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Catalogna. Il lungo congresso della CUP: quale approdo per l’esquerra independentista?

Dopo i pessimi risultati elettorali registrati alle comunali catalane e alle elezioni per il Congresso spagnolo, la Candidatura d’Unitat Popular ha avviato nel dicembre scorso un lungo percorso congressuale che, attraverso diverse assemblee territoriali attualmente in pieno svolgimento, dovrebbe rilanciare la proposta politica dell’organizzazione, adeguandola a uno scenario ormai caratterizzato dal riflusso del movimento per l’autodeterminazione e per l’indipendenza della Catalunya.

La fase congressuale si è aperta con la discussione di un unico documento, condiviso dalle varie anime dell’organizzazione, e si è finora concentrata sulla ricerca delle necessarie correzioni della linea politica del partito, nell’intenzione di affilare le proprie armi e migliorare la presenza egemonica della CUP nel corpo delle classi popolari.

L’orizzonte sembra essere la rifondazione della formula dell’unitat popular, a partire dalla riproposizione dei propri principi fondamentali (socialismo, indipendentismo, ecologismo, femminismo), con la volontà di farne una proposta che interessi non solo una minoranza, peraltro spesso già politicizzata, ma che interpelli l’insieme dei settori popolari. Evidentemente più facile a dirsi che a farsi.

Nelle fila dell’organizzazione sembra esserci un certo consenso attorno all’idea di unitat popular intesa come la formula in grado di trasformare le necessità materiali delle classi subalterne in una lotta politicamente cosciente e in grado di fondersi con la proposta politica dell’indipendenza, del socialismo e del femminismo nei Països Catalans.

In questo schema, il perno dell’unitat popular è rappresentato dai lavoratori e dalle classi popolari, alla testa di un blocco sociale che non esclude l’alleanza tattica con la piccola e media borghesia sempre più impoverita, ma che in ogni caso vuole conservare un programma e una visione strategica di classe.

In base anche a queste premesse, la riflessione congressuale si è aperta ai contributi esterni, sia dei simpatizzanti che di tutta la vasta area di quella sinistra interessata alla proposta della costruzione dell’unitat popular.

Se è indubbio che la riflessione congressuale era ormai necessaria, è altrettanto vero che l’operazione della rifondazione dell’organizzazione si presta a diverse interpretazioni e sembra presentare sia rischi che virtú.

Differenti voci all’interno del partito hanno denunciato il pericolo dell’approdo a una versione per così dire “decaffeinata” della CUP ed hanno ribadito il rifiuto della logica della pura e semplice sommatoria di seggi al fine di governare le istituzioni (dai comuni alla Generalitat) denunciando il pericolo di convertirsi nel gestore amministrativo dello stato spagnolo e del grande capitale.

È questo il punto di vista di Endavant (una delle componenti interne alla CUP), che pure partecipa al processo di rifondazione.

Se questo rischioso scenario è stato finora apertamente rifiutato da tutta l’organizzazione, il suo fantasma ha animato una intensa discussione riguardo al rapporto tra le lotte nella società e il lavoro da compiere dentro le istituzioni.

In questo senso, gli eventi successivi al referendum del primo ottobre hanno dimostrato ampiamente che senza una vera e propria rivoluzione, senza degli istituti di partecipazione diretta che contendano il potere allo stato, non si costruisce la Repubblica catalana socialista. Su questo punto le differenti anime della coalizione coincidono. Ciononostante, la CUP non sottovaluta l’importanza della partecipazione nelle istituzioni.

In particolare la proposta diell’unitat popular ampia (allargata anche a settori affini ma esterni alla sinistra indipendentista e anticapitalista), la proposta cioè che ha portato la CUP a conquistare il Comune di Girona, è enfatizzata da diverse voci all’interno del partito come la formula più adatta a uscire dal proprio bacino elettorale di riferimento e ad incarnare il nuovo volto del partito.

E alcune di queste voci auspicano con una certa disinvoltura ciò che definiscono come una ‘nuova vocazione maggioritaria’ del partito, dando l’impressione di ritenerne la semplice interiorizzazione come garanzia del successo elettorale. E con il rischio di scambiare la legittima aspirazione all’egemonia gramsciana con una semplice sommatoria di sigle dall’esito incerto.

Alle sirene della partecipazione istituzionale si contrappongono coloro i quali ribadiscono la filosofia che ha fin qui guidato la CUP nelle istituzioni: parteciparvi per portarle al limite e superarle quando i rapporti di forza siano favorevoli.

Consapevoli che questo punto di rottura può essere raggiunto solo se esiste un movimento popolare in grado di costruire spazi di potere sempre più diffusi nella società, capace di contrapporsi alle istituzioni statali fino a sostituirle.

Come si vede il dibattito interno è aperto.

Un altro tema sul quale si sta sviluppando la riflessione è quello della direzione assembleare fin qui caparbiamente difesa da tutta l’organizzazione. Da qualche tempo però si sono levate sempre più spesso le critiche a un sistema che ha rallentato in varie occasioni la presa di decisioni importanti e che perciò sembra aver penalizzato il partito.

Nella discussione di queste settimane, pare farsi strada una proposta organizzativa che, pur difendendo e conservando in buona misura la partecipazione assembleare dei militanti, si inclina per la costruzione di una direzione politica più stabile, autorizzata a decidere nell’ambito della più ampia strategia generale.

È questa la proposta di diversi esponenti e settori interni, quali Poblle LLiure, che lega inoltre la necessità di rafforzare la direzione dell’organizzazione alla possibilità di assumere maggiori responsabilità all’interno delle istituzioni, qualora i rapporti di forza lo consentano.

Secondo questo settore inoltre, non si può semplicemente liquidare l’indipendentismo di Esquerra Republicana de Catalunya e di Junts per Catalunya come “indipendentismo borghese” ed è invece necessario dedicargli un’attenzione particolare per sottrarre la base dei due partiti all’influenza dei leader della piccola e media borghesia catalana.

Il vasto dibattito per il momento non sembra aver affrontato il tema spinoso della persistente difficoltà dell’organizzazione a Barcellona, dove non è rappresentata negli organi del Comune, e dove sconta la difficoltà di competere con la sinistra di obbedienza statale, che nuota come un pesce nel mare della metropoli cosmopolita.

È finora mancata anche una riflessione sull’assenza di un giornale d’area in grado di contribuire alla costruzione di una cornice interpretativa coerente con la visione politica della CUP (e della più ampia area dell’esquerra independentista e anticapitalista), inteso come uno strumento necessario nella lotta per l’egemonia nel campo della cultura.

Sui temi internazionali infine, sembra reggere un consenso interno che non ne ha reso necessaria la verifica congressuale. D’altro canto però, bisogna constatare come l’impegno contro la guerra della NATO, pur convinto e immediato, non sia stato finora sufficiente a costruire un movimento all’altezza della situazione.

La posizione internazionalista della CUP, fermamente contraria all’alleanza atlantica, schierata da subito contro il sostegno degli USA e della UE all’Ucraina, decisamente a fianco della resistenza palestinese (più volte evocata nel dibattito congressuale), rimane comunque uno dei punti fermi della proposta dell’unitat popular.

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