione del feroce Hekmatyar iniziò una guerra civile che portò al bombardamento di Kabul e decine di migliaia di vittime civili. Con quest’ultimo, si schierano Usa, Pakistan e Arabia; con Rabbani, Russia e Iran.

In questo clima, nasce il movimento talebano che già dal ’94 conquista Kandahar. L’avanzata talebana miete immediatamente territorio e consenso, soprattutto tra le potenze straniere. Nel ’96 si arriva a un accordo tra Rabbani e Hekmatyar, con quest’ultimo nominato capo del governo.

È l’inizio della fine: i talebani del mullah Omar, di lì a poco, occupano la maggior parte della regione. Istituiscono un emirato teocratico fondato sulla sharia e tra le prime violenze perpetrate, prelevano il vecchio presidente socialista Najibullah e il fratello dal palazzo dell’Onu, senza opposizione alcuna dei caschi blu, uccidendoli dopo settimane di crudeli torture.

Medesima violenza e terrore verranno perpetrati su buona parte della popolazione civile. Qui, trova un posto comodo anche Bin Laden.

Dal 2001, poi, è storia recente: le torri gemelle, la ventennale intossicazione della guerra di civiltà, 2300 miliardi di dollari spesi, la confusione politica e i “burattini messi al potere”, la corruzione dilagante, le uccisioni dei leader fondamentalisti, la legittimazione grazie agli accordi di Doha e la nascita del II emirato.

Il chiaroscuro, tra passato e futuro, dove nascono i mostri è ora. “I talebani sono sempre gli stessi, con la loro idea di società feudale e patriarcale”, come ci urla disperatamente la regista Sahraa Karimi. Solo che hanno fatto pratica con la tecnologia, con le nuove armi e sanno fare patti con le potenze capitalistiche per il rame, il litio, il ferro e l’oppio. E, allora, tutto può tacere moderatamente. Ma i mostri restano mostri e già iniziano a manifestarsi.

Anche gli americani sono sempre gli stessi, pronti a sacrificare vite e diritti, pur di mantenere la loro egemonia sul mercato: li dichiaravano scomparsi e, invece, i talebani in due settimane sono arrivati a Kabul.

Ma ancora più assurda è la posizione della sempre più imbrigliata UE, ovvero di legittimare subito “il mostro demoniaco”, quasi ad anticipare chi le ambasciate le ha lasciate aperte. I mostri, però, si si accordano con altri mostri e si sono anche globalizzati. E il 2001 è stato solo un inizio.

I Russi, invece, non sono più gli stessi, mentre gli stormi balbettano e urlano ancora contro i sovietici e, purtroppo, neanche Telekabul sta più tanto bene.

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