La riedizione degli scritti di Marx e Engels Sull’Irlanda è una iniziativa fondamentale per approfondire la riflessione su quei contesti nei quali popoli differenti sono ancora in lotta per la loro emancipazione: è il caso della Catalunya, di Heuskal Herria, della Corsica e di molte altre situazioni in cui la contraddizione nazionale è tutt’altro che risolta.
La nuova edizione di PGreco è arricchita dalla corposa introduzione di Marco Santopadre che, oltre a fornire diversi e interessanti spunti interpretativi, mette ordine nella questione riportata alla ribalta dalla crescita del movimento indipendentista catalano e rivelatasi problematica per la sinistra di classe europea, tutt’altro che unanime riguardo alle nazioni senza stato del continente.
In questo contesto la riproposizione delle riflessioni contenute in Sull’Irlanda ha prima di tutto il grande merito di riportare l’attenzione sul pensiero originale dei fondatori del marxismo e di fare piazza pulita delle semplificazioni interessate e dei luoghi comuni circolati con successo anche “a sinistra”.
La raccolta permette infatti di seguire passo dopo passo il pensiero di Marx e Engels sulla questione nazionale irlandese, un pensiero la cui complessità (compresi i ripensamenti espliciti) segnala non i limiti bensí la vitalità e la ricchezza di un’analisi che, se non rappresenta una teoria compiuta della nazione, consegna però alla sinistra di classe gli strumenti fondamentali per sviluppare il proprio percorso nell’intricata materia.
Sull’Irlanda è dunque un testo imprescindibiile per tutti coloro i quali guardano al tema della nazione da un punto di vista marxista. A margine della lettura dell’opera, vale la pena soffermarsi su alcune riflessioni degli autori del Manifesto per riprendere il filo del dibattito odierno sulle nazioni senza stato europee e sulla Catalunya in particolare.
L’interesse di Marx e Engels per l’Irlanda (e per la questione nazionale) è assai precoce: il primo articolo di Engels riportato nella raccolta compare su Der Schweizerische Republikaner e risale al 1843, quando i manoscritti economico-filosofici del giovane Marx non hanno ancora visto la luce e mancano ancora cinque anni per la pubblicazione del Manifesto.
L’articolo però merita attenzione. Se da un lato Engels definisce la richiesta dell’abrogazione dell’Unione tra Inghilterra e Irlanda, agitata dal leader aristocratico-borghese O’Connell, come un’insulsaggine, dall’altro sottolinea che il popolo irlandese «porta sulle spalle il peso di cinquecento anni di oppressione, con tutte le conseguenze che ciò implica»[1].
Due affermazioni contraddittorie che fanno immediatamente pensare all’ambiguità con la quale parte delle sinistre dello stato spagnolo e di quelle europee hanno guardato negli ultimi anni alla Catalunya. Due affermazioni contraddittorie che Marx e Engels risolvono attraverso un lungo percorso di riflessione, straordinariamente documentato nella raccolta di PGreco, fino a sostenere apertamente l’indipendenza irlandese.
Ma la considerazione più interessante che emerge dalla lettura dell’articolo del giovane Engels riguarda la contraddizione tra gli irlandesi, disposti alla lotta, e la loro direzione politica, rappresentata dal liberale O’Connell: «se O’Connell fosse veramente l’uomo del popolo, se avesse coraggio sufficiente e non avesse egli stesso paura del popolo […] gli ultimi soldati inglesi avrebbero lasciato l’Irlanda da lungo tempo…»[2].
Anche se Engels non la esplicita, emerge tra le righe la convinzione secondo la quale la borghesia liberale irlandese non possa mettersi alla testa del movimento di liberazione nazionale a causa delle contraddizioni di classe. Una volta intrapreso il cammino della lotta infatti, il popolo irlandese si libererebbe presto di O’Connell per indirizzarsi verso il socialismo.
Perciò O’Connell si limita a usare la popolazione irlandese per degli obbiettivi che Engels definisce meschini e a fini strumentali, perciò il leader irlandese mette in guardia contro i cartisti e i socialisti.
A parte il giudizio sbrigativo sulla separazione dall’Inghilterra, quello che è interessante dal punto di vista delle nazioni europee senza stato è la consapevolezza che l’emancipazione nazionale di un popolo non è necessariamente compito della borghesia. Al contrario, in situazioni affini a quella irlandese la direzione borghese può rivelarsi incapace di portare a termine questo compito storico.
Una incapacità evidente che nel corso del ‘900 si riscontra a diverse latitudini, dalla Cina a Cuba, dall’Irlanda alla Catalunya, e che si deve alla condizione di arretratezza socioeconomica e politica della borghesia.
La conseguenza è che alla testa del movimento nazionale si affaccia una direzione politica espressione di classi sociali diverse da quella borghese (dai contadini al proletariato) che nei contesti extra-europei raggiunge l’indipendenza e comincia anche un percorso di transizione al socialismo, mentre in Europa radicalizza le forme e i contenuti della propria lotta (si pensi all’izquierda abertzale basca).
Questi scenari fanno scricchiolare il mantra delle sinistre spagnole, secondo il quale la lotta per la repubblica catalana sarebbe una mera rivendicazione borghese con cui non sporcarsi le mani. Esaminata dai Països Catalans, l’incapacità e la vocazione unitaria della borghesia è un dato di fatto difficile da smentire: la borghesia catalana è stata per decenni fedele allo stato delle autonomie, una struttura che gli garantiva la comoda gestione delle risorse e del potere a livello regionale. E tutt’ora il grande capitale catalano è pienamente integrato nello stato unitario e nel nascente polo imperialista dell’Unione Europea, i cui assetti ritiene intoccabili. Il recente spostamento su posizioni indipendentiste della piccola borghesia non ha modificato la sostanziale inadeguatezza di questi settori di classe media (e della loro leadership) a compiere la rivoluzione necessaria per costruire la repubblica catalana.
Basti ricordare che, dopo un decennio di mobilitazioni e di successi elettorali ininterrotti, dopo le impressionanti manifestazioni di piazza (senza eguali in Europa), dopo gli scontri di Piazza Urquinaona, dopo aver raggiunto una maggioranza del 52% nella camera catalana (sia pure nel contesto della pandemia), ebbene dopo tutto ciò Esquerra Republicana de Catalunya elemosina ancora una trattativa con lo stato, mentre Junts per Catalunya nasconde con la retorica indipendentista il suo sostanziale ritorno alla gestione dell’esistente.
Parafrasando Engels, se ERC e Junts non avessero paura del popolo… le ultime unità della Guardia Civil avrebbero da tempo lasciato la Catalunya. Dunque non solo nei contesti più impoveriti dalle politiche dello stato unitario (dalla Galizia alla Sardegna passando per la Corsica) ma anche in Catalunya la borghesia non sembra all’altezza di portare a termine il compito dell’emancipazione nazionale. E proprio perseguendo questo obbiettivo, il progetto della storica area dell’esquerra independentista e anticapitalista si rivela da un lato il più interessante tentativo di far saltare il regime nato dall’autoriforma del franchismo, dall’altro un’opportunità per la critica radicale al capitalismo della crescente diseguaglianza, della devastazione ambientale e della sempre più accentuata tendenza alla guerra.
Pur non contenendo le generalizzazioni tipiche proprie della teoria, i numerosi contributi raccolti in Sull’Irlanda rappresentano degli strumenti essenziali per leggere il contesto delle nazioni senza stato europee.
Dalle osservazioni di Marx e Engels emerge implicita la domanda riguardo a chi spetti l’onere di riscattare la popolazione irlandese dalla miseria e dalla secolare soggezione allo stato inglese. Negli appunti per il discorso pronunciato da Marx il 16 dicembre 1867 alla Deutscher Bildungsverein Fuer Arbeiter di Londra, si legge che il popolo irlandese, soprattutto gli strati più svantaggiati, non segue più le proposte politiche degli aristocratici o dei borghesi come in passato, bensí si organizza nel fenianismo.
E il rivoluzionario di Treviri non sembra avere dubbi sulla necessità di sostenere questo nuovo movimento, che rappresenta una risposta sia all’emancipazione nazionale che a quella di classe. In diversi scritti degli anni’50 e ‘60 infatti, Marx contestualizza le relazioni tra Inghilterra e Irlanda nel quadro della divisione internazionale del lavoro e denuncia la consapevole politica della principale potenza imperialista dell’epoca: l’Inghilterra ha fatto dell’Irlanda un proprio distretto agricolo, miserabile e spopolato, dal quale pretende lana e bestiame a buon mercato e dal quale si approvvigiona della manodopera in eccesso (costretta all’emigrazione) per abbassare i salari e le condizioni di vita dei lavoratori in patria.
Marx evidenzia come la nascente manifattura irlandese sia stata spazzata via dalla concorrenza dell’industria inglese, benficiata dalle leggi approvate in seguito all’Unione dei due paesi, e come questi processi abbiano aperto in Irlanda una crisi sociale senza precedenti. Dal canto suo Engels, dopo il viaggio compiuto sull’isola, afferma drasticamente in una lettera del 1855 indirizzata a Marx che «l’Irlanda può essere considerata la prima colonia inglese e […] che le cosiddette libertà dei cittadini inglesi poggiano sull’oppressione delle colonie»[3].
Ancora nel discorso del 16 dicembre 1867 alla Deutscher Bildungsverein Fuer Arbeiter di Londra Marx sostiene che «la questione irlandese non è perciò semplicemente una questione nazionale, ma una questione di terra e di esistenza. Rovina o rivoluzione è la parola d’ordine […] Gli inglesi dovrebbero chiedere la separazione e lasciare decidere agli irlandesi la questione della proprietà fondiaria»[4]. E in una lettera a Kugelmann del 29 novembre 1869 scrive: «l’abbattimento dell’aristocrazia fondiaria (in gran parte costituita dalle stesse persone proprietarie in Inghilterra) sarà infinitamente più facile di qua, poiché in Irlanda non è solo una questione economica, ma allo stesso tempo una questione nazionale, poiché ivi i proprietari fondiari non sono, come in Inghilterra, i dignitari e i rappresentanti tradizionali della nazione, ma i suoi oppressori odiati mortalmente»[5].
Marx non ha paura di sporcarsi le mani con la questione nazionale, al contrario. E ribadisce in una lettera a Meyer e Vogt del 9 aprile 1870: «la distruzione dell’aristocrazia terriera inglese è, in Irlanda, un’operazione infinitamente più facile che nella stessa Inghilterra, poiché in Irlanda la questione agraria è stata fino ad oggi la forma esclusiva della questione sociale […] ed anche perché è inseparabile dalla questione nazionale»[6].
In altre parole, per un verso la sua analisi del caso irlandese tiene strettamente legate in ogni momento la questione nazionale e quella sociale o di classe; per l’altro Marx inquadra il tema nella cornice della divisione internazionale del lavoro.
Sono due indicazioni di metodo che consigliano una profondità analitica agli antipodi della denuncia a priori di ogni nazionalismo alla quale si è affidata talvolta la sinistra radicale, una denuncia senza distinzione alcuna tra il nazionalismo degli stati integrati nell’architettura imperialista dell’Unione Europea e quello dei popoli oppressi. Un rifiuto a priori dei movimenti di emancipazione nazionale che elude la riflessione sulla loro capacità di aprire una crepa nella prigione liberista delle istituzioni europee.
Dunque Marx appoggia i feniani e si adopera perché l’Internazionale adotti questa postura. Il successo di questa linea non è però scontato dato che i rapporti tra gli operai inglesi e quegli irlandesi sono tutt’altro che idilliaci. Scrive infatti Marx in una lettera a Meyer e Vogt del 9 aprile 1870: «E ora la cosa più importante!
Ogni centro industriale o commerciale inglese ha ora una classe operaia divisa in due campi ostili: i proletari inglesi e quelli irlandesi. L’operaio normale inglese odia l’operaio irlandese come un concorrente che abbassa il suo livello di vita. Rispetto all’operaio irlandese, si sente membro della nazione dominante e si trasforma così in uno strumento che gli aristocratici e i capitalisti del suo paese usano contro l’Irlanda, rafforzando in questo modo il loro dominio nei suoi stessi confronti. […] L’irlandese gli restituisce tutto ciò con gli interessi.
Egli vede infatti nel lavoratore inglese sia il complice che lo strumento stupido del dominio inglese in Irlanda.»[7]. Una netta linea di separazione corre tra gli operai dei due popoli, messi gli uni contro gli altri dalla concorrenza capitalistica (e non dallo sviluppo del nazionalismo irlandese). Marx non si nasconde questa divisione, al contrario la presenta come «la cosa più importante!».
Nella testa dell’organizzatore dell’Internazionale non c’è una classe operaia ideale, bensí la classe reale, con tutte le sue specificità, compreso il pregiudizio nazionale. Invitando a guardare alla realtà delle classi popolari, la riflessione di Marx fa così giustizia di un altro luogo comune, quello della naturale unità della classe operaia. Un mito che, nel caso della Spagna, viene alimentato ad arte dalle sinistre dello stato, secondo cui il movimento per la repubblica catalana dividerebbe la classe operaia.
Ma così come nell’Inghilterra dell’800 la divisione della classe precedeva la crescita dei feniani, allo stesso modo nello stato spagnolo la divisione dei lavoratori precede il referendum d’autodeterminazione del primo ottobre. L’anticatalanismo divide la classe già prima della crescita dell’indipendentismo. Negli strati sociali egemonizzati dalla destra l’anticatalanismo è un pilastro ideologico fondativo e la Catalunya è considerata una vera e propria minaccia per la Spagna una grande y libre voluta da Franco.
Nei settori popolari egemonizzati dalle sinistre statali invece, il movimento per la repubblica catalana è superficialmente rifiutato come un fenomeno borghese. I frutti di questa singolare coincidenza sono le folle, anche di estrazione popolare, che escono in strada a salutare festosamente la Guardia Civil, in partenza dalle diverse regioni dello stato per recarsi a reprimere il referendum d’autodeterminazione catalano.
La stessa Guardia Cívil che arresta Pablo Hasel o spara sui migranti nordafricani nelle acque del Tarajal per sbarrargli l’accesso all’Europa. È così che, in nome dell’anticatalanisno, si normalizza la repressione e si legittimano i peggiori istinti delle destre dello stato. È così che le sinistre spagnole compiono una piroetta paradossale: rifiutando il sostegno alle nazioni oppresse col pretesto dell’internazionalismo, finiscono per marciare al fianco della nazione dominante e e dello stato imperialista a difesa degli equilibri esistenti.
Sull’Irlanda documenta tutto il lavoro di riflessione teorica e di agitazione politica che Marx e Engels, alla testa dell’Internazionale, portano a termine nel corso degli anni per schierare il proletariato inglese e europeo a sostegno delle rivendicazioni del popolo irlandese, separazione e indipendenza comprese. E se c’è una indicazione che i due lasciano alla sinistra di classe riguardo alla questine nazionale, ebbene questa si può sintetizzare nel fare della priorità della rivoluzione il nord da seguire costantemente.
Una rivoluzione tutt’altro che pura, bensì caratterizzata dall’esplosione delle contraddizioni reali (compresa quella nazionale) proprie di ogni differente contesto. La repubblica catalana rappresenta un passo in questa direzione, verso il sovvertimento degli equilibri dell’Unione Europea, verso la lotta per la trasformazione delle economie e delle società delle due sponde del Mediterraneo. È perció che, nonostante l’esquerra independentista e anticapitalista sia tutt’altro che esente da errori, nonostante abbia ancora da compiere molta strada prima di scalzare le forze oggi egemoni nel movimento indipendentista, la lotta per la repubblica catalana merita il convinto sostegno della sinistra di classe europea.
[1] K.Marx. F.Engels, Sull’Irlanda, PGreco editore, Milano, 2021, pag.13.
[2] Ibid., pag.14.
[3] Ibid., pag. 93.
[4] Ibid., pag.168.
[5] Ibid., pag.347.
[6] Ibid., pag.357.
[7] Ibid., pag.358
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giancarlo+staffolani
“Dunque non solo nei contesti più impoveriti dalle politiche dello stato unitario (dalla Galizia alla Sardegna passando per la Corsica) ma anche in Catalunya la borghesia non sembra all’altezza di portare a termine il compito dell’emancipazione nazionale”.
“Una rivoluzione tutt’altro che pura, bensì caratterizzata dall’esplosione delle contraddizioni reali (compresa quella nazionale) proprie di ogni differente contesto. La repubblica catalana rappresenta un passo in questa direzione, verso il sovvertimento degli equilibri dell’Unione Europea, verso la lotta per la trasformazione delle economie e delle società delle due sponde del Mediterraneo. È perció che, nonostante l’esquerra independentista e anticapitalista sia tutt’altro che esente da errori, nonostante abbia ancora da compiere molta strada prima di scalzare le forze oggi egemoni nel movimento indipendentista, la lotta per la repubblica catalana merita il convinto sostegno della sinistra di classe europea”
L’indipendenza delle Nazioni grandi e piccole (e ancora senza stato) è parte della battaglia verso il multipolarismo cooperativo e solidale contro il suprematismo unipolare Euro-Occiodentale, questa battaglia non passa per per la “riforma” del superstato eurocentrico erede del neocolonialismo e che riproporrebbe nuova conflittualità competitiva tra potenze imperialiste sovranazionali.
Gianni Sartori
Mentre nelle carceri i prigionieri repubblicani (molti in attesa di giudizio) vengono sottoposti a umiliazioni inutili e – se pur in tono minore – il conflitto si riaccende periodicamente, l’Irlanda rimane dolorosamente divisa in due. Usque tandem?
IRLANDA DEL NORD: TUTTO RISOLTO?
MAGARI ANCHE NO
Gianni Sartori
Risaliva all’anno scorso la notizia che i prigionieri repubblicani detenuti a Maghaberry (carcere di massima sicurezza) non avrebbero più goduto della possibilità di incontrare qualche parente nei fine settimana (e senza che per questo aumentassero le possibilità di visita negli altri giorni). In soldoni: i familiari d’ora in poi avrebbero dovuto prendere un giorno di permesso, di congedo. Rischiando, oltre alla perdita di salario, anche quella del posto di lavoro (una volta identificati come parenti di militanti repubblicani incarcerati). Un’ulteriore vessazione che si aggiunge ad altre, talvolta francamante incomprensibili. Come quella di indossare maglie delle squadre di calcio gaelico anche sotto un maglione o una giacca (se ho ben capito la proibizione vale solo per i visitatori, non per i prigionieri).
O l’utilizzo di cani antidroga per interrompere i colloqui. Del tutto pretestuosamente dato che sono ben note le posizioni dei repubblicani in materia di stupefacenti.
A cui si aggiungono episodi semplicemente meschini. Come l’impedimento imposto da parte di visitatori parenti di detenuti lealisti (filoinglesi) a quelli dei repubblicani (cattolici) di utilizzare la toilette. Anche nei confronti di bambini e senza che i guardiani intervenissero.
Infierire sulle famiglie dei detenuti da parte del sistema carcerario indica che la situazione è tutto tranne che risolta e tranquilla.
Del resto anche quest’anno, se pur in tono sicuramente minore rispetto agli anni settanta e ottanta, dall’Irlanda del Nord è arrivato qualche segnale a ricordarci che il “contenzioso” (o se volete il “conflitto”) è ancora in atto.
Intanto attendiamo fiduciosi qualche indicazione dai molteplici biografi di Bobby Sands, dagli esperti e “addetti ai lavori” che per anni ci hanno edotto sulle tormentate vicende irlandesi (ma solo su quelle trascorse). Sperando dicano qualcosa in merito all’irrisolta questione della riunificazione dell’Isola (e magari anche su quella dei prigionieri politici). Nel frattempo tocca a noi, poverelli, accendere un lume per rischiarare il cono d’ombra e fornire qualche aggiornamento.
Per quanto riguarda il 2023, in febbraio la Corte d’appello della Lituania aveva confermato la decisione del tribunale di sospendere le accuse ci “terrorismo” contro l’esponente repubblicano Liam Campbell. Accuse ormai cadute in prescrizione, ancora nel 2018, in base alla legislazione in vigore all’epoca del presunto reato.
L’anno scorso Campbell era stato estradato in Lituania dall’Irlanda (nonostante le numerose proteste davanti a consolati e ambasciate, sia irlandesi che lituane) per un presunto contrabbando di armi a favore della Real Irish Republican Army (RIRA). Rimesso in libertà dopo l’estradizione, Campbell si era comunque presentato in tribunale.
Sempre in febbraio un esponente delle forze dell’ordine era rimasto gravemente ferito a Omagh (Contea di Tyrone) in prossimità di un’area sportiva. Subito dopo i due responsabili dell’agguato si erano dileguati. Le indagini si erano immediatamente concentrate su esponenti della RIRA (da cui era poi giunta una rivendicazione) e sei sospetti venivano arrestati tra Omagh e Coalisland.
Tuttavia quattro di loro venivano presto rimessi in libertà dopo essere stati interrogati.
Nella settimana successiva altri due presunti repubblicani coinvolti venivano arrestati a Belfast.
In aprile, nel corso di una sfilata repubblicana non autorizzata a Creggan (quartiere storicamente repubblicano di Derry) erano scoppiati disordini nel corso dei quali venivano lanciate alcune molotov da parte dei manifestanti.
Alla manifestazione (indetta per ricordare l’insurrezione del 1916) avevano partecipato centinaia di persone (ricordo che a Creggan erano nati Patsy O’Hara e Micky Devine, esponenti dell’INLA morti in sciopero della fame nel 1981) che erano scesi in strada preceduti da militanti in divisa paramilitare. Il corteo si era concluso al cimitero di Derry (dove sono sepolti Patsy e Micky, sulla loro lapide sta scritto “Morti affinché altri fossero liberi”). Forse non casualmente, tali avvenimenti sono accaduti alla vigilia della visita a Belfast di Joe Biden che partecipava alla commemorazione del 25° anniversario degli Accordi del Venerdì Santo (accordi messi in discussione dai repubblicani dissidenti nei confronti del Sinn Fein).
In questi giorni l’Irish Republican Prisoners Welfare Association, in rappresentanza di 27 prigionieri politici (di cui 21 in Irlanda del Nord) rinchiusi a Maghaberry, Hydebank e Portlaoise, ha nuovamente denunciato l’utilizzo della detenzione preventiva (senza processo e senza possibilità di cauzione) come metodo per prolungare all’infinito l’imprigionamento.
Tale situazione al momento riguarderebbe almeno una quindicina dei prigionieri repubblicani.
In alcuni casi alcuni sono stati rimessi in libertà – senza mai venir processati, tantomeno condannati – dopo anni di prigionia, in quanto l’impianto accusatorio nei loro confronti veniva semplicemente a cadere nel nulla.
Gianni Sartori