Menu

Il presidente Usa cede a Netanyahu e gela le speranze dei palestinesi

GERUSALEMME
È un pugile a metà il presidente dell’Anp Abu Mazen. In attacco non riesce a combinare un granché ma, in compenso, è un buon incassatore. Pochi avrebbero assorbito, come ha fatto lui, i colpi bassi che gli ha sferrato tra giovedì e domenica Barack Obama. Il discorso pronunciato domenica dal presidente americano davanti all’Aipac, la più influente delle lobby statunitensi filo-Israele, lo ha messo alle corde ma non l’ha mandato ko. Così da due giorni Abu Mazen esorta il suo entourage a non criticare pubblicamente il discorso di Obama, in «attesa di capire».
Riprendersi da una batosta del genere però non sarà semplice anche per il fin troppo accomodante leader dell’Anp. In giro si legge di «confronto acceso» e di «tensione» tra il presidente americano e il premier israeliano Netanyahu sulla questione del ritiro di Israele «alle linee del 1967». Ma alla Muqata di Ramallah sanno bene che Obama, più di ogni altra cosa, ha stroncato le velleità dei palestinesi di giocare ad armi pari una partita che il governo israeliano vuole vincere con un netto 5 a 0 e non con un sofferto 2 a 1, fidando sull’arbitraggio americano.
No alla riconciliazione nazionale palestinese, no alla proclamazione dello Stato di Palestina il prossimo settembre all’Onu, sì all’annessione ad Israele di porzioni della Cisgiordania occupata, no al «diritto al ritorno» per i profughi palestinesi. Questo il succo del discorso di Obama che domenica non ha mai pronunciato la parola «occupazione», assai indigesta ai delegati dell’Aipac, e neppure «colonie». E se venerdì Netanyahu era apparso teso al termine dell’incontro alla Casa Bianca, ieri sera intervenendo a sua volta di fronte all’Aipac era sereno e tranquillo e ha calcato la mano solo per ribadire i punti fermi della sua linea contro l’Iran.
Obama è apparso così soft con Israele che i coloni e i rappresentanti dell’estrema destra quasi ci sono rimasti male. Si preparavano a proteste, ad alzare la voce, a lanciare anatemi e invece hanno capito che possono starsene tranquilli nelle loro case nei Territori occupati. Ieri Tzvi Ben Gedalyahu, firma nota del giornalismo vicino all’estrema destra, ha sottolineato sul sito di Arutz7 (la radio dei coloni) che Israele ha approvato circa 2 mila nuovi alloggi per coloni in Cisgiordania e a Gerusalemme Est (1.550 a Pisgat Zeev e Har Homa, 294 a Beitar Illit) proprio nei giorni della visita di Netanyahu negli Usa e Washington non ha fiatato.
«L’autorizzazione di queste nuove costruzioni è un messaggio per il mondo intero», ha detto alla radio statale Yair Gabai, della commissione del ministero dell’interno responsabile per le autorizzazioni per l’edilizia.
Nel weekend il conservatore Wall Street Journal ha riportato il malumore che regna tra diversi «donatori» ebrei americani, generato dalle pressioni che il presidente aveva fatto su Israele per fermare la colonizzazione (illegale secondo le leggi internazioali) delle terre palestinesi.
Prima del discorso all’Aipac uno dei democratici responsabili per la raccolta dei fondi, Michael Adler, aveva esortato il campaign manager di Obama, Jim Messina, a lavorare per eliminare l’immagine di un presidente «troppo critico» nei confronti di Israele.
Robert Copeland, un ricco e storico finanziatore dei democratici, avrebbe deciso di non votare ancora per Obama nel 2012. «Mi ha deluso molto – ha spiegato Copeland al Wsj riferendosi al presidente – la sua Amministrazione è stata fallimentare nei rapporti con Israele».
Da parte sua Malcolm I. Hoenlein, vice presidente della «Conference of Presidents of Major American Jewish Organizations», prevedeva qualche giorno fa problemi per il finanziamento della campagna di Obama. «Non ho dubbi sull’impegno dell’Amministrazione verso (la sicurezza di) Israele ma la Casa Bianca deve migliorare la sua comunicazione», aveva spiegato.
Obama ha rassicurato gli americani ebrei e Israele con il suo discorso all’Aipac? In parte sì, ma Netanyahu da lui vuole di più. Il vero test perciò sarà l’annuncio della visita, la prossima estate, del presidente americano a Gerusalemme.
In quell’occasione potrebbe affermare un sostegno senza precedenti alle posizioni di Israele, isolando ancora di più il governo palestinese (forse) di unità nazionale.
da “il manifesto” del 24 maggio 2011

- © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO

Ultima modifica: stampa

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *