Menu

L’Enfant Terrible del ’68 italiano: Romano Scavolini

Avrà luogo a Belgrado, oggi, in occasione del Festival Alternative Film/Videorassegna di cinema sperimentale tra le più antiche e importanti d’Europa la prima retrospettiva internazionale sul cinema di Romano Scavolini, intitolata “L’Enfant Terrible del ’68 italiano.

La retrospettiva, curata dal cineasta e ricercatore Tomaso Aramini, si focalizzerà sui cortometraggi realizzati dal regista romano di origine fiumana, a cavallo degli anni’ 60 e ’70.

Anni nei quali Scavolini metteva a punto strategie e tecniche d’avanguardia, che troveranno compimento e piena maturità nei suoi celebri lungometraggi: A Mosca Cieca e La Prova Generale.

La retrospettiva porrà l’accento sulla concezione radicale di cinema da parte di Scavolini, nella quale i contenuti politici ed esistenziali si accompagnano ad una struttura formale non solo antagonista del cinema tradizionale, ma costituente di un nuovo modo di vedere e produrre immagini, propedeutiche ad una rinnovata realtà di emancipati rapporti sociali.

Particolare importanza verrà data al rapporto spettatore/schermo, diade essenziale nella poetica scavoliniana, e al rapporto tra coscienza e drammaturgia che il cineasta romano rivoluziona ispirandosi agli stilemi brechtiani.

La retrospettiva anticiperà una più lunga rassegna dedicata al regista, che verrà presentata sempre a Belgrado in primavera, quando sarà proiettato un documentario/omaggio realizzato da Tomaso Aramini e prodotto dalla Method Srl.

Casa di produzione di recente nascita, quest’ultima, creata dallo stesso Aramini, il cui focus produttivo sarà il cinema d’autore e politico.

I corti selezionati per le proiezioni sono:

Febbre tranquilla (1964), durata 10′: Un reportage sperimentale fatto di foto animate che denunciano i crimini dell’imperialismo.

Solitudine (1966), durata 11′. Un uomo attraversa una metropoli contemporanea che pullula di manifesti pubblicitari, cabine telefoniche, squallidi muri.

Ecce Homo (1969), durata 10′. Un film ispirato alla dialettica francofortiana di Adorno e Horkheimer: le mani come strumento di sfruttamento capitalista, alienazione umana e guerra.

LSD (1967), durata 10′. Un viaggio allucinato negli ultimi giorni di un poeta prima del suicidio.

Diario del ritmo (1968), durata 11′. Una coppia vaga nei sobborghi di una metropoli alla ricerca della felicità.

Così vicino, così lontano (1970 ): durata 10′. Una panoramica lirica e drammatica delle periferie romane. Dal quartiere Olimpico all’Ostiense (gasometro) fino a Fiumicino. Commentato dal rumore della città e dalla musica.

Vinceremo (1968), durata 12′. Poema visivo agit-prop, nitido e senza compromessi, dedicato alla lotta di liberazione nera che spinge avanti le tecniche di montaggio di Santiago Alvarez.

Di seguito, un profilo di Romano Scavolini firmato dal regista Tomaso Aramini

*****

Nel fermento politico e artistico del decennio ’68-’77, il regista Romano Scavolini si afferma come l’autore più audace del panorama sperimentale italiano.

Sia nei contenuti proposti al pubblico, sia nella forma cinematografica perseguita.

Considerato un bambino prodigio per aver girato il suo primo lungometraggio a 18 anni, mentre lavorava come scaricatore di porto in Germania, l’“enfant terrible” del cinema italiano realizza la sua prima pellicola professionale, Blind Fly, nel 1966.

Si tratta di una controversa analisi della violenza senza scopo, provocata dalla mancanza di motivazione e senso nella vita del personaggio centrale.

Il film, che fece il giro dei maggiori festival internazionali, promuovendo Scavolini tra i cineasti “cult” della sua generazione, suscitò numerose polemiche in Italia, causandone il divieto di uscita al pubblico.

Due anni dopo, Scavolini scrive e dirige The Dress Rehearsal , una complessa odissea “joyceana”, strutturata su un gruppo di giovani insurrezionalisti marxisti, che preparano una Rivoluzione.

Caratterizzata da un alto grado di sperimentazione formale nel montaggio, la pellicola rompe i meccanismi commerciali di coinvolgimento e immedesimazione tra lo spettatore e i personaggi sullo schermo, ribaltando i codici dello spettacolo quale meccanismo identificativo dello spettatore.

Sarà poi la volta de La prova generale, un’affermazione radicale contro il cinema borghese e le sue tecniche di annichilimento e addormentamento della coscienza.

Ma il film, pur essendo stato acclamato dalla critica, fu nuovamente bandito dalla proiezione pubblica.

In questo periodo, Romano continua a realizzare numerosi cortometraggi e documentari sull’antropologia e le lotte sociali.

Esperimenti cinematografici attraverso cui ha ulteriormente sviluppato le sue idee di cinema alternativo, all’interno del quale l’interruzione della linearità spazio/temporale serviva da dispositivo per risvegliare la coscienza dello spettatore, verso un nuovo pensiero politico e un nuovo esserci nel mondo.

Nel 1976, intanto, si stabilisce negli Stati Uniti. Qui, nel 1980, scrive e dirige The Savage Hunt, sui crimini della giunta fascista in Grecia.

Mentre, nel 1981, firma l’inquietante Nightmare, uno dei film più potenti e spaventosi di tutti i tempi, classificato da Variety al terzo posto tra le vendite, nel weekend di proiezione di apertura, contando una distribuzione di soli 127 cinema a livello nazionale.

Etichettato, in modo fuorviante, come un film dell’orrore, Nightmare è, viceversa, una potente critica alla psicofarmacologia – pratica molto popolare negli USA – quale facile via d’uscita per silenziare le contraddizioni psichiche che il modo di produzione capitalistico origina.

Turbe e contraddizioni che riaffiorano nel protagonista del film in forma di psicosi, di libido repressa, rapporti sessuali disforici, impulso ad uccidere per fermare i suoi ricorrenti e terrificanti incubi.

Nightmare turbò fortemente il pubblico americano per i suoi risvolti simbolici.

Non solo perché Romano sovvertiva la grammatica hitchcockiana – in Hitchcock non si vede mai il sangue sullo schermo, mentre qui il regista ne mostra tanto – ma perché, all’interno di quel sovvertimento simbolico, il sangue finiva per rappresentare le ferite, le crepe della subordinazione della classe media americana al sistema di controllo del Capitale.

La rappresentazione della coscienza di una società, fondata sulla repressione sistematica di classe, razziale e psicologica, per la tranquillità dell’uomo piccolo-borghese.

Un uomo che nel film viene inghiottito dall’irrazionale, dalle stesse fiammeggianti energie che vorrebbe controllare e che assumono, invece, la forma di un killer incontrollabile.

Non a caso, le ambulanze furono messe in stand-by fuori ai cinema di New York.

Tornato in Italia, nel 2004 Romano Scavolini ha dato vita a The Apocalypse of the Monkeys , una trilogia di sei ore che sintetizza le sue opinioni politiche, le sue convinzioni filosofiche e oltre 40 anni di sperimentazione estetica.

L’Apocalisse delle Scimmie può essere considerata la sua Summa Theologica, ovvero l’ultima, meditata e coraggiosa provocazione di Romano sullo stesso cinema tradizionale.

Nel film, Romano destruttura le fondamenta della società odierna e la sua rappresentazione, attraverso una nuova grammatica cinematografica che porta alla massima tensione la tecnica del flusso di coscienza, in cui più storie e personaggi scorrono su diversi piani di consapevolezza, intenzionalità ed essere.

Una nuova drammaturgia filmica, che Scavolini porta avanti attingendo all’ idea brechtiana del teatro epico.

In The Apocalypse, la messa in scena e il montaggio non si concentrano, infatti, su ciò che provano i personaggi, ma su come il personaggio diventa cosciente e sull’ oggetto della sua presa di coscienza.

Con Apocalisse, l’obiettivo del regista è liberare il pubblico dal suo ruolo di spettatore-massa, posto dinanzi allo spettacolo della società – ribaltando l’assunto di Debord – liberarandolo, altresì, dalla rappresentazione di una realtà fondata sul reificante e svilente rapporto tra merci, ridefinendola come sistema modificabile di relazioni sociali, in cui la coscienza e la libertà possano essere ricercate e per esse si possa finalmente lottare.

Per concludere, dunque, la retrospettiva che si terrà domani a Belgrado, si concentrerà sui cortometraggi più audaci di Romano Scavolini, realizzati negli anni ’60 e nei primi anni ’70.

Film che riflettono sui temi politici più scottanti di quegli anni: dall’antimperialismo, alla lotta di liberazione dei neri; dai movimenti di liberazione nazionale alla lotta armata, per giungere alle prese di posizione ontologiche e politiche dei giorni nostri, contro il più alto e mortifero sviluppo della società dello spettacolo.

Società che trasforma ogni individuo in un mero spettatore di merci.

Inoltre, in questi film vediamo messe in pratica le più radicali idee di Romano sul cinema. In particolare, codici diversi per sovvertire la trama e rompere i tradizionali meccanismi di montaggio.

Film che emancipano lo spettatore, lo disalienano dal suo ruolo passivo, per sollecitarne l’azione secondo una forma altamente poetica, che è poi la firma di Romano. La firma di un incredibile autore, militante sovversivo del cinema, per troppo tempo dimenticato e ostracizzato.

- © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO

Ultima modifica: stampa

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *