Ali Mohamed Mansour, originario di Ajdabia e rettore della facoltà di Economia e Scienze politiche dell’università Al Fateh, spiega che hanno centrato un campo militare in disuso ma lo spostamento d’aria ha danneggiato le classi. Mostra i pesanti soffitti di cemento sfondati in due aule magne, i vetri rotti. Mentre Yasir, studente del primo anno, apre il quaderno dei visitatori e chiede di scrivere una frase sulla Libia e afferma che malgrado le bombe si continua a studiare, Mansour prosegue: “Quali sono i libici da proteggere e quali quelli da eliminare?”.
All’Accademia degli studi superiori il direttore Milad Salad Milad mostra al computer la foto di sua figlia Safà di due anni e mezzo e un piccolo racconto: nella prima notte di bombardamenti due missili hanno colpito a 500 metri da casa. In due mesi, Safà si è più o meno abituata. Suo padre invece non si è abituato a un altro fatto: “Mi sento tradito dai nostri amici universitari di un tempo. Avevamo contatti con centinaia di loro. Eppure solo due si sono fatti vivi dall’estero da quando è iniziata la guerra. Non mi interessa l’establishment, i Berlusconi che passano dal baciamano al pugnale, ma i miei colleghi…perché? Credo per le bugie quotidiane dei media di mezzo mondo. Quelle hanno dato il via alla guerra. Molte sono ormai smentite ma è troppo tardi. Se l’esercito libico fosse così terribile non avrebbe speso un mese a Zawyia per negoziare con i ribelli mediante i leader tribali”.
Leila, studentessa di Sabrata, e Sausan tornata dagli Usa sei anni fa con un master in inglese, chiedono perché i media mentono e perché l’Onu non cerca la verità. Risponde il professor Saad Al Ghariani, berretto e aria modesta, docente di gestione delle acque: “Perché in guerra la verità è senza denti. Nel caso libico, poi, il tipo di intervento esterno che è stato scelto ha accentuato il conflitto anziché moderarlo. Eppure l’Occidente si sta facendo male da solo”.
L’ingegnere Abdusalam Daghais si sofferma sul progetto di società degli oppositori dell’Est: “Un gruppo eterogeneo con una sola idea centrale: Gheddafi deve andar via. Però, cosa vogliono per il paese? Diversi leader della rivolta sono ex del regime. Sono fra i responsabili di quel che è stata la politica libica degli ultimi lustri. E anche della corruzione. Altri sono appena tornati, dopo decenni all’estero. Degli alieni. E poi fra di loro ci sono islamisti di estrema destra, monarchici, altri che si dicono comunisti…come andranno d’accordo? Il loro leader Jibril dice che la Libia dovrà diventare un’economia di servizi. Che vuol dire? Venderci al turismo?”.
Prosegue il professor Al Ghariani: “Io non sono in politica né ho questo tipo di ambizioni, vivo modestamente in un appartamento e mi guadagno la vita come insegnante, quindi posso permettermi di dire qualcosa sul concetto di ‘Gheddafi dittatore’. E’ un cattivo uso del termine: in una struttura come quella libica retta dalle tribù, un leader è accettato se conosce i bisogni del la popolazione e riesce a soddisfarli. L’Occidente considera il sistema libico ‘altamente totalitario’, ma esso è accettato dalla maggioranza della popolazione. E’ il minore dei mali. E negli ultimi dieci anni le cose stavano migliorando. Questa guerra uccide il fiore in germoglio. Non so se ci sarà un altro germoglio. La maggioranza dei libici desidera cambiamenti, desidera la lotta alla corruzione, ma non accetta questa enorme crisi creata da un gruppo molto limitato”.
Di diverso avviso Daghais: “Se siamo nel mirino è per la nostra politica indipendente, non controllabile. Avevamo rifiutato le basi militari Usa. Avevamo tentato un’altra via, poi i cittadini libici si sono stancati di anni di sanzioni e isolamento e il paese si è avvicinato all’Occidente”.
Si è conclusa ieri la missione del gruppo internazionale Global Civilians for Peace in Libya, invitato dalla organizzazione non governativa Fact Finding Commission che si occupa di raccogliere prove e documentazione sui fatti della guerra in Libia. Nella conferenza stampa i Global Civilians hanno sottolineato come l’informazione dei grandi media, falsata quando non del tutto “fabbricata”, abbia fornito la giustificazione per le decisioni Onu e l’intervento armato della Nato a sostegno di una delle parti in conflitto. Si fa appello all’Unione africana, alle Nazioni Unite e alla Lega Araba affinché siano condotte serie indagini sul terreno. Denunciano l’attacco Nato contro infrastrutture civili e cittadini, con atti di “pirateria internazionale” come il blocco di navi cisterna libiche. Le vittime di guerra, affermano, sono decine di migliaia di libici: le persone sfollate, quelle che hanno perso il lavoro, quelle ferite e uccise dalla Nato o nel fuoco incrociato.
Ancora di più i migranti. La delegazione denuncia anche il silenzio dei media di fronte a prove video e testimonianze di atrocità commesse dagli alleati libici della Nato.
E a proposito: i migranti africani di origine subsahariana ex lavoratori nella Libia orientale sono in una «situazione di estrema emergenza» secondo la denuncia della Fédération internationale des droits de l’homme (Fidh). Percossi, derubati, in certi casi uccisi : queste le testimonianze che cinquanta persone originarie del Corno d’Africa, fuggiti in Egitto, hanno reso all’organizzazione che li ha intervistati a Salloum. Etichettati come « mercenari di Gheddafi , una scusa per perseguitarli. Insulti, licenziamenti senza paga, attacchi da parte di gruppi armati. La missione del Fidh ha raccolto anche le parole di tre ragazze violentate. La comunità internazionale non li accoglie e «non ha condannato la loro persecuzione» afferma la Fidh.
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