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La rivoluzione è il freno di emergenza

Nelle Tesi sul concetto di storia, Benjamin ritorna ancora una volta a Fourier, l’utopista visionario che sognava “un lavoro che, lontano dallo sfruttare la natura, è in grado di sgravarla delle creazioni che, in quanto possibili, sono sopite nel suo grembo” – sogni la cui espressione poetica sono le sue “fantasticherie”, in realtà piene di “senso sorprendentemente sano”.

Questo non vuol dire che l’autore delle tesi voglia sostituire il marxismo con il socialismo utopico: considera Fourier come un complemento di Marx, e nella stessa tesi XI si parla della discordanza tra le osservazioni di Marx sulla natura del lavoro e il conformismo del programma socialdemocratico di Gotha.

Per il positivismo socialdemocratico, rappresentato da questo programma, ma anche dagli scritti dell’ideologo Joseph Dietzgen, “il lavoro […] ha per sbocco lo sfruttamento della natura, che viene contrapposto, con ingenua soddisfazione, allo sfruttamento del proletariato”. In questo tipo di ideologia, si tratta di un “approccio alla natura che rompe sinistramente con le utopie pre-1848” – un ovvio riferimento a Fourier.

Peggio ancora, con il suo culto del progresso tecnico e disprezzo per la natura – “è là gratuitamente” secondo Dietzgen – questo discorso positivista “mostra già i tratti tecnocratici che più tardi si incontreranno nel fascismo” 1 .

Nelle Tesi del 1940 troviamo una corrispondenza – nel senso che Baudelaire attribuisce a questo termine nel suo poema Le corrispondenze – tra teologia e politica: tra il paradiso perduto da cui ci allontana la bufera che chiamiamo “progresso”, e la società senza classi agli albori della storia, così come tra l’era messianica del futuro e la nuova società senza classi del socialismo.

Come interrompere la catastrofe permanente, l’accumularsi delle macerie “verso il cielo”, derivante dal “progresso” (tesi IX)?

Ancora una volta, la risposta di Benjamin è insieme religiosa e profana: è il compito del Messia, la cui “corrispondenza” profana non è altro che  la Rivoluzione. L’interruzione messianica/rivoluzionaria del progresso è quindi la risposta di Benjamin alle minacce che fanno pesare sull’umanità la continuazione della bufera malefica e l’imminenza di nuovi disastri. Siamo nel 1940, a pochi mesi dall’inizio della “soluzione finale”.

Nelle Tesi Sul concetto di storia, Benjamin fa spesso riferimento a Marx, ma su un punto importante prende le distanze dall’autore del Capitale: “Marx dice che le rivoluzioni sono la locomotiva della storia universale. Ma forse le cose stanno in modo del tutto diverso. Forse le rivoluzioni sono il ricorso al freno d’emergenza da parte del genere umano in viaggio su questo treno” 2.

Implicitamente, l’immagine suggerisce che se l’umanità permette al treno di seguire il suo percorso – già tracciato dalla struttura d’acciaio dei binari – e nulla fermerà la sua corsa, precipiteremo direttamente verso il disastro, o nell’abisso.

Tuttavia, persino Walter Benjamin, il più pessimista dei marxisti, non poteva prevedere fino a che punto il processo di sfruttamento e di dominio capitalista della natura – e la sua copia burocratica nei paesi dell’Est prima della caduta del Muro – avrebbe portato a conseguenze disastrose per l’intera umanità.

Alcune osservazioni sull’attualità politico-ecologica delle riflessioni di Benjamin. In questo inizio del XXI secolo, assistiamo a un “progresso” sempre più rapido del treno della civiltà capitalistica verso un abisso, un abisso che si chiama “catastrofe ecologica”, e che nel cambiamento climatico ha la sua espressione più drammatica.

È importante considerare la crescente accelerazione del treno, la vertiginosa velocità con cui si avvicina al disastro. In realtà, la catastrofe è già iniziata, e ci troviamo in una corsa contro il tempo per cercare di prevenire, contenere, fermare questa fuga in avanti, il cui risultato sarà l’aumento della temperatura del pianeta – che avrà come conseguenza (tra le altre) la desertificazione di territori immensi, l’aumento del livello dei mari, e dunque la scomparsa delle grandi città marittime: Venezia, Amsterdam, Hong Kong, Rio de Janeiro.

Per fermare questa corsa, scrive Benjamin, è necessaria una rivoluzione. Ban Ki-Moon, Segretario generale delle Nazioni Unite dal gennaio 2007 al dicembre 2016, che non ha nulla di un rivoluzionario, annunciava nel 2009 (“Le Monde” del 5 settembre) la seguente diagnosi: “Noi – questo “noi” si riferisce ovviamente ai governi del pianeta – abbiamo il piede incollato all’acceleratore e precipitiamo verso l’abisso”.

Walter Benjamin definiva come una “tempesta” il progresso distruttivo che accumula catastrofi. La stessa parola, “tempesta”, appare nel titolo, che sembra ispirato da Benjamin, dell’ultimo libro di James Hansen, il climatologo della NASA negli Stati Uniti e uno dei maggiori specialisti del cambiamento climatico nel mondo.

Il libro, pubblicato nel 2009, si intitola Storms of my grand children. The truth about the coming climate catastrophe and our last chance to save humanity (Bloomsbury, New York 2009) 3. Nemmeno Hansen è un rivoluzionario, ma la sua analisi della “tempesta” – che per lui, come per Benjamin, è l’immagine di qualcosa di ben più minaccioso – è di una lucidità impressionante.

C’è poco da aspettarsi dei governi del pianeta, salvo rare eccezioni. La sola speranza sta nei movimenti sociali reali; tra questi, uno dei più importanti oggi è quello delle comunità indigene, in particolare in  America Latina.

Dopo il fallimento della Conferenza sul clima delle Nazioni Unite a Copenaghen, il presidente Evo Morales – che aveva solidarizzato con le proteste di piazza nella capitale danese – ha riunito nel 2010 a Cochabamba, in Bolivia, la Conferenza Internazionale dei popoli contro i cambiamenti climatici e in difesa della Pachamama, la Madre Terra.

Le risoluzioni adottate a Cochabamba corrispondono, quasi parola per parola, alle argomentazioni di Benjamin circa il trattamento criminale della natura da parte della civiltà occidentale capitalista, mentre le comunità tradizionali la considerano una “madre dispensatrice di doni”. 

Walter Benjamin è stato un profeta, vale a dire, non qualcuno che pretende di prevedere il futuro, come l’oracolo greco, ma nel senso del Vecchio Testamento: colui che attira l’attenzione del popolo sulle minacce future.

Le sue previsioni sono al condizionale: questo è ciò che accadrà, a meno che… salvo se… Nessun fatalismo: il futuro resta aperto. Come afferma la tesi XVIII sul concetto di storia, ogni secondo è la porta stretta dalla quale può venire la salvezza.


1 Walter Benjamin, Sul concetto di storia, in Opere complete. VII, cit., pp. 488-489.
2 Ivi, p. 497.
3 James Hansen, Tempeste. Il clima che lasciamo in eredità ai nostri nipoti, l’urgenza di agire, trad. it. di E. Cella, Edizioni Ambiente, Milano 2010 [N.d.T].


© Michael Löwy, La rivoluzione è il freno di emergenza, Ombrecorte 2021.

* da Tropico del Cancro

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