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Il format della guerra nel teatrino della politica

I «profondo cordoglio», come al solito, si sono sprecati per la morte del militare italiano Gaetano Tuccillo ucciso ieri in un attentato della guerriglia talebana nell’ovest dell’Afghanistan. Più nuova, più irraccontabile e televisivamente scorretta, la «rabbia» del padre alla notizia della sua morte. Una morte sbagliata e inutile. Perché si ha l’impressione che il format «morte di un soldato italiano in guerra» così come i ben 4.200 soldati italiani che a caro prezzo teniamo in terra afghana, servano soltanto al teatrino della politica e alle sue ultime novità d’avanspettacolo. Servano a legittimare il dannunziano ministro della difesa Ignazio La Russa e le sue farneticazioni belliche, a confermare il vulnus all’articolo 11 della Costituzione incredibilmente da parte del Presidente della repubblica che dovrebbe presidiarlo e, adesso, perfino ad accreditare il falso pacifismo della Lega. Interessata più che allo svuotamento dei depositi di armi – ben piazzati nelle basi militari del nord, per le quali si guarda bene dal protestare – a condizionare strumentalmente il governo di destra.

Ma sarebbe stupido non vedere che quest’ultima vittima occidentale conferma anche il non-senso della presenza occidentale in Afghanistan. Quella guerra non serve a nulla ma diventa sempre più sanguinosa. È stata scatenata a fine 2001 come vendetta per l’11 Settembre, doveva sconfiggere i talebani e scovare Al Qaeda. Bin Laden è stato ucciso ma in Pakistan, ma i talebani, ormai impegnati in una guerra di liberazione nazionale, sono tutt’altro che vinti. Dal 2010 al 2011 molte aree considerate sicure sono passate sotto il controllo degli insurgent all’offensiva ovunque, come dimostra l’attacco all’Intercontinental a Kabul di pochi giorni fa. In un anno gli attacchi sono aumentati del 70%, sono caduti 800 soldati della coalizione Nato/Isaf e mille soldati dell’esercito afghano, più migliaia di civili – mai così tanti – che non contano e dei quali non sapremo mai il nome, sacrificati sull’altare dei nostri bombardamenti intelligenti e coraggiosi, dall’alto dei cieli. Il conflitto intanto è dilagato in un terzo del territorio del Pakistan. Come saranno i mesi che ci separano dal 2014, data fissata dall’amministrazione Usa per l’exit dal paese? E a fronte di tutta questa esportazione armata di «democrazia», avremmo dovuto avere salde e rinnovate istituzioni, invece dilaga in queste ore a Kabul lo scandalo della Banca centrale afghana che, come già per l’affaire oppio, coinvolge la famiglia del nostro protetto, il presidente Hamid Karzai.
No, non raccontiamole queste cose alla famiglia del soldato Gaetano Tuccillo. Meglio tacere. Meglio non dire che, mentre confermeremo la nostra impresa militare tra pochi giorni con il voto sulle missioni militari all’estero grazie all’avallo bipartisan e copiaincolla del Pd, la Casa bianca è ufficialmente impegnata da mesi a trattare con il perfido nemico talebano. Perché questa è la novità. Si è aperto lo scontro, dentro la Nato, su come gestire il corso e la fine delle guerre insensate in atto, in Iraq dove ancora si combatte, in Afghanistan e nella grottesca crisi dell’ex Libia. Si è insomma aperta la partita dell’Alleanza atlantica, sui costi e sulla capacità degli alleati di fare da sé, mentre avanza il colonialismo di ritorno anglofrancese. Queste guerre, motivate finora in chiave «umanitaria» e come lotta al terrorismo, non hanno più strumenti di convinzione. Sono costate, dice uno studio universitario americano, più della Seconda guerra mondiale. Come giustificarle allora nell’epoca in cui, morto Osama bin Laden e con quasi tutti i «cattivi» nelle galere internazionali o ricercati, raccontano che finalmente il «bene» ovunque trionfa? E mentre appare a tutti che il vero, concreto, «terrore» è rappresentato dalla crisi economica che devasta le società, dalla crisi dei debiti sovrani, dall’assenza di futuro dell’Occidente.
L’unico auspicio è che Gaetano Tuccillo sia l’ultimo morto – in assoluto – di questa carneficina. Non sarà così purtroppo. E anche questo parla di noi, del fallimento della sinistra, della morte del «vero» pacifismo.

 

su il manifesto del 03/07/2011

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