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Giovanni Gentile: dalla discussione sul marxismo al sostegno del fascismo

Ricostruire la biografia intellettuale e politica del filosofo siciliano Giovanni Gentile (nato a Castelvetrano, in provincia di Trapani, nel 1875) significa fare i conti con una esperienza filosofica che ha caratterizzato profondamente la storia del nostro paese alla fine dell’Ottocento e nella prima metà del Novecento.

Il pensatore che fornì al fascismo, oltre che una giustificazione storica, un sostegno dottrinale, rappresentando il fascismo come compimento ideale del Risorgimento e concependo lo Stato fascista come uno “Stato etico” espressione dell’Io assoluto e quindi di tutto il popolo, era stato infatti uno dei maggiori protagonisti di quella discussione sulla teoria marxista che fu assai vivace alla fine dell’Ottocento.

Prova ne sia che il maggiore esponente del marxismo rivoluzionario, Vladimir Ilic Lenin, arrivò a dichiarare che “La filosofia di Marx”, libro di Giovanni Gentile pubblicato nel 1899, era “una delle migliori opere su Marx che fossero state scritte da una penna non marxista”.

L’apprezzamento per questa opera giovanile del filosofo siciliano si trovava nell’articolo “Karl Marx” steso da Lenin nel 1914 e destinato al “Dizionario enciclopedico Granat”: «È degno di attenzione il libro dell’idealista hegeliano Giovanni Gentile, “La filosofia di Marx” (Pisa, 1899); l’autore rileva alcuni aspetti importanti della dialettica materialistica che di solito sfuggono all’attenzione dei kantiani, dei positivisti, ecc.».

D’altro canto, pur avendo avuto il merito di porre il concetto di “prassi” al centro di un’acuta interpretazione del pensiero marxiano, a tale concetto (così come a quello positivistico di “processo evolutivo”) Gentile obiettò che attribuire capacità dinamiche e creative alla materia e alla sensibilità è contraddittorio, poiché solo il pensiero è capace di attività e di mediazione.

Di qui la necessità di un ritorno alla dialettica hegeliana, della quale peraltro Gentile propose una sostanziale riforma.

Dopo aver collaborato intensamente, al fianco di Benedetto Croce, alla rivista «La Critica» impegnandosi nella battaglia contro il positivismo, a partire dal saggio del 1912 “L’atto del pensiero come atto puro” Gentile venne elaborando il proprio sistema filosofico, che ha il suo fulcro nella “Teoria generale dello spirito come atto puro” (1916) e nel “Sistema di logica come teoria del conoscere” (1917-1922).

L’ultima sua opera teoretica, di notevole importanza dal punto di vista etico-politico, venne pubblicata postuma (1946) col titolo “Genesi e struttura della società”.

Professore di filosofia nelle università di Palermo, Pisa e poi Roma, all’avvento del fascismo, nel quale credette di riconoscere un movimento di rigenerazione morale della nazione in continuità con il Risorgimento, aderì al nuovo regime e fu ministro della pubblica istruzione.

A quest’epoca (1923) risale la riforma della scuola che porta il suo nome, la lunga durata della quale testimonia l’organicità sistematica con cui fu concepita e, almeno parzialmente, attuata (giacché lo stesso regime fascista cercò di stemperarne, in prosieguo di tempo, i caratteri più severamente selettivi).

L’identificazione di Gentile con l’ideologia e con la prassi del fascismo ebbe, in effetti, un carattere tutt’altro che occasionale: si veda nell’“Enciclopedia Italiana”, da lui diretta, il capitolo «Dottrina» della voce «Fascismo», firmato da Mussolini ma scritto in gran parte dallo stesso Gentile.

Del resto, il regime fascista compensò Gentile con grandi onori e, dopo il distacco del filosofo dall’attività politica, lo considerò sempre come uno dei suoi uomini più rappresentativi.

Sennonché con la crisi del fascismo, nel corso della seconda guerra mondiale, Gentile decise di tornare sulla scena politica avanzando un programma di unità nazionale (formulato nel “Discorso agli italiani” del 24 giugno 1943), aderendo dopo il colpo di Stato del 25 luglio alla Repubblica Sociale Italiana e al regime di Salò e assumendo infine la presidenza dell’Accademia d’Italia nel marzo 1944.

Furono soprattutto queste ultime prese di posizione a determinare la sua tragica morte ad opera dei partigiani fiorentini.

Tornando alla riforma della dialettica hegeliana, occorre chiedersi in che cosa consista le “riforma” attuata da Gentile. Questi osserva che nella “Logica” Hegel ha sostenuto che ogni concetto formale deve venir ricondotto all’atto concreto del pensiero; tuttavia lo stesso Hegel, obbietta Gentile, ha finito con l’oggettivare l’atto del pensare nel mero “pensato” di vuoti concetti, come Idea, Essere, Nulla, Divenire, astrattamente posti tra loro in connessione dialettica. Quella di Hegel è così una logica senza soggetto.

Chi pensa – chiede Gentile – nella “Logica” hegeliana? Bisogna correggere la dialettica hegeliana con un ritorno all’Io puro di Fichte, approfondendo però l’inadeguato tentativo fichtiano di ricavare dall’Io il non-Io, e cioè la realtà naturale e storica.

Punto di partenza della filosofia è il divenire del pensiero che pone se stesso e che in tal modo pone anche l’Essere, il Nulla e tutte le altre categorie. A tale atto viene ricondotta ogni realtà: natura, Dio, storia, nella visione dell’idealismo soggettivo ripristinata da Gentile, esistono solo nell’atto che li pensa e li pone. I dati naturali e storici sono il “pensato”, l’inerte traccia dell’attività passata del pensiero che si tratta di recuperare nell’attualità eterna del pensiero stesso.

Tale atto creatore del pensiero giunge alla propria autocomprensione attraverso tre tappe dialettiche corrispondenti alle forme più alte della spiritualità: l’Arte, che è essa stessa pensiero, ma soggettivo e “lirico”; la Religione, che pone l’oggetto indipendentemente dall’atto del pensiero, come realtà trascendente e inconoscibile; terzo momento è la Filosofia, che supera l’astrattezza, ossia l’unilateralità, dell’arte e della religione riconducendo Dio nell’uomo, e cioè mostrando la natura immanente, autonoma e creatrice dell’atto del pensare che è insieme soggettivo e oggettivo.

Tutta la storia si risolve allora nel divenire del pensiero, ovvero nella storia della filosofia, della quale l’attualismo gentiliano è il culmine, segnando il momento dello spirito divenuto consapevole di sé come atto libero, creatore ed eterno. Tale consapevolezza si manifesta nel reciproco riconoscersi degli io empirici in quanto partecipi dell’unico io universale che pensa in loro e che è l’atto che perennemente trascende se stesso senza mai ridursi a passiva oggettività.

Secondo il modulo dell’“identità”, che è tipico delle concezioni idealistiche in quanto “filosofie dell’identità soggetto-oggetto”, l’“altro io” è perciò un altro “noi stessi”; di qui la teoria di uno “Stato etico” assoluto in cui si risolvano e identifichino le volontà particolari e i particolari interessi empirici. Sono qui evidenti le consonanze di una dottrina come questa con le posizioni fasciste.

Mette conto infine di notare come Gentile negasse qualsiasi distinzione fra il conoscere e il volere: dal momento che il pensiero in atto non è un conoscere che presupponga un oggetto dato da contemplare (= “filosofia dell’identità”), esso è già attività; e quindi la conoscenza è insieme prassi, e viceversa. La filosofia, per lo stesso motivo, non è soltanto conoscenza, ma direttamente vita; reciprocamente, ogni attività umana è sempre già filosofia, perché espressione del pensiero in atto.

L’idealismo di Gentile culmina così in una forma di misticismo, ricca di toni attivistici e ottimistici che animeranno non solo il “Sommario di pedagogia come scienza filosofica” (1912), ove l’identificazione della pedagogia con la filosofia stessa, vista come attività e produttività infinita dello spirito, si esplica per eccellenza nel rapporto educativo, ma altresì nelle due grandi realizzazioni – la riforma della scuola e l’“Enciclopedia Italiana” – entro le quali si inscrisse il contributo di questo geniale esponente del neoidealismo italiano a quella che gli storici hanno definito come “la modernizzazione reazionaria del nostro paese”.

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2 Commenti


  • Sergio

    francente, a me è venuta in mente “parole” di Guccini…


  • Hans Bestho

    Articolo in cui è difficile rintracciare uno scopo (informativo, didattico, celebrativo filosofico?), un oggetto, un soggetto collettivo cui è destinato. Forse la finalità riassuntiva è soltanto quella di mostrare competenza in materia filosofica, col risultato di rendere incomprensibile il contributo gentiliano al fascismo e nel contempo esaltarlo tramite il comunista Lenin. Risultandone un indigesto minestrone di cui non si riesce a capire la composizione, dalle diverse verdure al brodo in cui è stato cucinato. Meglio il silenzio, su un periodo storico e relativi personaggi condannati dalla storia e dimenticati dal popolo in armi.

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