Centinaia di migliaia di persone si erano riversate nella capitale per un «venedì dell’avvertimento», ma contro di loro la polizia e le squadracce armate hanno fatto ricorso senza limiti alle armi da fuoco. I cecchini hanno sparato dai tetti degli edifici circostanti la piazza dell’Università. Le notizie più attendibili parlano di 41 morti. Si tratta della più dura azione di repressione verificatasi in tutte le rivolte del nordafrica da inizio anno. Esclusa la Libia, infatti, dov’è in corso una vera e propria guerra civile (anche gli insorti dispongono di reparti armati), nemmeno nei giorni peggiori della rivolta del Cairo si era arrivati a tanto.
Ali Abdallah Saleh, ha proclamato anche lo stato di emergenza. Poi, nel corso di una conferenza stampa, ha spudoratamente negato la verità e ogni addebito personale: «la polizia non era presente e non ha aperto il fuoco. Gli scontri sono avvenuti tra cittadini e manifestanti. È chiaro che ci sono elementi armati tra i manifestanti».
Dalla comunità internazionale, tanto sollecita nel prendere posizione, non è arrivata – così come nel caso dell’invasione saudita del Bahrein e della successiva mattanza a Manama – finora alcuna dichiarazione di condanna. Tantomeno una minaccia di intervento armato…
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