Gli egiziani hanno cominciato ad affollare Piazza Tahrir dalle prime ore del mattino. E, al termine delle preghiere del venerdì, erano decine di migliaia. Uniti nel luogo storico della rivolta contro il regime di Hosni Mubarak, per il «Secondo venerdì della collera» voluto dalla Coalizione dei giovani rivoluzionari, dal Movimento 6 Aprile e da alcuni partiti della sinistra egiziana, per lanciare un segnale inequivocabile al Consiglio supremo delle Forze Armate (Csfa) al potere da febbraio che preme sul freno della trasformazione e del rinnovamento e invece promuove la «stabilità», o peggio la «conservazione». Consiglio militare che da un lato mostra un volto bonario – «non faremo sparare un solo proiettile contro i dimostranti» assicurano i generali egiziani – e dall’altro non esita a far arrestare per «sedizione» il graffiti artist Mohamed Fahmy, la regista Aida El-Kashef e il musicista Adel Rahman Amin (noto come NadimX on Twitter). Fermati mercoledì, i tre sono stati rilasciati ieri.
La tensione è rimasta alta tutto il giorno non solo in Piazza Tahrir – dove sconosciuti, forse agenti della sicurezza, hanno aggredito il leader del partito progressisa Alleanza popolare – e in altre zone della capitale. Migliaia di egiziani si sono raccolti anche a Suez, una delle città protagoniste della rivolta di fine gennaio, scandendo slogan contro i militari. Manifestazioni si sono svolte a Mansoura e Fayoum, Port Said e Alessandria e gli ospedali sono rimasti in stato di allerta. Contro Mubarak alcune centinaia di attivisti della Coalizione dei giovani rivoluzionari hanno organizzato un sit-in davanti all’Ospedale Internazionale di Sharm el-Sheikh, dove è ricoverato l’ex presidente in custodia cautelare dal 13 aprile, per chiedere che sia trasferito subito nella prigione di Tora (Cairo) in attesa del processo in cui è accusato di aver ordinato di sparare sui manifestanti di Piazza Tahrir nei primi giorni della rivoluzione del 25 gennaio. Giovedì l’ex vice presidente e capo dei servizi segreti, Omar Suleiman, aveva ammesso in un interrogatorio che Mubarak sapeva dell’uccisione di manifestanti da parte della polizia.
Ma quella di ieri è stata una giornata fondamentale anche dal punto di vista politico e dei rapporti futuri tra le forze della rivolta contro Mubarak, perché ha segnato una frattura netta tra le forze laiche e di sinistra e gli islamisti. I Fratelli musulmani (Fm) e i salafiti hanno boicottato totalmente la manifestazione per schierarsi con l’Esercito, sostenendo che l’Egitto ha bisogno di «stabilità». Si sono giustificati spiegando che avrebbero preferito un raduno contro la corruzione e a favore dell’arresto di tutti gli esponenti del regime di Mubarak ancora liberi. Si salda perciò quell’alleanza non dichiarata tra militari e Fm per il controllo sociale in Egitto che qualcuno aveva previsto subito dopo la caduta di Mubarak. Tuttavia in aperto dissenso con la loro leadership, la componente giovanile del movimento islamista ha preso parte alle manifestazione di ieri in Piazza Tahrir. Già nella rivoluzione del 25 gennaio gli islamisti più giovani contestarono l’attendismo dei dirigenti più anziani oltremodo cauti verso il rovesciamento di Mubarak che pure aveva usato il pugno di ferro contro i Fm.
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