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Un fascista voleva uccidere il premier Sánchez. Ma per Madrid non è terrorismo

Nei suoi 41 anni di storia di persone in carcere per terrorismo l’Audiencia Nacional di Madrid ne ha mandate migliaia. Dissidenti baschi, giornalisti, intellettuali, musicisti, militanti comunisti, anarchici e antifascisti, esponenti politici e sociali catalani, sindacalisti, membri di organizzazioni armate. La legislazione spagnola in fatto di accuse di terrorismo non si è mai risparmiata nulla, prevedendo una casistica debordante che ha portato recentemente alla condanna a diversi anni di carcere di alcuni noti rapper – imputati per i testi delle loro canzoni – oppure di alcuni utenti dei social, finiti sotto la lente della magistratura per dei tweet o dei post su Facebook che prendevano di mira il sovrano, la famiglia reale, il Primo Ministro, il governo e addirittura gli esponenti della famiglia Franco o i gerarchi del ‘passato’ regime. Le condanne per terrorismo e incitamento al terrorismo sono fioccate a migliaia anche quando in altri paesi europei gli imputati avrebbero dovuto affrontare accuse assai più lievi quando non il non luogo a procedere trattandosi spesso di reati di opinione.

D’altronde il tetro tribunale sorge nella stessa sede dove ha operato per tutto il periodo del regime franchista il famigerato Tribunal de Orden Publico – nel 1977 gli stessi esponenti del regime avviato verso la cosiddetta ‘transizione’ si limitarono a cambiare l’intestazione accanto al portone – il tribunale speciale che la dittatura ha utilizzato per far condannare a morte o a pene tombali decine di migliaia di oppositori. E’ quindi davvero incomprensibile (o, per certi versi, comprensibilissima) la scelta da parte dell’Audiencia Nacional di non imputare per terrorismo Manuel Murillo Sánchez, arrestato lo scorso 19 settembre (ma la notizia è stata diffusa solo ieri) dalla polizia autonoma catalana mentre stava preparando l’assassinio del premier spagnolo Pedro Sánchez, “colpevole” di tentare di rimuovere la salma di Francisco Franco dal mausoleo nel Valle de los Caidos, fatto costruire dallo stesso dittatore a pochi chilometri dalla capitale.

Proprio in questi giorni il premier socialista spagnolo sta tentando di evitare che la salma del leader fascista venga spostata nella cripta della Cattedrale della Almudena, a Madrid, per evitare che il luogo della sepoltura continui ad essere – come da sempre avviene nel Valle de los Caidos – meta di pellegrinaggi nostalgici da parte di una destra nostalgica in evidente ascesa. Comunque l’esumazione e lo spostamento della salma del dittatore, previsti da un decreto legge varato nell’agosto scorso per modificare due articoli della Legge sulla Memoria Storica, sta slittando di settimana in settimana a causa di forti resistenze. Il decreto è stato approvato il 13 settembre dalle Cortes con 172 voti – quelli del Psoe, di Unidos Podemos e delle formazioni politiche delle nazionalità senza stato – ma gli eletti del Partito Popolare e di Ciudadanos (164) si sono astenuti, mentre l’estrema destra sta conducendo una virulenta campagna contro l’esecutivo e la Fondazione Francisco Franco e la famiglia del dittatore stanno portando avanti diverse azioni legali nel tentativo di impedire “il sacrilegio”. E’ in questo clima di impunità e legittimazione ideologica da parte di numerosi media e partiti politici che Manuel Murillo Sánchez ha pensato di passare all’azione. Eppure l’Audiencia Nacional ha deciso di non avocare a sé l’inchiesta, nonostante sia stata chiamata in causa dalle autorità catalane e statali di pubblica sicurezza e nonostante i reati di terrorismo secondo il Codice Penale siano di esclusiva competenza del tribunale speciale (artt. 571 a 580). L’estremista di destra è stato accusato di “cospirazione per attentare contro l’autorità con l’uso delle armi” e di “detenzione illegale di armi”. Mentre generalmente l’imputato, subito dopo l’arresto, viene condotto in un carcere intorno a Madrid e immediatamente tradotto all’Audiencia Nacional per la formalizzazione delle accuse, in questo caso il tribunale speciale antiterrorismo ha deciso di lasciare la palla al Tribunale locale di Terrassa, in Catalogna, dove Murillo è stato arrestato.

Il vigilante 62enne è il figlio dell’ultimo sindaco franchista della località di Rubì ed ha una spiccata passione per Francisco Franco e per le armi. Nella sua casa i Mossos hanno trovato un vero e proprio arsenale: ben 16 armi da fuoco, inclusi un fucile d’assalto militare Cemte e una Skorpion vz 61. E quattro fucili di altissima precisione, capaci di centrare un obiettivo a quasi 1500 metri di distanza, che il cecchino era in grado di utilizzare al meglio essendo un assiduo frequentatore dei poligoni di tiro e un tiratore provetto. Nella sua automobile gli agenti hanno trovato anche due pistole, di cui una modificata illegalmente. Nel corso dell’interrogatorio realizzato dopo l’arresto, l’estremista di destra ha ammesso di essere intento a preparare un attentato mortale al capo del governo spagnolo, dichiarando di essere pronto a “sacrificarsi per la Spagna”. Non si trattava di una fantasia: Manuel Murillo Sánchez si stava attivamente informando sull’agenda e sugli spostamenti del leader socialista e aveva cominciato a sondare gli ambienti neofascisti per trovare qualcuno che gli desse una mano.

 

La vicenda getta ulteriori ombre sul sistema giudiziario spagnolo dopo che la Corte Suprema di Madrid ha rovesciato una sua precedente sentenza con la quale aveva deciso due settimane fa che l’imposta di bollo sugli atti legati al mutuo dovessero pagarla le banche e non i consumatori.

Mercoledì i giudici della sezione preposta, con una maggioranza risicata di 15 a 13, hanno deliberato che devono continuare ad essere i cittadini, non gli istituti di credito, a corrispondere la controversa tassa sui mutui dando ragione alle banche che hanno condotto una violenta campagna stampa preoccupate di dover sborsare circa 5 miliardi di euro.

Come se non bastasse, sempre mercoledì il Tribunale Europeo dei Diritti Umani ha condannato Madrid per non aver garantito un giusto processo al leader della sinistra indipendentista basca Arnaldo Otegi, condannato a quasi sette anni di galera al termine del processo sul caso Bateragune perché giudicato in combutta con l’ETA. In realtà Otegi era tra i protagonisti di un conflitto e di un dibattito all’interno del Movimento Basco di Liberazione Nazionale che, non senza traumi, condussero il 20 ottobre del 2011 alla rinuncia definitiva della lotta armata e poi, alcuni mesi fa, allo scioglimento dell’organizzazione.
Secondo il Tribunale Europeo dei Diritti Umani la giudice Angela Murillo dell’Audiencia Nacional, che condannò Otegi, non era abilitata a gestire il processo perché Murillo, in un precedente procedimento contro il leader della disciolta Batasuna accusato di “incitamento al terrorismo”, venne smentita dal Tribunal Supremo che annullò il processo per “mancanza di imparzialità del magistrato”.
Di più: secondo la Corte Europea Otegi e altri quattro imputati non ebbero un “processo giusto” bensì furono vittime di un procedimento che ha leso il loro diritto alla difesa ed è stato contraddistinto dalla parzialità della corte.

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