Latakia da domenica mattina, quando e’ stato dispiegato l’esercito, e’ una citta’ deserta, con negozi chiusi e pochi cittadini per strada. Secondo notizie di agenzia una campagna di sms ha invitato i cittadini a rimanere in casa. Il governo afferma che la presenza dell’esercito e’ necessaria per ristabilire la sicurezza dopo che “bande” di giovani hanno sparato dai tetti sulla folla per creare panico, mentre attivisti e contestatori attraverso i gruppi face book accusano gruppi para-governativi di aver aperto il fuoco per seminare terrore. Ufficialmente sono state registrate 12 vittime, di cui 10 esponenti delle forze di sicurezza. Fonti del locale ospedale affermano che 90 pazienti hanno ricevuto cure negli scorsi giorni. Ci sono racconti di cittadini che sono stati colpiti da pallottole mentre sparate dai tetti mentre camminavano. Stamattina, e nei due giorni precedenti, il segnale della compagnia telefonica mobile MTN non funzionava.
Da Latakia mi dirigo verso Hama, la citta’ dove nel 1982 una rivolta animata dai Fratelli Musulmani e’ stata stroncata con il pugno di ferro. Hafez Al Assad, padre dell’attuale presidente, ordino’ di bombardare la citta’: il governo non ha mai riconosciuto ufficialmente il numero delle vittime ma si parla di almeno 10000 civili. Vicino a Jamla, cittadina 20 km a sud, s’incontra un checkpoint improvvisato con qualche militare, poliziotto e civili armati. Fortunatamente il taxi non viene fermato.
E’ la conferma che dopo gli attacchi da parte di cecchini di Latakia alcuni gruppi di cittadini si stanno organizzando per la sicurezza con ronde e checkpoint e che la paura si sta diffondendo tra la popolazione. Il taxi procede tra colline pietrose, in un paesaggio che potrebbe trovarsi nei dintorni di Nablus, si attraversa la localita’ di Nahr al Bard, anche i nomi sono simili, fino ai campi verdi della valla dell’Oronte, il fiume pazzo che dal sud naviga verso il nord. All’entrata di Hama di nuovo un gruppo di civili armati a fare la guardia.
A differenza di Latakia, le strade ed il suq di Hama sono animati da cittadini apparentemente tranquilli, indaffarati nella quotidianita’. La Grande Moschea di Hama e’ la quinta, per “antichita”, dell’Islam, ci dice Ahmad, il custode, mostrandocela. Qui il venerdi’, giorno della preghiera, si riempie di fedeli, anche se il regime secolare del partito Baath non e’ stato tenero con le espressioni dell’Islam politico come i fratelli musulmani. All’inizio Ahmad conferma che ad Hama non ci sono problemi, e’ tutto tranquillo. Ma quando ci troviamo in una stanza isolata, senza che la polizia segreta possa sentirci, inizia a raccontare. Lui nel 1982 c’era. Dopo ha trascorso 16 anni in prigione a Tamour, vicino Homs, dove dice che gli impedivano di pregare, ma lui pregava lo stesso. Secondo Amnestry International Tamour e’ una dei centri di detenzione dove i prigionieri entravano vivi, ma non si sapeva come ne sarebbero usciti. Organizzazione dei diritti umani denunciano che ci sono ancora piu’ di duemila prigionieri politici nelle carceri siriane. Si mette il dito sulla bocca, si fa promettere che non ne parlero’. Secondo Ahmad nel 1982 sono morte 50.000 persone, tra cui donne e bambini. La gente di Hama si ricorda ancora il massacro ed ha paura. Ma ora l’aria sta cambiando, si respira anche ad Hama. “Non ci sono problemi tra noi e i cristiani” insiste Ahmad “qui accanto c’e’ una chiesa, noi festeggiamo le loro feste, loro festeggiano le nostre, mangiamo insieme. Il problema e’ con “quelli”, indicando verso l’altro. Sono attaccati alle loro sedie, non credo che lasceranno in potere. Il popolo vuole il cambiamento. Prevedo scontri molto violenti in futuro”. Ma la voglia di raccontare non riguarda solo i musulmani piu’ credenti. Jamal e’ un artista laico ed esordisce con il solito: “e’ tutto a posto, non ci sono problemi”. Mostra i suoi ultimi quadri in cui si interavedono gruppi figure che si contrappongono, ispirati dalla guerra in Libia di questi giorni.. C’e’ anche un ritratto astratto di Gheddafi. Zenga-zenga, lo chiama. “Gheddafi deve andare via, il popolo vuole la liberta’”. Hurryat, di nuovo. Sposta i quadri, ne mostra uno nascosto. La “Guernica” di Hama, dipinto struggento ispirato dal massacro del 1982. Tira fuori vecchie foto che mostrano la citta’ come era prima, con il centro storico intatto. Adesso al posto delle vecchie abitazioni rase al suolo dal bombardamento e’ stato costruito l’albergo Cham palace, un moderno mostro architettonico, per cancellare le tracce. Ma anche ad Hama, dove i muri delle case ancora ricordano il massacro del 1982, il regime di paura si sta incrinando e nei giorni scorsi si sono tenute manifestazioni di protesta.
Con il passare dei giorni la protesta in Siria si allarga, manifestazioni si sono tenute a Latakia, Hama, Homs e nei sobborghi intorno a Damasco, anche se ancora non si sono registrate folle oceaniche come in Tunisia ed Egitto. La situazione nel paese e’ diversificata ma le richieste dei manifestanti sono uguali: liberta’, misure concrete come la liberazione dei prigionieri politici e la fine dello stato d’emergenza. Inoltre, chiedono misure economiche e sociali che pongano fine ai privilegi dei pochi appartenenti alla classe dirigente. Dichiarazioni di attivisti affermano che oggi elicotteri hanno sorvolto la capitale. Oggi Daraa e’ stata nuovamente circondata dai carri armati dell’esercito, i cittadini hanno manifestato ugualmente chiedendo la fine della stato d’emergenza e gridando “vogliamo liberta’ e dignita’”. Il governo ha ufficialmente annunciato che intende cancellare la legislazione d’emergenza in vigore dal 1963, malvista dalla popolazione siriana perche’ permette arresti arbitrari, vieta manifestazioni di dissenso ed e’ alla base del potere dei servizi segreti, anche se non ha specificato i tempi. La reazione del governo appare confusa, e contribuisce ad alimentare confusione nella popolazione. Da un lato dura repressione che ha provocato l’altro numero di vittime di questi giorni (55 secondo Amnesty International), dall’altra promesse di riforme. Si continua ad aspettare un discorso ufficiale del Presidente Bashar. Gesti inequivocabili verso le riforme appaiono sempre piu’ pressanti per evitare l’esplosione di violenza generalizzata tra sostenitori del regime e contestatori, oltre a possibili scontri confessionali. L’amministrazione americana ha dichiarato l’impossibilita’ di un intervento straniero in Siria, “non ci sara’ una nuova Libia”. Anche Israele, nemico storico, appare spaventato dalla possibile destabilizzazione del paese vicino. Meglio un nemico prevedibile che il caos, sembra la linea del governo di Tel Aviv.
Le ambasciate di vari paesi europei, tra cui la Francia e l’Austria, stanno scoraggiando i propri concittadini dal viaggiare in Siria, anche se nel paese sono ancora visibili molti turisti. Due giornalisti della reuters di cui non si avevano notizie da sabato sono stati arrestati con l’accusa di una aver un regolare permesso per lavorare e rilasciati oggi. La situazione appare estremamente volatile, e l’evoluzione dipende in larga parte dalle reazioni del governo nei confronti delle richieste dei manifestanti.
* dall’agenzia NenaNews
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