Poco dopo anche il capo dell’esercito yemenita schierato nella provincia di Amran, a nord di Sanaa, ha annunciato la sua adesione alla protesta. A cascata, si è aggiunto il governatore di Aden, la seconda città per importanza dello Yemen. A quel punto sono apparse molto realistiche le voci che dalla mattinata parlavano di decine di ufficiali dell’esercito passati con la protesta. Lo stesso ministero della difesa confermava la defezione di sessanta ufficiali nel sud est del paese.
In tarda mattinata, Ali Mohsin al-Ahmar, che comanda la prima divisione corazzata, ha tenuto un discorso in piazza, insieme ai suoi sottoposti: «annunciamo che sosteniamo e proteggiamo i giovani che protestano a Piazza dell’ Università a Sanaa».
Temendo il peggio, le truppe fedeli al dittatore hanno mandato carri armati intorno al palazzo presidenziale, cercando peraltro di presidiare i punti strategici della capitale. Ieri Saleh aveva dimissionato il suo stesso governo.
All’indomani della strage di dimostranti (52 morti, uccisi da non meglio precisati cecchini a Sanaa), nei giorni scorsi si era dimesso a Beirut l’ambasciatore yemenita in Libano, il primo rappresentante del regime ha prender ufficialmente le distanze da Saleh. Oggi lo ha seguito anche l’ambasciatore a Damasco, in Siria.
Su Al Jazeera, il capo della principale tribù dello Yemen, Sadek al-Ahmar, ha invitato Saleh a lasciare il potere con una «uscita di scena con onore».
Chiuso nel suo bunker, Saleh ha chiesto all’Arabia Saudita di mediare tra il suo governo e i gruppi di opposizione che da settimane chiedono le sue dimissioni. Secondo al-Jazeera, avrebbe inviato oggi a Riad il suo ministro degli Esteri, Abu Bakr al-Qurbi, con l’incarico di chiedere alle autorità saudite di mediare tra le parti.
Non come hanno già fatto in Bahrein, viene da sperare…
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