Come rendere attraente un’attività intrinsecamente noiosa?
Nei Corsi Avanzati delle più prestigiose Business School questa domanda impegna i migliori cervelli.
Ayelet Fishbach, ricercatrice alla Prestigiosa Booth School of Business dell’University of Chicago, esperta di “Psicologia sociale, Motivazione del processo decisionale, Management e Comportamento dei consumatori”, in un recente studio ha censito tre modi o strategie per rendere un’attività noiosa o faticosa più intrinsecamente motivante (chicagobooth.edu).
Innanzitutto, scrive, c’è la strategia “make-it-fun” – rendi divertente l’attività. Bisogna associare all’attività incentivi immediati – mini-obiettivi. Quando la persona raggiunge l’obiettivo, il regolatore (che di solito è una macchina) eroga un token o un cookie (un biscottino).
In questo modo, scrive Fishbach, l’attenzione della persona viene deviata dall’attività vera e propria verso la gratificazione (il biscottino). Il fine diventa la gratificazione, mentre l’attività vera e propria diventa il mezzo per realizzarla.
Fishbach, esperta psicologa, non si avventura, come avrebbe fatto Zizek, in una analisi del profondo. Si limita a dire che gli incentivi sfruttano il bisogno immediato di gratificazione, soddisfano un desiderio crescente (ma minuscolo) con dosi minime e ripetute di biscotti e zuccherini, creando una dipendenza che attiva il desiderio alla sola vista del biscotto.
Non siamo lontani dalle pubblicità tradizionali che passano in TV, dove, ai signori sintonizzati su Carta Bianca, si fanno vedere cioccolatini e merendine, non tanto per promuovere la marca, quanto per dare il segnale operativo, la scossa che fa alzare dal divano e andare alla credenza – in stato di semi-coscienza.
In un esperimento con studenti delle superiori, Fishbach ha somministrato musica e merendine e ha scoperto che il piccolo incentivo aumentava l’impegno e le ore di studio. L’offerta immediata di piccoli incentivi rendeva la matematica più sopportabile.
Non si tratta di fornire un incentivo unico e corposo al termine di un lavoro, come la paga per un lavoratore. Si tratta di segmentare un’attività lineare e noiosa, dirottando l’attenzione dallo scopo dell’attività vera e propria verso il micro-incentivo.
L’incentivo deve essere piccolo, e continuo, in quanto solo se somministrato con una cadenza che alterna rapidamente movimenti di ascesa (mini-incentivo) a movimenti di discesa, si tiene ritta e salda la tensione lavorativa.
Questo metodo, usato per legare le persone alla postazione, è stato introdotto nei videogame. Solo in un secondo momento si è capito che poteva essere esportato dalle console di gioco e innestato nel processo lavorativo.
La Scienza delle Organizzazioni Complesse, quel ramo della socio-psicologia che studia il processo lavorativo, cercando metodi per incrementare la produttività del lavoro, ha cominciato a interessarsi al fenomeno catalogandolo sotto l’etichetta Gamification.
Oggi disponiamo di una vasta letteratura. Persino in lingua italiana. Ciò che si cerca di fare è esportare le tecniche di game design in contesti esterni ai giochi. L’Istituto Europeo di Design (IED) di Milano, che vuol fare la sua bella figura sul mercato dell’MBA e della graduate school, ha attivato una cattedra di “Engagement e Gamification”.
Fabio Viola, che vi professa, spiega come l’intenzione è di implementare meccaniche ludiche capaci di produrre cambiamenti apprezzabili sui comportamenti e sulle performance individuali. Per esempio: un manager che proibisce i ritardi nella propria azienda sta impartendo un ordine; se invece incentiva la puntualità attraverso una classifica aziendale dei lavoratori più puntuali, sta sfruttando un mini-incentivo (V. Petruzzi).
Per i patiti di VideoGame si tratta di meccanismi stra-conosciuti. Il Tamagotchi, un videogioco giapponese, era formato da una console portatile a forma di uovo, con un piccolo schermo e tre tasti.
Il gioco era un simulatore di vita. Il compito del giocatore era prendersi cura di un piccolo animaletto (Tamagotchi), trattandolo come un animale domestico, dunque facendolo mangiare, dormire, cacare, eccetera. Il pungolo era rappresentato dalle richieste dell’animaletto, il token dal fatto di averlo tenuto in vita per quel giorno.
Poi è arrivato Pokémon GO, in cui l’obiettivo pedagogico di far camminare o uscire di casa (in contro-tendenza con i giochi più tradizionali) veniva perseguito mediante i mini-incentivi costituiti dal Desiderio di “acchiapparli tutti”.
La Gamification si affianca e supera le vecchie tecniche di Controllo del Lavoro – Kaizen, TQM, Just in time, Statistical process control, eccetera. Ippolita, un gruppo milanese di reality hacking, in un manuale di autodifesa digitale, fornisce suggerimenti molto utili per comprendere se ci si trova in un ambiente gamificato.
Se nell’ambiente la stimolazione predominante è visiva (l’occhio domina gli altri sensi); se si ha una dispercezione spazio-temporale (il tempo sembra scorrere molto velocemente); se c’è astrazione ambientale (l’ambiente esterno alla procedura non raggiunge lo stadio percettivo conscio); se c’è la tendenza all’aumento quantitativo di sessioni o di accessi; se le azioni sono semplici e ripetitive ed effettuate in modo meccanica, “senza pensare” (ricorso alla memoria procedurale), e facilmente quantificabili; se ci sono segni o simboli che misurano ed esprimono in modo quantitativo l’attività; se ci sono premi, classifiche, status, badge, ricompense; se sono assenti marche esplicite che delimitano lo spazio-tempo dell’azione; se non si utilizzano formule esplicite per entrare-iniziare nell’attività o per uscire-finire; se è impossibile cambiare le regole dell’attività in modo concordato; se ci sono tutte o molte di queste caratteristiche ci si trova in un “ambiente gamificato”.
L’esempio tipico di ambiente gamificato è Facebook, e, in genere, tutto ciò che gira intorno alla Fan Culture.
Quando la Cina ingaggia una lotta senza quartiere contro questo sistema, non sta (NON STA) privando i cittadini della loro libertà di espressione. Sta ponendo una questione che attiene alle tecniche di controllo del lavoro, tecniche pervasive in Occidente, e che si tenta di impiantare anche in Cina.
Il capitalismo non ha Nazione, non ha Ideali, non ha una Politica, attacca una cellula (anche comunista) con l’obiettivo di costruire il tandem capitale-lavoro, dove il lavoro e incentivato, anche con biscottini e zuccherini, a riprodurre se stesso e il capitale che lo sfrutta.
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Andrea Bo
…funzionava poi così anche un banalissimo flipper degli anni ’60, anche se magari non lo si era capito.
Redazione Contropiano
Però capirlo aiuta… 😀
Andrea Bo
Non dico di no!
Non c’è dubbio che sia sempre d’aiuto capire cosa ci succede attorno.
L’insidia era la banalità stessa del flipper.
Mario Galati
A proposito di incentivi invece di costrizioni. I proprietari terrieri che assumevano braccianti per la mietitura in una zona della Calabria da cui provengo usavano questa tecnica: piantavano un legno nel campo di grano da mietere e vi appendevano una forma di lardo (nel caldo di giugno). I mietitori avrebbero fatto la pausa pasto al raggiungimento del lardo con la mietitura del grano che si frapponeva. I mietitori, per il desiderio di concedersi una pausa pasto, intensificavano lo sforzo e la velocità della mietitura.
Altra tecnica usata: il padrone suggeriva a tanti braccianti o ad ognuno, ma separatamente e in via riservata, che, essendo il lavoratore preferito, l’avrebbe premiato con un uovo extra paga (allora una cosa preziosa, con la fame che c’era). Ognuno dei lavoratori si sentiva il preferito del padrone e gratificato per questo. Quando il padrone ricordava velatamente questo incentivo, invocando ad alta voce “O tu dell’uovo”, ognuno si sentiva chiamato in causa in via esclusiva; e per corrispondere alle aspettative del padrone che li gratificava, aumentava l’impegno nel lavoro. La tecnica degli incentivi e del cosiddetto merito, per dividere e sfruttare meglio tutti i lavoratori, non l’hanno inventata di recente i capitalisti, come si vede.
Molto interessante l’articolo di Leo Essen, soprattutto con il riferimento alla politica cinese.