Luis Moreno Ocampo, argentino nato a Buenos Aires nel ’52, è il procuratore della Corte penale internazionale dal 2003 quando fu eletto, all’unanimità, dalla settantina di paesi che avevano firmato il Trattato di Roma da cui la Cpi è nata. Sembrava e poteva essere una buona scelta, anche perché fra i non firmatari della Corte c’erano anche gli Usa di Bush: un giudice non appartenente al mondo anglosassone e quindi presumibilmente non succube, che si era fatto una fama internazionale nell’85 quando poco più che trentenne era stato il n. 2 dell’accusa al processo di Buenos Aires – il primo da quello di Norimberga – contro i 9 generali delle giunte della dittatura argentina che fra il ’76 e l’83 si era lasciata dietro 30 mila desaparecidos. Poi, nel 92, aveva lasciato la magistratura e aveva aperto uno studio legale, assumendo legittimamente la difesa dei più svariati personaggi: dal perverso ex ministro dell’economia Domingo Cavallo a Diego Maradona, da un prete accusato di pedofilia alle vittime del criminale di guerra nazista Erich Priebke nel processo di estradizione.
Era diventato una star (anche in un reality tv), chiamato come consulente dalla Banca mondiale e dall’Onu, come visiting professor a Stanford e Harvard. Ma all’Aja come procuratore non ha fatto faville. E non solo per il suo stile di lavoro e comportamento (in mezzo anche la solita storia di sexual misconduct con una giornalista sudafricana, da cui uscì pulito) ma soprattutto per le sue scelte operative che, scriveva il Guardian nel 2009, portarono «a danneggiare la credibilità» della Cpi e a considerare la possibilità «di rimuoverlo» (il suo mandato scade a metà 2012).
Fin dalla sua nascita la Cpi era vista dai paesi terzi come «la Corte dell’Occidente», come scrisse The Nation, e dall’altro, gli Usa, come una mina vagante che poteva rivelarsi «anti-americana». Stando ai fatti della gestione Moreno Ocampo, aveva ragione The Nation e la Cpi divenne «rapidamente una Western Court per processare crimini africani contro l’umanità» che «ha preso di mira governi che sono avversari degli Usa e ignorato azioni su cui gli Usa non avevano nulla da ridire, come quelle dell’Uganda e del Ruanda nell’est del Congo, conferendo loro un’impunità di fatto».
L’esempio più clamoroso fu l’incriminazione, nel 2009, del presidente del Sudan Omar al-Bachir per il «genocidio» nel Darfur. Un’accusa considerata giuridicamente insostenibile da molti giuristi e politicamente disastrosa in quanto ha reso ancor più difficile la ricerca di una soluzione praticabile. Come, ora, con l’incriminazione a Gheddafi & company. Finora Moreno Ocampo ha mandato sotto processo o sotto inchiesta una dozzina di leader ed ex leader: tutti africani. Niente invece su Guantanamo, sull’Iraq, sulle nefandezze israeliani in Cisgiordania e Gaza. Sarà un caso, ma i cattivi sono tutti da una parte sola.
Era diventato una star (anche in un reality tv), chiamato come consulente dalla Banca mondiale e dall’Onu, come visiting professor a Stanford e Harvard. Ma all’Aja come procuratore non ha fatto faville. E non solo per il suo stile di lavoro e comportamento (in mezzo anche la solita storia di sexual misconduct con una giornalista sudafricana, da cui uscì pulito) ma soprattutto per le sue scelte operative che, scriveva il Guardian nel 2009, portarono «a danneggiare la credibilità» della Cpi e a considerare la possibilità «di rimuoverlo» (il suo mandato scade a metà 2012).
Fin dalla sua nascita la Cpi era vista dai paesi terzi come «la Corte dell’Occidente», come scrisse The Nation, e dall’altro, gli Usa, come una mina vagante che poteva rivelarsi «anti-americana». Stando ai fatti della gestione Moreno Ocampo, aveva ragione The Nation e la Cpi divenne «rapidamente una Western Court per processare crimini africani contro l’umanità» che «ha preso di mira governi che sono avversari degli Usa e ignorato azioni su cui gli Usa non avevano nulla da ridire, come quelle dell’Uganda e del Ruanda nell’est del Congo, conferendo loro un’impunità di fatto».
L’esempio più clamoroso fu l’incriminazione, nel 2009, del presidente del Sudan Omar al-Bachir per il «genocidio» nel Darfur. Un’accusa considerata giuridicamente insostenibile da molti giuristi e politicamente disastrosa in quanto ha reso ancor più difficile la ricerca di una soluzione praticabile. Come, ora, con l’incriminazione a Gheddafi & company. Finora Moreno Ocampo ha mandato sotto processo o sotto inchiesta una dozzina di leader ed ex leader: tutti africani. Niente invece su Guantanamo, sull’Iraq, sulle nefandezze israeliani in Cisgiordania e Gaza. Sarà un caso, ma i cattivi sono tutti da una parte sola.
* da “il manifesto” del 17 maggio 2011
- © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO
Ultima modifica: stampa