Un po’ per scherzo e un po’ sul serio, a un certo punto della nostra vita, tutti quanti abbiamo pensato che Black Mirror non fosse una serie tv distopica e visionaria ma una cronaca piuttosto fedele del nostro presente. È passato qualche anno, eppure la sensazione è sempre la stessa.
Il claim – «The future is bright», il futuro è luminoso – era perfetto, del resto la luce può significare tante cose: la fine del buio, certo, ma pure un qualcosa in grado di accecare. E in qualche caso pure di bruciare.
Dunque, quando leggiamo delle imprese di Elon Musk non dovremmo stupirci più di tanto. Possiamo percepirne la stranezza, forse addirittura possiamo provare un po’ di disagio, ma tutto sommato non dovremmo dirci davvero sorpresi dalle sue mosse.
Del resto, se sentiamo un rumore di zoccoli siamo più portati a pensare a un cavallo che a un unicorno, no? Il rasoio di Occam ce l’ha insegnato: l’ipotesi più facile è quella più probabile. Se Musk sembra un cattivo dei fumetti è perché probabilmente lo è davvero.
Adesso che è riuscito a comprare Twitter per 44 miliardi di dollari (tanto per fare un paragone: una cifra del genere basterebbe allo stato italiano per finanziare cinque anni di reddito di cittadinanza o quasi un decennio di Quota 100), Musk come primo atto ha deciso di buttare in mezzo alla strada la metà dei dipendenti, quasi 4mila persone che una mattina si sono viste recapitare una mail con cui, tra tanti ringraziamenti per il lavoro sin qui svolto e auguri per le migliori fortune a venire, vengono invitate a fare gli scatoloni e a levarsi dai piedi.
Tutti a casa ad aggiornare il curriculum. Questa misura non ha riguardato soltanto i lavoratori dei livelli più bassi, i soldati semplici, ma anche diversi manager, i generali del social network divenuto famoso grazie a Obama e ora popolato per lo più da politici e giornalisti avvitati in eterne polemiche delle quali alla lunga il senso tende a sfuggire.
Nel progetto di rilancio ipotizzato da Musk c’è anche un’altra mossa che è tutta un dire: le famose «spunte blu», quelle che certificano l’originalità del profilo di un famoso o di un famosetto, potrebbero diventare a pagamento. L’ipotesi iniziale di Musk era di metterle a 20 dollari al mese, poi, dopo una bizzarra trattativa con Stephen King, pare che il prezzo scenderà a 8 dollari.
Tutto questo è accaduto in meno di una settimana di gestione Musk, che in fondo per scalare Twitter ci ha messo appena pochi mesi. Era il 5 aprile scorso quando l’uomo più ricco del mondo aveva acquistato, per 3 miliardi di dollari, il 9.2% delle azioni del social network.
Venti giorni dopo, definito l’accordo da 44 miliardi miliardi per tutto il pacchetto, Musk si era tirato indietro accusando i vertici di Twitter di aver truccato le carte: i profili falsi sarebbero molti di più rispetto a quelli dichiarati. Alla fine, comunque, l’affare si è chiuso lo stesso e Musk, come primo atto, si è fatto riprendere mentre entra nella sede di Twitter con un lavandino in mano.
Didascalia: «Let that sink in», fatevene una ragione. Nel frattempo ha pure cambiato la descrizione del suo profilo con «Chief Twit». E ora? I progetti sono invero piuttosto fumosi: licenziamenti e spunte blu a parte, s’è capito che probabilmente partirà una caccia ai profili falsi e ai bot, e con ogni probabilità verrà riammesso Donald Trump, buttato fuori dalla piattaforma dopo i fatti di Capitol Hill.
D’altra parte il bizzarro Elon è diventato repubblicano qualche mese fa, a suo dire il Partito Democratico è ormai lo schieramento «della divisione e dell’odio». L’Unione Europea, dal canto suo, ha fatto sapere a Musk che, almeno in questo continente, le regole non cambieranno in virtù del suo arrivo e sullo sfondo già si vede il braccio di ferro che andrà in scena da qui ai prossimi mesi.
Per quanto tutta questa faccenda possa apparire assurda, sin qui Elon Musk ha fatto tutto quello che aveva annunciato. La coerenza tra intenzioni e azioni è massima e nulla lascia presagire che questa linea cambierà in futuro.
La normale eccezionalità di Musk non risiede in un’operazione spericolata e ambigua come l’acquisizione di Twitter, ma nella serie di cose che ha già fatto e che consideriamo in qualche maniera normali.
Parliamo di uno che è diventato l’uomo più ricco del mondo (secondo Forbes il suo patrimonio è stimabile in 223.8 miliardi di dollari) con una compagnia aerospaziale (la Space X) e con la multinazionale dell’automobile Tesla (che promette di rivoluzionare il trasporto privato in tutto il mondo), occupandosi inoltre di infrastrutture e tunnel (con la Boring Company), neurotecnologie (con la Neuralink Corporation) e intelligenza artificiale (con la Open Al).
Il suo obiettivo dichiarato è «migliorare il mondo e l’umanità», e in quest’ottica non va dimenticato il sostegno all’Ucraina invasa dai russi attraverso il libero utilizzo dei suoi satelliti in orbita intorno al pianeta Terra (salvo poi tornare parzialmente indietro e chiedere che qualcuno, tipo un governo, si accollasse le spese).
Ecco, in tutto questo, come possiamo dire che l’operazione Twitter, con i suoi annessi e i suoi connessi, sia una stranezza? Sarebbe meglio dire che questa storia ci ha aiutato a capire quale sia la vera natura di Elon Musk, ed è molto più banale di quanto possa sembrare.
Malgrado tutto questo futuro che siamo costretti a ingoiare in maniera acritica, spesso confondendo i cambiamenti con le rivoluzioni, il multimiliardario nato a Pretoria non fa niente di diverso rispetto a quello che, almeno dalla rivoluzione industriale in poi, fanno sempre quelli della sua specie: investire e guadagnare. Poi investire di nuovo per guadagnare ancora di più.
Il bene dell’umanità – nel nome del quale si sono consumate le più grandi tragedie della storia – è un concetto troppo sfuggente per essere reale, e un padrone non può che comportarsi da padrone, come lo scorpione che punge la rana, scegliendo di annegare nel fiume insieme a lei perché incapace di non agire seguendo la propria natura.
Tra il proprietario di una miniera di carbone del diciannovesimo secolo e Elon Musk le differenze sono poche e tutto sommato irrilevanti. Al massimo l’abbigliamento, ma nemmeno tanto visto che quelli là erano tendenzialmente degli eccentrici già allora. Tra una corsa allo spazio e l’ipotesi di una macchina supersonica, Musk resta sempre fermo, siamo noi che ci agitiamo. È il pendolo di Foucault: immobile, mentre intorno tutto gira.
* da Rolling Stone
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