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Casapound, tra rivelazioni e reticenze

Perplessità. Ecco cosa si prova leggendo il libro di Paolo Berizzi su CasaPound (edizioni Fuori Scena, 2025). All’annuncio della pubblicazione, il volume ha destato sommo scalpore perché per la prima volta un militante di CasaPound ha svelato i segreti dell’organizzazione.

Il racconto soddisfa abbastanza la curiosità superficiale, ma non arriva ad approcciare in maniera incisiva i temi più importanti, è come un’automobile che cammina con il freno a mano tirato: ti ci riesci a spostare, ma non vai lontano. Il libro – fornendo anche informazioni estremamente utili e interessanti – ci racconta parecchio delle dinamiche, dei fenomeni di colore, del gossip interno, delle reti relazionali, ma poi il racconto si ferma subito prima di arrivare a qualcosa che potrebbe servire a influire concretamente sul reale.

Ciò può essere dovuto a vari motivi, il primo riguarda la fonte. Chi fa il racconto, non è un ex militante, ma uno che ancora è interno all’organizzazione e che di sua spontanea volontà ha contattato Berizzi per raccontargli. Una anomalia assoluta, di norma operazioni del genere sono condotte da “pentiti” e “dissociati”, non da interni operativi.

Oltretutto, la fonte offre tutti gli elementi per essere individuata, cosa che la esporrebbe a una ovvia ritorsione. Lo stesso Berizzi non nasconde le proprie perplessità al riguardo e giustamente non esclude che si possa trattare di una operazione ben diversa dalla presa di coscienza di un singolo.

Pur nella consapevolezza di essere probabilmente usato per un disegno celato, Berizzi ha fatto bene a pubblicare questo racconto, perché offre informazioni utili a tutti gli antifascisti. Il fatto poi che queste informazioni forse servano soprattutto a qualcosa di diverso e indecifrabile, ovviamente alimenta la perplessità che accompagna durante la lettura.

Al netto di ciò, il libro ci offre tanto sull’impianto ideologico, sulla sistematicità della violenza, sulle reti e le protezioni di CasaPound.

Forse per faida interna, in quelle pagine c’è fango a profusione, a cominciare dall’opportunismo politico ed economico, con particolare riferimento al mercantilismo spinto. La loro militanza è caratterizzata anche da condizionamenti economici. Tuttavia la spiegazione delle fonti d’approvvigionamento economico è prevalentemente macchiettistica, si fa fatica a credere che sia tutto limitato a quanto riportato nel libro.

Aspetti scabrosi emergono pure in merito alla “vocazione sociale” di CasaPound. Sebbene la sede principale venga presentata come un’occupazione abitativa di “famiglie bisognose”, è abitata quasi solo dai dirigenti dell’organizzazione, che dispongono anche di quadrilocali (cosa quantomeno anomala nelle occupazioni). Non tutti gli aiuti raccolti da CasaPound durante le collette alimentari vengono poi distribuiti alle “famiglie bisognose”, se li mangiano pure i militanti.

Sul piano della comunicazione, è interessante la notizia che abbiano fatto ricorso a ritocchi fotografici per accrescere il numero delle loro schiere in corteo. Alcune attività di volontariato (come la pulizia dei parchi), talvolta erano solo delle messinscena da spendersi mediaticamente. Tutte cose che legittimamente portano a dubitare di ogni loro narrazione.

Particolarmente appetitosa la ricostruzione della loro rete di rapporti, anche se poi sugli ideologi la trattazione è estremamente sommaria, si fanno giusto limitati riferimenti a Gabriele Adinolfi e Rainaldo Graziani. Non del tutto inediti, ma interessanti, anche i rapporti con un boss del narcotraffico latitante.

Sempre per quel che riguarda le reti e i rapporti, il libro mette a nudo pure delle realtà francamente inimmaginabili, spiattellando cose che sicuramente provocheranno dei problemi agli interessati.

Da sottolineare che nel racconto è ricorrente ed estremamente pressante il riferimento ai rapporti con Fratelli d’Italia in generale, e con Giorgia Meloni in particolare, tanto da lasciare immaginare che tutta l’operazione possa essere un messaggio dei fascisti del terzo millennio rivolto in quella direzione, qualcosa tipo “c’è molto altro da dire, ma non lo facciamo…a patto che…”. Questa ipotesi potrebbe spiegare bene tante cose.

Tuttavia, l’aspetto più grave è certamente la lacunosa maniera in cui vengono descritti i rapporti con l’Ucraina. Il libro ci dà utili informazioni inedite, come il fatto che i militanti di CasaPound abbiano ricevuto addestramento militare da un’organizzazione di paracadutisti “accreditata dalla NATO” e “orgoglioso fornitore di addestramento delle forze d’assalto aeree ucraine”.

A fronte di queste notizie, il libro non fa però alcun riferimento a fatti che lo stesso Berizzi conosce molto bene: che CasaPound abbia stretti rapporti con l’Ucraina (nel racconto ci sono giusto vaghi riferimenti alle posizioni di politica estera e poco più) e dei loro militanti che hanno combattuto nelle forze armate di Kiev.

In un libro del genere, che oltretutto fa certe rivelazioni, come si può omettere di trattare di ciò? Anche se la fonte non avesse voluto parlarne, il giornalista avrebbe potuto riportarne la reticenza, sarebbe stato comunque un dato utile. Eppure, non se ne fa menzione. Una cosa così macroscopica non può essere una svista.

Berizzi è uno di quegli intellettuali che si è palesemente schierato al fianco del Governo di Kiev, quella banda criminale che è salita e mantenuta al potere grazie ai nazisti, e che dal 2014 tiene in scacco il Paese. Ma Berizzi è anche uno che deve la propria notorietà alla causa antifascista.

Ancora una volta emerge il problema che esiste un vero antifascismo, quello militante, e un finto antifascismo, quello borghese. Quest’ultimo organico a un blocco di potere che sul piano internazionale non si fa scrupolo di utilizzare e sostenere i fascisti per operazioni di penetrazione geopolitica.

Quando l’antifascismo borghese si trova di fronte alle contraddizioni insite nel suo agire, preferisce non affrontarle. Anche per questo il libro di Berizzi lascia tanta perplessità.

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