Un “amico” va trovarlo in casa, nel suo feudo nella provincia di Kandahar, e gli ha scarica addosso alcuni colpi di pistola prima d’essere a sua volta freddato dalle guardie del corpo. Inizialmente s’era ventilata l’ipotesi di un’esecuzione diretta da parte dei guardiaspalle sospettati d’essere Taliban infiltrati. Tattica, peraltro, consolidata ed efficace che ha già mietuto vittime fra figure di spicco e militari Isaf, e che rappresenta l’ossessione della strategia del disimpegno delle Forze Nato. Perché dimostra come i costosi piani McCrystal e Patraeus di rafforzare esercito e polizia afghane siano falliti. Cosicché l’inevitabile ritirata occidentale lascerà sul terreno, oltre ai propri soldati morti (oggi l’Italia paga l’ennesimo tributo con la sua 40° salma dal 2004 mentre le vittime complessive superano ampiamente le 2.500 unità), un territorio più instabile e meno controllato di quando Bush junior diede vita all’invasione dell’Enduring Freedom. Alcune testimonianze divulgate da Al Jazeera affermano che l’uccisore di Wali Karzai, Mohammad Sardar, era effettivamente un suo amico e socio. Come accade in tutti i sodalizi del malaffare evidentemente gli interessi divaricano le strade e le tagliano. Sardar era stato capo dei posti di blocco nella zona di Zakir Sharif, a pochi chilometri da Kandahar dov’è originaria la famiglia Karzai.
Di quella zona il fratello del presidente voleva diventare governatore. Una scalata meditata perché, come la carriera familiare insegna, la politica riesce a coprire meravigliosamente qualunque illecito e crea un incremento di opportunità a ogni genere di business. Per far conservare ad Hamid la carica di presidente Wali s’era ardentemente impegnato nella campagna elettorale del 2009. L’aveva fatto alla sua maniera: con un’infinità di episodi di corruzione e brogli a favore del chiacchierato premier. Verso taluni elettori non aveva disdegnato l’uso della forza e il sodale Sandar potrebbe averlo coadiuvato. Certo il loro brodo affaristico è stato quello che la stampa internazionale (Le Monde, Times) ha eufemisticamente definito “l’opaca e lucrativa attività delle società private di sicurezza”. Gli stessi documenti di WikiLeaks parlavano di una simile lobby attiva nel far circolare dietro compenso il materiale di aiuti e cooperazione nonostante la presenza su quel territorio di truppe canadesi e inglesi. Accanto a simili azioni, Wali Karzai brillava per la fama nel controllo di traffico di oppio e derivati i cui proventi ampliavano i conti di famiglia. Hamid Karzai sapeva e nascondeva. Gli dava manforte Baaz Mohammad Ahmadi, ministro della lotta (sic) al narcotraffico del suo governo. Il lavoro di Wali era doppiamente sporco. Grazie alle personali milizie diposte nel sud del Paese riusciva a sequestrare ingenti quantità di droga che venivano immesse sul mercato internazionale con la complicità della Cia.
L’Intelligence statunitense è stata la madrina di famiglia quando, durante il governo talebano, i membri erano riparati negli Usa. Wali faceva il ristoratore a Chicago. Al rientro in patria – mentre per Hamid si aprivano ampie prospettive di sostegno che passavano per l’alta politica di Pentagono e Casa Bianca – il fratellino si dedicava al lavoro di basso profilo morale ma di altissimo lucro. Di cui si avvalevano la Cia per la chiusura degli occhi di fronte a simili commerci e affaristi statunitensi. Entrambi ricevevano una profumatissima stecca. Secondo alcuni osservatori col tempo e con la crisi economica quest’ultimi incameravano fette sempre più consistenti di proventi del narcotraffico afghano. Per lavorare in tranquillità Wali un’altra stecca la versava ai Taliban che controllano le strade verso il Pakistan e verso l’area di Marja, dove oltre un anno fa scattò la famosa offensiva dell’Isaf diventata più campagna propagandistica che vigilanza sulle vie di comunicazioni. All’epoca i talebani operarono una ritirata strategica per poi rientrare in quella e altre zone, tanto che oggi da sud a ovest Kandahar, Helmand, Nimroz e, come ben sa la missione italiana, gran parte di Farah ed Herat sono sotto il continuo tiro guerrigliero. Ma ormai l’intero Paese è solo teoricamente sotto l’occhio della Nato, assediata nelle sue stesse caserme, attaccata nei luoghi simbolo come l’hotel Intercontinental di Kabul colpito due settimane or sono.
Il canale incrociato dell’affarismo del narcotraffico legato alla politica aveva visto nelle scorse settimane un altro incidente di percorso, meno grave perché non sanguinoso ma egualmente esplicativo dei loschi interessi di personaggi presentati come democratici. Il fratello dell’onorevole Fawzia Kofi era stato arrestato con due complici mentre trasportava un cospicuo carico di oppio. Naturalmente la parentela non è sinonimo di automatica partecipazione a illegalità o crimini, però nel sistema dei clan afghani i rapporti familiari sono funzionali a ruoli ben precisi. I fratelli Karzai insegnano. Ad Hamid non è rimasto che recitare un mesto epicedio durante il discorso davanti alla delegazione francese. Forse sente anche lui suonare la campana.
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