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Guerra in Ucraina: la fine del sogno di un’Europa di pace

L’Unione Sovietica è il paese che ha dato il contributo di sangue maggiore alla sconfitta del nazismo durante la Seconda Guerra Mondiale: 27 milioni di morti.

L’Unione Sovietica nell’aprile 1945 conquistò Berlino, mentre gli anglo-americani erano ancora molto lontani dalla città. Il tributo di sangue e l’apporto militare sovietico alla liberazione dell’Europa dal nazi-fascismo non ha certamente eguali.

Il giorno dell’effettiva resa del Terzo Reich è il 9 maggio, data in cui si organizzano parate militari in seno ai festeggiamenti del “Giorno della Vittoria”: si osannano i veterani, si onorano anche i martiri. Come accade per i nostri partigiani, i veterani sovietici sono sempre di meno per evidenti ragioni anagrafiche.

Dal 2012, in tante città della Russia- a margine dei festeggiamenti per la Vittoria e delle celebrazioni in memoria delle vittime – viene organizzato il “Reggimento Immortale”. Come per il nostro 25 aprile si tratta di una manifestazione civile in cui le nuove generazioni tengono viva la memoria di coloro che hanno combattuto.

Durante il Reggimento Immortale i parenti dei caduti portano il ritratto o la fotografia dei propri cari, i quali, simbolicamente, marciano uniti insieme ai vivi. Il senso è pertanto sia di ricordare chi ci ha dato la libertà, sia di passare alle nuove generazioni il testimone della memoria.

Il Reggimento Immortale si celebra in più di 80 paesi del mondo, ma con particolare partecipazione nello spazio post-sovietico. Su tutti i principali media infestati di propaganda bellica si racconta di queste cerimonie con scherno e derisione. Eppure, mai come oggi, la celebrazione del “Reggimento Immortale” assume un significato tanto enorme quanto attualissimo ora che gli attuali epigoni del nazismo vengono allegramente sdoganati, armati e, addirittura, elogiati.

Due fatti, alla luce dei drammatici sviluppi dei drammatici eventi successivi, assumono grande rilievo politico, culturale e simbolico. Il combinato disposto di quei due fatti, ci fornisce una chiave di lettura dell’attuale deriva di quell’Europa la quale, secondo alcune interpretazioni, sarebbe stata trascinata dentro un conflitto voluto dagli USA e subìto a causa della posizione egemonica di questi ultimi all’interno della NATO.

Due fatti che, invece, dimostrano che il percorso che ha portato alla guerra in Ucraina ha anche le sue profonde radici tanto nel revisionismo europeo nei confronti degli eventi che hanno caratterizzato il secolo breve quanto nel carattere reazionario della grande borghesia del vecchio continente come di tutto il processo che ha portato alla costruzione dell’Unione Europea.

1. Il 24 luglio 2015, in seguito alla frettolosa approvazione delle “leggi di decomunistizzazione”, viene bandito il partito comunista in Ucraina, dove il governo filoccidentale dà il via a una riforma per “liberare il Paese dal retaggio sovietico” con una controversa legge che equipara comunismo e nazismo.

L’esclusione dei comunisti dalla vita politica del paese viene annunciata dal ministro della Giustizia, Pavlo Petrenko, che sigla tre decreti per bandire i tre partiti di ispirazione comunista: il partito comunista d’Ucraina (la principale forza politica di sinistra), il partito comunista rinnovato e il partito comunista dei lavoratori e dei contadini.

Il bando viene decretato sulla base delle conclusioni di una commissione che stabilisce che le attività, la denominazione, i simboli, gli statuti e i programmi dei partiti comunisti non rispondevano ai requisiti della parte 2 dell’articolo 3 della legge “Sulla condanna dei regimi totalitari comunista e nazionalsocialista in Ucraina e il divieto di propaganda dei loro simboli”».

Il partito comunista, alleato del partito delle Regioni del deposto presidente filorusso Viktor Ianukovich, era un’importante forza politica in Ucraina. Alle parlamentari del 2012 aveva ottenuto il 13% dei voti.

2. Il 19 settembre 2019, il Parlamento europeo approva una risoluzione sulla “Importanza della memoria europea per il futuro dell’Europa” che equipara nazi-fascismo e comunismo e che “esorta la società russa a confrontarsi con il suo passato una volta per tutte.”. Nell’indifferenza generale, la risoluzione è approvata, con il contributo determinante del gruppo dei Socialisti e dei Democratici (anche della delegazione dei deputati italiani.

La Risoluzione contiene dei veri e propri falsi storici oltre ad evidenti auto-assoluzioni. Il documento, approvato dal massimo consesso europeo, equipara il nazifascismo e il comunismo nella responsabilità dello scoppio della Seconda guerra mondiale attribuendola al solo patto di non aggressione firmato dalla Germania nazista e dall’Unione Sovietica nel 1939, tacendo completamente sulle responsabilità della comunità internazionale e, in special modo, delle potenze europee che prestarono colpevole quiescenza all’ascesa del nazismo e del fascismo.

In particolare, al punto B, la risoluzione addebita lo scoppio della Seconda Guerra mondiale alla firma del patto Molotov-Ribbentropp, quando tutta la dottrina storiografica è unanime, e non potrebbe essere altrimenti, nell’addebitare tale guerra devastante all’espansionismo nazista, come accertato fra l’altro in termini inequivocabili dal tribunale alleato di Norimberga.

Tutto lo spirito della risoluzione è permeato dall’ossessione di voler porre sullo stesso piano nazismo e comunismo scivolando anche in una serie di grossolane falsità. Lo storico Angelo D’Orsi, sul manifesto ha definito quella risoluzione un esempio di vero e proprio “rovescismo”, che va ben al di là di qualunque tentativo revisionista messo in atto in un passato più o meno recente.

Viene apertamente disconosciuto il contributo della Russia sovietica che, a costo di decine e decine di milioni di morti, ha fermato la belva nazista.

Insomma, un atto che intende cancellare dalla memoria condivisa quello che probabilmente fu il punto di svolta più importante del così detto “secolo breve” e della recente storia europea. Su quell’epocale punto di svolta della storia europea e mondiale, il 10 dicembre 1999, Luigi Pintor scrisse parole memorabili in uno dei suoi editoriali sul Manifesto: 

”Ho visto recentemente in televisione un documentario sull’invasione tedesca dell’Unione Sovietica e sulla tragedia del corpo di spedizione italiano sul Don. Belle testimonianze di sopravvissuti, immagine epiche e dolorose.

Penso che bisognerebbe raccogliere e proiettare tutto il materiale relativo alla guerra sul fronte orientale, compresi i film di propaganda: lì è andato in scena il più grande spettacolo del mondo e lì sta la chiave della storia del nostro secolo.

Ho pensato, guardando le immagini sconnesse di quel documentario e ascoltando il commento parlato, che soltanto chi ha più di settant’anni conserva una memoria diretta di quel tempo. È un’avventura ma un grande privilegio. Tutto quello che io so, per poco che sia, l’ho imparato in quei due o tre anni. E la menzogna in cui oggi siamo immersi e in cui vivono le giovani generazioni suona alle mie orecchie come un insulto a cui è vano opporre la memoria individuale.

Tutto era perduto in quei giorni ed anni, le democrazie europee erano crollate sul campo come carta pesta, le armate corazzate del terzo Reich e le croci uncinate dilagavano sul continente e oltre senza colpo ferire, il fascismo e il terrore non conoscevano più ostacoli.

Meno uno, il solo al di qua dell’Atlantico e dei mari del nord e del sud: uno strano paese che aveva fatto una sua rivoluzione solitaria, che oggi è piombato nella corruzione e nella decadenza ed è in guerra con sé stesso, ma allora si alzò in piedi come un gigante che spezza ogni catena.

Dirà qualche anno più tardi nell’aula del parlamento italiano un esponente del governo di allora: di certo Stalin è stato un uomo su cui Dio ha impresso la sua impronta. Metafisica a parte, come saranno usciti dalle acciaierie oltre gli Urali quei cannoni e quei carri pesanti capaci di respingere e di frantumare la macchina da guerra tedesca?

Come avranno fatto quei contadini ucraini, quegli operai leningradesi, quegli uomini di marmo di ogni provincia, quei giovani tartari, uzbeki, mongoli, ceceni, a formare un solo grande esercito per salvare la propria terra e la nostra?

Come ha potuto quella guerra patriottica, senza i Kutuzov e i Tuchacevsky, saldarsi con l’antifascismo mondiale e l’ideale di libertà di ogni popolo? Come fu possibile trarre questa forza da molte privazioni e sofferenze sotto un regime rozzo e sprezzato dai posteri?

C’era qualcuno, forse, che aveva visto più lontano degli altri. Il comunismo ci ha rimesso ma noi no e forse dovremmo ringraziare. Prima ringraziare e poi revisionare e anche ribaltare la storia: tanto è lontana mille anni e nessuno può eccepire.

Vicino a Mosca commemorano ogni tanto una battaglia dell’età napoleonica mimandola sul terreno, e c’è anche un museo scenografico che la fa rivivere agli spettatori come ne fossero i protagonisti. Ma sulle sponde del placido Don non c’è, che io sappia, nessuna Disneyland che onori la più grande vittoria militare del ventesimo secolo.”.[1]

Ma qual è l’effettiva collocazione storica e politica dei revisionisti europei che, insieme agli USA, hanno organizzato il golpe di EuroMaidan, che hanno ignorato il massacro della casa dei sindacati di Odessa, che hanno taciuto sul regine ucraino che ha eletto il nazista Stepan Bandera proprio eroe nazionale e che ora chiamano “resistenza popolare” un esercito composto in gran parte da neonazisti e mercenari teleguidato ed armato fino ai denti dagli USA?

Scrisse Thomas Mann nel 1945: “Se tra il carattere totalitario del socialismo russo e del fascismo non sussiste alcuna differenza, si può allora sapere da dove venga la risolutezza unanime con cui ovunque nel mondo capitalista si preferisce il terrore fascista a quello comunista, il palese proposito capitalista di accettare più volentieri l’uno anziché l’altro?

La Rivoluzione russa, come una volta la grande francese, è un processo storico che si svolge in fasi di cui l’ultima è appena avvenuta. È così irrazionale voler colpire fra grida di scherno una di queste fasi con l‘altra, com’è irrazionale credere lo stalinismo formi l’immutabile fase finale del processo rivoluzionario.

Porre il comunismo russo sullo stesso livello morale del nazi-fascismo, perché entrambi sarebbero totalitari, è nel migliore dei casi superficialità, nel peggiore dei casi è fascismo. Chi insiste in questa equiparazione può presentarsi come democratico, in verità e nel profondo del cuore, egli è già fascista e di sicuro combatterà il fascismo in apparenza ed ipocritamente, ma con tutto l’odio soltanto il comunismo.

Nel rapporto del socialismo russo e del fascismo con l’umanità, con l’idea dell’uomo e del suo futuro, le differenze sono incommensurabili.

La pace indivisibile, il lavoro costruttivo, il giusto guadagno; un consumo comune dei beni della terra; più felicità, meno sofferenza causata solo dall’uomo ed evitabile; un’elevazione spirituale del popolo attraverso educazione, conoscenza, formazione.

Tutte queste sono mete diametralmente opposte alla misantropia fascista, al nichilismo fascista, al piacere fascista di umiliazione e alla pedagogia fascista d’istupidimento.

Il comunismo come la Rivoluzione russa cerca di realizzarlo, in particolari condizioni umane, e nonostante tutti i segni di sangue che potrebbero confonderci, è in sostanza – e molto al contrario del fascismo – un movimento umanitario e democratico.

Una tirannia? Lo è. Ma una tirannia che elimina l‘analfabetismo, lo sappia ο meno, non può essere intenzionata nel cuore a rimanere una tirannia.

Una sessantina di anni fa, Nietzsche, un grandissimo pensatore, solo troppo versatile, scherniva la formazione del popolo esclamando: «Se si vuole schiavi, allora si è pazzi ad educare signori». Il socialismo russo non vuole evidentemente nessuno schiavo, poiché educa uomini pensanti.” [2]

Ecco, queste parole furono scritte dal grande scrittore e saggista tedesco nel 1945 (era un liberale ed un borghese) e rappresentano ciò che per lungo tempo fu una visione largamente condivisa dalla fine della Seconda guerra mondiale per alcuni decenni. Una visione comune che è stata rinnegata dai revisionisti del Parlamento Europeo proprio quel 19 settembre del 2019.

Va ricordato che Thomas Mann fu autore di capolavori letterari assoluti come “I Buddenbrook”, “La morte a Venezia” e “La montagna incantata” e che, più di tutti, è riuscito a rappresentare la decadenza dei valori occidentali ed i principali mutamenti di quel secolo breve che, forse, non è ancora finito.

Le sue parole ci illuminano anche sull’oggi e ci aiutano a capire meglio la base ideologica profonda della costruzione dell’Unione Europea ed il ruolo che questa ha avuto tanto nella distruzione della Jugoslavia (l’antefatto) quanto nello sviluppo del conflitto russo-ucraino che, a partire dal 2014, dopo il golpe violento che ha rovesciato il governo di Viktor Janukovyč, il rogo della casa dei sindacati di Odessa ed otto anni di orrori ignorati dall’occidente e perpetrati dai battaglioni neonazisti nel Donbass, ha portato all’esplosione della guerra in Ucraina.

[1] Stalingrado: la chiave del secolo, editoriale di Luigi Pintor, il manifesto del 10 dicembre 1999;

[2] Thomas Mann, Pace mondiale e altri scritti, Guida, Napoli, 2001, pp. 144-14

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