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La libreria marxista

Come sempre, quando vado a casa dei miei, entro in quella che fu la libreria di mio nonno.

Poi divenuta, nel naturale passaggio trigenerazionale del testimone, il mio unico, imprescindibile patrimonio ereditario. Cui rinuncerei, francamente, con molta riluttanza!

Spazio di libertà dall’angusta e coartante conoscenza scolastica.

Luogo di lavoro, riflessione e scrittura, negli anni della formazione e della intollerata maturità.

Eredità di un sapere complesso, che oggi sembra svanito tra le pieghe del nostro onnisciente Presente.

Affannoso e postmoderno.

Rinchiuso in dispositivi dove il pensiero, unico e univoco, è ridotto ad una formula bidimensionale e cybernetica.

Sistema binario di assoluti e monarchici assiomi. Eiaculati mediante processi masturbatori su proiezioni bachechiche dell’Io.

Orbene, in quella libreria io entro, ogni volta, pervaso da una sussurrata ma percepibilissima emozione.

Suscitata -tra le pieghe della coscienza appena sensibile- dal timore, orrorifico ed estatico, che si prova, irrimediabilmente, al cospetto del Sublime.

Assieme matematico e dinamico. Tale è la “natura”stessa del conoscere, ci direbbe Kant.

E vi entro per annusarne l’odore acre dei libri e del mogano. Della carta stampata all’ antico fuoco del piombo.

Che ha lasciato il posto, nello sviluppo progressivo e asettico delle forze produttive padronali, alla fredda e disincarnata scrittura digitale.

Per contemplarne gli scaffali, grondanti del sangue della Storia.

Per sfiorarne, con il riconoscente intelletto dell’ uomo senza qualità, i milioni di pagine di memoria.

Tramandata e vitale, se solo si sapesse leggerne gli arcani e polverosi fondi di bicchiere. Incrostati di vino ed assenzio.

Storie e memorie di macerie. Di padroni e di ultimi.

Di trionfi celebrati sulla carne avariata dei popoli.

E di rivolte pezzenti, che hanno rotto l’incanto cronologico dell’ incedere lineare.

Degli eterni vincitori.

Rivoluzioni inattese e insperate di lancette. Finite, al momento propizio, sul quadrante del Kairos.

Attimo popolare ed erotico. Festa del coito subalterno.

Sollevazione in armi contro la titanica tirannide del Kronos. Austero sacerdote del Tempo immutabile.

Libreria Marxista. Cattedrale di un culto laico e umanissimo.

Dove Scienza e Arte si fondono e si con-fondono, in quella materialità dialettica che sola può mutare l’inerte passività dell’homo oeconomicus.

Dove le leggi della fisica relativistica assumono le sembianze dello specchio di Dioniso.

Il cui riflesso, smembrato in mille frammenti, si mette d’improvviso a suonare il sassofono della più incandescente poesia jazz.

Caos algebrico di varianti ed incognite.

Officina di segni, teoresi e semiotiche, dove l’origine tecnica della riproduzione virtuale di quella che fu l’Opera d’arte, si tramuta, di colpo, in un teatro del silenzio e dell’ascolto.

Proiezione cinematica dello schermo bianco. Ri-messa a fuoco dell’immagine sbiadita.

Foglio su cui la sottrazione essenziale dalla moltiplicazione barocca dell’ Ego/Avatar fagocitante, svilito dall’illogicità del senso social, potrebbe restituirci l’idea, semplice e rurale, di un’esistenza condotta lungo il margine di un precipizio.

Attraversata da tentativi ed errori. Da prove e fallimenti.

Il cui unico trionfo sarà pur sempre, malgrado la pretesa onnipotenza di Prometeo e del fuoco pantoclastico della Τέχνη borghese, quello ineludibile della Morte.

Della fisiologica fine del Tutto!

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