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Restiamo umani!

 

 

Diventiamo Freedom Flotilla Stay Humans

L’assassinio di Vittorio Arrigoni, del nostro compagno amico e fratello Vittorio Arrigoni, è un crimine contro l’umanità. L’umanità che Vittorio ammoniva di non dimenticare mai, nemmeno di fronte alla più cupa disperazione, perché restare umani significa non smarrire il senso stesso ed il significato profondo dell’esistenza di ognuno di noi. Chi ha assassinato freddamente Vittorio, simulando di voler negoziare il rilascio di alcuni detenuti, ha inteso lanciare un monito a tutti quelli che non si piegano ad una situazione intollerabile, eppure tollerata, anzi provocata da una comunità internazionale attentissima al costo del barile di petrolio, ma assolutamente indifferente alle sofferenze dei popoli, delle persone in carne ed ossa.
Chi ha ucciso Vittorio voleva dirci: «State lontani da Gaza. State lontani dalla Palestina e da tutti i popoli arabi che pretendono di prendere in mano il proprio destino, che osano chiedere autodeterminazione, libertà, giustizia e diritti umani». Chi ha spento la splendida vita di un uomo meraviglioso ha sbagliato i suoi conti. A migliaia, da tutto il mondo, torneremo a Gaza ed in Palestina, romperemo l’assedio medioevale imposto dallo Stato di Israele ad un milione e mezzo di persone, nei confronti delle quali si arroga il diritto di decidere se, quanto e cosa possono mangiare; se e di quanta ed in quali ore possono disporre dell’energia elettrica; se e con quali strumenti possono arare i loro campi; se e quanto possono pescare nel loro mare; se e con quali giocattoli i bambini possono provare a distrarsi dall’incubo delle cannonate, delle bombe, del fosforo bianco. Vittorio sarebbe dovuto tornare in Italia nei prossimi giorni, per aiutarci nel lavoro che da mesi portiamo avanti per mettere in mare la nave che porterà il nome di Stefano Chiarini, una nave piena di uomini e donne di buona volontà e di aiuti umanitari. Una nave che quel figuro tragicomico che ci governa si è impegnato a non far partire, in stolido ossequio ai voleri di chi sogna la deportazione o lo sterminio dell’intero popolo palestinese. Avevamo bisogno del contributo che Vittorio voleva darci, disponendosi a percorrere in lungo ed in largo l’Italia per spiegare le ragioni della seconda Freedom Flotilla, le ragioni dei Palestinesi, le ragioni di una battaglia di civiltà. Ora, siamo più soli, perché la morte di Vittorio è di quelle che pesano come montagne. Ma l’immenso dolore provocato dal martirio di Vittorio ci renderà più forti, dall’Italia agli Stati Uniti, dalla Turchia alla Norvegia, dall’Irlanda all’Indonesia, ovunque la società civile stia organizzando la Freedom Flotilla, laici e religiosi insieme, rigorosamente senza un soldo da un solo governo, perché è così che si fa la solidarietà ed è così che Vittorio voleva insieme a noi.
Le manifestazioni che stiamo improvvisando oggi in tutta Italia e la manifestazione nazionale a Roma del prossimo 14 maggio testimonieranno dell’esistenza di un’Italia radicalmente diversa da quella di maggioranze ed opposizioni incapaci anche solo di concepire un’immagin della politica diversa da quella di una poltrona. Sono migliaia i senza potere che da quasi un anno costruiscono la Freedom Flotilla Italia, dalla Val di Susa a Lecce, da Palermo a Trieste. E siamo più uniti che mai, marxisti ed islamici, cattolici e laici, come il 17 gennaio del 2009 siamo stati uniti nella più grande manifestazione per la Palestina che si sia mai vista. Vittorio è il simbolo di questa unità, qui come a Gaza ed ovunque si lotti per la libertà e la giustizia: per questo siamo orgogliosi di annunciare che la seconda Freedom Flotilla cambia nome e diventa la Freedom Flotilla Stay Humans. Perché noi, nel nome di Vittorio Arrigoni, restiamo umani.
(Coordinamento Freedom Flotilla Stay Humans Italia)
www.freedomflotilla.it
Da “il manifesto” del 16 aprile 2011
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Manolo Luppichini
 
Un mediattivista tra gli spari nei campi di prezzemolo di Al Faraheen

La prima volta che ho sentito la voce di Vittorio Arrigoni è stata per radio. Era inizio Gennaio del 2009. Vittorio raccontava con tono deciso e pacato quello che gli stava succedendo intorno, nella striscia di Gaza sottoposta ai pesanti attacchi dell’operazione «Piombo Fuso». Nel corso della corrispondenza una voce in arabo lo avvertiva che i jet israeliani si stavano avvicinando. Senza scomporsi troppo lui ha continuato a parlare, descrivendo i luoghi e le persone che incontrava durante la sua camminata verso un luogo più sicuro. Era riuscito a condividere quel momento così drammatico in modo profondo, senza retorica, restituendo con le parole tutta la gravità della situazione. Avevo letto in precedenza qualche suo articolo pubblicato da questo giornale, ma l’impatto della sua voce era travolgente. Le sue parole erano riuscite a farmi sentire anche gli odori.
Solo poche settimane dopo l’avrei conosciuto di persona, il giorno stesso del mio arrivo a Gaza, poco dopo la tregua unilaterale dichiarata dal governo israeliano. Quella sera bastò annusarsi qualche minuto per capire che saremmo diventati amici. Vittorio sapeva come raccontare la realtà che lo circondava, con una passione rara. La sua esperienza nella Striscia era per me una sorgente continua di informazioni utili a costruire il mio reportage. La mattina seguente eravamo già sguinzagliati per Gaza a raccogliere interviste insieme. Tre giorni dopo abbiamo sentito il sapore degli spari nei campi di prezzemolo ad Al Faraheen.
Il mio breve soggiorno nella striscia mi ha permesso di saldare in nostro rapporto e da allora abbiamo mantenuto un contatto costante, fino a pochi giorni fa.
Il suo blog è stato per me una fonte continua di informazioni che colmavano le colpevoli lacune della maggior parte dei media mainstream. Un flusso appassionante che riusciva ad aggregare migliaia di persone, assetate di informazioni di prima mano.
Da qualche tempo aveva anche iniziato a maneggiare la telecamera, anche se era notorio che non fosse la sua «arma» preferita. Nonostante questo i suoi video erano efficaci e spontanei. Testimonianza dirette di un mondo parallelo.
Le armi di Vittorio erano il suo computer, la sua telecamerina, la sua voce, la sua sensibilità, la sua intelligenza vivace, il suo corpo.
L’utilizzo che ne faceva lo rendevano un prototipo di mediattivista. Un umano comunicante, un pazzo accanito di giustizia, di libertà. Instancabile nella sua continua opera di tessitura sociale. Una persona capace di raccogliere e riverberare i sentimenti di un popolo intero, rendendoli comprensibili a chi a quel popolo era estraneo. Questo suo lavoro costante ha rappresentato una spina nel fianco della propaganda sionista e non solo. Infatti non risparmiava critiche a chiunque oltrepassasse la linea dell’umanità, attirando su di se parecchie antipatie, anche insospettabili. Non era un giornalista, e nemmeno ci teneva ad esserlo. Era quel raro esempio di essere umano che impugna le sue armi non convenzionali per combattere una battaglia non violenta, anche per questo più efficace.
Con la sua scomparsa si apre una voragine che contribuisce a ripristinare la cappa di indifferenza che aleggia sulla Striscia di Gaza, martoriata da anni di assedio e di menzogne. È impossibile colmare questo vuoto, ma farlo diventa da subito una responsabilità collettiva. La sua morte è il suo estremo richiamo a restare umani. E per farlo ci vogliono gesti.



Da “il manifesto” del 16 aprile 2011
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Giuliana Sgrena
 
Perché si deve morire per dire la verità?

L’incubo che ti perseguita, notte e giorno, improvvisamente si materializza: un video su uno schermo, l’iconografia della morte messa in scena come ricatto alla vita. Un altro, uno di noi: pacifista, giornalista, volontario, uomo, donna ridotto a merce di scambio, arma di guerra o solo di propaganda. Una persona amica dei popoli oppressi, che ha speso la vita per sostenere la causa dei più deboli, viene barbaramente assassinata.

Non ti lasciano il tempo di pensare cosa fare per salvare Vittorio. Vittorio già non c’è più. Dei mostri ce l’hanno portato via, mostri sì, altrimenti come si potrebbe commettere un crimine così atroce? Come si può umiliare così un popolo che avrebbe bisogno di umanità e non di barbarie? Un crimine commesso innanzitutto contro i palestinesi da palestinesi obnubilati da un fanatismo che non ha limiti né frontiere. Quando si fa della religione un mezzo per raggiungere il potere e della morte uno strumento di lotta ci sarà sempre qualcuno che si ergerà al difensore più ortodosso del libro fino a considerare tutti gli altri nemici. Inutile cercare una logica quando la ragione sfugge agli schemi del fanatismo.
Eppure non vogliamo, non possiamo rassegnarci. Sebbene fare solidarietà o cercare di informare sulle atrocità della guerra (e Vittorio faceva entrambe le cose) sia sempre più rischioso.
Nonostante già le prime immagini di Vittorio non lasciassero molte speranze, pensavamo che forse l’ultimatum potesse essere un modo per alzare il prezzo, per segnare la presenza di un nuovo gruppo della nebulosa salafita qaedista sul terreno. Un terreno sempre più infido quello di Gaza. Ma non l’unico.
Ricordi e ipotesi: come finirà? Dipende da chi sono i rapitori, è la prima cosa da scoprire mi aveva detto Ra’ad, l’ingegnere rapito con Simona Torretta, Simona Pari e Manhaz. Ed è quello che ho cercato di fare quando è successo a me. Scrutavo ogni movimento, ogni atteggiamento per assicurarmi che i miei rapitori non fossero fondamentalisti e fanatici religiosi per escludere che appartenessero ad al Qaeda. Questo serviva solo ad avere qualche speranza di poter uscire viva, magari con una trattativa, anche se chi sequestra dei civili – peraltro tutti impegnati a fianco della popolazione locale – non può essere certamente sensibile alla vita umana. Non erano forse già stati uccisi Enzo Baldoni e Margaret Hassan e molti altri?
Eppure quando non si ha altra risorsa per resistere all’angoscia della prigionia anche attaccarsi a un filo pur flebile di speranza serve, come serve un nodo sulla frangia di una sciarpa per contare i giorni. Ma per Vittorio non ci sono stati giorni da contare, forse nemmeno ore. Nei momenti più atroci del mio sequestro pensavo al modo in cui mi avrebbero uccisa e passavano davanti a me i video dei vari stranieri ai quali era stata squarciata la gola e consideravo il colpo di una pallottola il male minore. Almeno fino a quando le pallottole non sono arrivate davvero, ma a spararle erano americani. Vittorio non è stato risparmiato, aveva il viso tumefatto, di Baldoni sono tornati pochi resti in una piccola cassetta di legno, tanto per dire che è stato sepolto e permettere alla famiglia di elaborare il lutto.
Proprio in questi giorni è uscito in Grecia un film documentario sui giornalisti in Iraq dal titolo Morire per dire la verità. Ma perché di deve rischiare la vita per dire la verità o per un gesto di solidarietà con i contadini o con i pescatori palestinesi?
E perché ripensando a chi non ce l’ha fatta insieme all’enorme dolore emerge quasi un senso di colpa, quella sindrome da sopravvissuto che qualcuno ha ritrovato nel mio racconto?
da “il manifesto del 16 aprile 2011
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