È salito ad oltre cento arresti e una ventina di feriti il bilancio dei violenti scontri con la polizia scoppiati nella tarda serata di ieri a Belgrado al termine della manifestazione a favore di Ratko Mladic organizzata da migliaia di nazionalisti serbi. Il capo della polizia, Milorad Veljovic, citato dalla Beta, ha detto che tra i feriti ci sono almeno 13 sono agenti di polizia e quattro tra i manifestanti che hanno attaccato le forze di polizia schierate a difesa del Parlamento con lancio di sassi e bottiglie.
L’ex generale serbo-bosniaco è stato catturato dalla polizia di Belgrado giovedì scorso ed è in attesa di essere estradato al Tribunale penale dell’Aja (Tpi) con l’accusa di crimini contro l’umanità. Secondo alcuni testimoni sul posto, i manifestanti hanno lanciato sassi e bottiglie contro gli agenti in assetto antisommossa schierati davanti al Parlamento di belgrado, i dimostranti sono stati poi respinti dalle forze di polizia e si sono divisi in piccoli gruppi. Sono state infrante alcune vetrine e rovesciati cassonetti della spazzatura. È dovuta intervenire anche la polizia a cavallo. Secondo fonti concordi, vi sarebbero dei feriti sia tra gli agenti che tra i manifestanti. Gli agenti hanno effettuato alcuni arresti. Gli autori delle violenze, secondo le fonti sentite dall’Ansa, sarebbero settori della tifoseria di calcio di Belgrado, protagonisti di altri episodi di violenza quali quelli contro il Gay Pride di ottobre. Oggi oltre 10 mila persone, in massima parte nazionalisti, hanno manifestato nel centro di Belgrado per protestare contro la cattura di Mladic, da loro considerato un eroe nazionale.
I dimostranti – tra musiche patriottiche e bandiere nazionaliste con l’effigie di Mladic – hanno scandito a lungo slogan inneggianti a Mladic e contro il presidente Boris Tadic, definito uno «sporco traditore degli interessi della Serbia», avendo avallato la cattura dell’ «eroe» e la sua consegna al Tribunale dell’Aja. «La Serbia ha dignità e onore, e noi siamo venuti qui per lavare la vergogna che ci ha versato addosso Boris Tadic», ha detto ai dimostranti Dragan Todorovic, vicepresidente del Partito radicale serbo (Srs, ultranazionalista), organizzatore del raduno. Leader del partito è Vojislav Seselj, attualmente sotto processo al Tpi dell’Aja con l’accusa di crimini di guerra. «Tadic non è la Serbia» si leggeva su un grande striscione sistemato intorno al palco allestito sulla spianata antistante il Parlamento nel centro di Belgrado. In tanti indossavano magliette con l’effigie di Mladic e lo slogan «È forse un crimine difendere la Serbia?». Numerosi gli striscioni e i cartelli con il ritratto dell’ex generale e slogan patriottici e nazionalistici. «La nostra legge vieta l’estradizione in un altro paese di persone non in grado di affrontare un processo», ha detto dal palco il figlio di Ratko Mladic, Darko, che era affiancato dalla madre Bosiljka e dai familiari di Seselj. «Mio padre non è un criminale, lui ha solo difeso il popolo serbo e ha evitato un nuovo massacro di serbi come quello avvenuto (nella seconda guerra mondiale) a Jasenovac (il campo di concentramento in Croazia dove morirono decine di migliaia di cittadini serbi, ndr)», ha aggiunto Darko Mladic che ha poi invitato «tutti gli onesti generali russi, americani, canadesi e di altri paesi che furono in contatto con Mladic a dire la verità su di lui». In una atmosfera di forti sentimenti antioccidentali – con urla e fischi contro gli Usa e la Nato – gli oratori hanno esaltato l’operato di Mladic, un “autentico eroe serbo”.
Altri motivi di contestazione riguardano il diktat dell’Unione Europea che ha preteso l’arresto di Mladic – e non solo il rispetto dei parametri economici del Patto di Stabilità – per consentire l’ingresso della Serbia nell’Unione. “Se ci faranno fare la fine dei greci a che serve entrare in Europa?” sostenevano alcuni dei manifestanti.
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