Helsinki, oggi. Lei lavora in supermercato, ma viene licenziata quando si scopre che porta con sé a casa la merce scaduta invece di buttarla nell’immondizia. Lui è un metalmeccanico, ma i suoi problemi con l’alcol lo fanno cacciare dal lavoro.
S‘ incontrano a una serata karaoke, ma a malapena si parlano. Si rivedono al cinema, ma lui perde il numero di telefono che lei gli ha dato. La radio rimanda solo notizie della guerra in Ucraina.
Parliamo di Foglie al vento, ultima pellicola di Aki Kaurismaki. Ovvero, l’essenzialità inestetizzante ma mai minimalista del feroce linguaggio dello sfruttamento padronale e sistemico.
Il lavoro e la solitudine ai tempi del capitalismo neoliberista, raccontati attraverso l’ipnotico fascino visivo dell’immagine antinarrativa.
Con un orecchio alle notizie sulla guerra in Ucraina – Kaurismaki è finlandese – di cui ci offre una rappresentazione allusiva attraverso la concretezza “economica” dei gesti immediati dei protagonisti, nei quali si rivela tutta la follia della Nato e di quest’Europa guerrafondaia e antipopolare.
Il film si costruisce attraverso una sequenzialità di scene iconiche che strappano l’anima con amarissimi sorrisi.
Tra grottesco, angoscia e disperazione. Mettendo insieme Freud e Marx. Marcuse e Lacan.
Cita Kaurismaki, con l’impalpabile sapienza del coltissimo cinefilo. Guardando a Godard e pensando a Fassbinder. Ricordando Chaplin e rincorrendo Buster Keaton. Reinterpretando Antonioni e restituendoci sprazzi di Rossellini.
Altro che i miseri intellettuali e artisti italici, post postmoderni e voluttuosamente quanto sussiegosamente citazionisti. Dediti alla servile e paracula sospensione del giudizio tra giravolte e salti mortali estetici e contenutistici.
Foglie al vento è un capolavoro persino emotivamente agghiacciante, che strappa la carne insieme al velo di Maya dell’ipocrisia borghese, con chirurgico sgomento.
Un film che ovviamente l’Academy losangelina non prende neanche in considerazione. E come potrebbero d’altronde gli Usa, patria del Capitalismo e massimi artefici della guerra in Ucraina?
E che i David di Donatello a stento candidano come miglior film straniero. Eh ma vuoi mettere? Noi abbiamo C’è ancora domani e Io Capitano.
Ce lo meritiamo tutto lo sfascio sociale e culturale dell’Occidente. E con esso, del cinema e del teatro italiani!
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Domenico
finalmente un commento scritto, come si diceva tempo fa , “parlando fuori dai denti”! Pienissimo accordo da parte mia e, soprattutto , super complimenti!
Maria Graziano
d’accordissimo!!! io ho sempre amato questo regista che mi risulta molto’indipendente’ !!!
Luca
Daccordissimo, foglie al vento ,come gli altri film di kaurismaki , si contrappone con i suoi personaggi caratterizzati da
proprie debolezze , fragilita, ma fieri onesti di grande spessore morale, a quella visione americanizzante fatta per lo piu di falsi rassicuranti eroi.
Marilena Davi
eccezionale analisi! io purtroppo non sono riuscita a vederlo ma ho visto altri film suoi miracolo a le Havre, l’uomo senza passato mi pare il titolo. La poesia, la decadenza (quella bella e tenera però) e altre cose nel Suo modo di fare cinema sono meravigliose..e poi pensi e ripensi finito il film ancora a tutto quello che ti ha lasciato dentro il cuore. e si poi non si può davvero più vedere il nostro cinema italiano, ma si può sempre optare x Barbie!!!!!
Daniele Vinciarelli
il capitalismo finanziario neoliberista ci sta ammazzando. ci sta succhiando il sangue. io ho 71 anni. lo mando affanculo. non mi mette paura. ma i giovani sono carne fresca da mangiare
Liviana Bizzi
L’ho visto in un Cineforum…concordo…è un capolavoro!Da vedere!
Diana Claudia
Bella la recensione sul film di Kaurismaki, la condivido e la stimo. Non stimo positivamente le parole che, per apprezzare un film, disprezzano altri. Le giurie sono composte da persone e le persone hanno, ognuna, gusti diversi l’una dall’altra. Meno male, altrimenti vivere in questo mondo sarebbe oltremodo noioso. E viva la democrazia che permette a tutti di esprimersi. Mentre pretendere il pensiero unico la nega. Scusatemi, ma sono stanca di leggere cattiverie.