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Il primo morto nel “caso Murdoch”. Che potrebbe lasciare

Hoare, che si è sempre occupato di spettacolo, ha sempre collaborato con la polizia. Ed è stato il primo a chiamare in causa Andy Coulson, ex direttore ed ex portavoce di Cameron, per lo scandalo intercettazioni illegali che ha travolto il gruppo Murdoch e portato alla chiusura del tabloid domenica scorsa.

E’  inquietante il fatto che dopo la caduta delle teste lavorative adesso iniziano a cadere i morti in campo e purtroppo non è solo un modo di dire. Infatti proprio ieri ha lasciato il capo della polizia britannica, Sir Paul Stephenso. Oggi è toccato al suo vice John Yates.

La polizia è stata chiamata a Langley Road, Watford dai vicini di Hoare. Una volta arrivati, gli agenti hanno dichiarato subito il decesso. «Le causa della morte al momento non sono state ancora accertate, ma – stranamente – le autorità di polizia (Scotland yard è pesantemente coinvolta; si son dovuti dimettere sia il capo che il vice) hanno già dichiarato che il decesso “non appare sospetto”.

  Hoare aveva scoperto l’esistenza delle pratiche di intercettazioni quando un collega lo aveva consigliato di rivolgersi a uno dei suoi capi per scoprire dove si trovasse una persona su cui stava scrivendo un articolo. Il responsabile era tornato poco dopo con le informazioni richieste e gli aveva rivelato che la persona in questione si trovava in Scozia. Hoare in un’intervista al ‘New York Times’ affermò che l’ex direttore del tabloid britannico non solo era a conoscenza delle intercettazioni, ma incoraggiava i suoi redattori a intercettare i telefoni delle star per trovare nuovi scoop. Alla Bbc raccontò poi che Coulson gli chiese di mettere sotto controllo i telefoni delle persone e che lo «incoraggiò sempre a farlo». Coulson ha sempre respinto ogni accusa. In ogni caso il giornalista è stato licenziato dla tabloid nel 2005. E per anni ha cercato di disintossicarsi da problemi di droga e alcol.

Lo scandalo è di dimensioni tali da portare lo stesso Murdoch sul punto di mollare. La reputazione di un impero con 51.000 dipendenti e ricavi annuali per 32 miliardi di dollari e il supporto degli investitori per la famiglia Murdoch sono infatti fortemente in discussione.

La posta in gioco nell’audizione di Rupert e James Murdoch, prevista per oggi, è elevata. E Rupert Murdoch – riporta il Wall Street Journal, oggi di sua proprietà – che da un anno studia di lasciare le redini di News Corp, potrebbe decidere di farlo fra pochi mesi, lasciando il posto a all’attuale chief operating officer, Chase Carney.

L’audizione in Inghilterra è il culmine di 40 anni di amore e odio fra News Corp e la politica e il pubblico inglese. Molto prima che il cellulare fosse diffuso, prima quindi dello scandalo delle intercettazioni, l’attitudine del pubblico e della politica inglese nei confronti di Rupert Murdoch era al confine fra ammirazione e avversione: in Inghilterra Murdoch non ha mai chiesto scusa per la fusione fra media e politica, un mix che ha causato l’ira – evidenzia il Wall Street Journal – del pubblico quando il suo impero continuava a crescere. News Corp. controlla il 40% delle vendite di carta stampata e con la propria quota in BskyB, il 6% dell’audience televisivo. Murdoch, secondo i suoi sostenitori, ha portato scelta nella televisione con le attività di BskyB.

«Le conseguenze dell’audizione potrebbero essere estese. Anche prima che lo scandalo emergesse, Murdoch stava valutando di lasciare come amministratore delegato di News Corp. in favore di Chase Carey: in questo scenario – Rupert Murdoch resterebbe come presidente esecutivo – osserva il Wall Street Journal – . Murdoch non deciderà ora ed è probabile che questo accadrà in qualche mese». I legami fra Murdoch e la politica inglese sono sempre stati stretti: il presidente della commissione che fra poche ore sentirà Murdoch sarebbe «amico di Les Hinton, l’amministratore delegato di Dow Jones che si è dimesso venerdì, e avrebbe cenato con Rebekah Brooks e altri dipendenti News Corp». Il conflitto di interesse scuote pure la “perfida Albione”, regine di vizi privati camuffati sempre con “pibbliche virtù” difficilmente rispettate.

La concorrenza, intanto, affila le armi. “Alcuni manager di News Corp hanno perseguito per anni strategie con l’intento di oscurare le eventuali malefatte di The News of the World”. Lo riporta il New York Times, sottolineando che due giorni prima che lo scandalo delle intercettazioni scoppiasse James Murdoch avrebbe detto ad alcuni amici che riteneva che il peggio fosse alle spalle e che era fiducioso per l’offerta da 12 miliardi di dollari per BskyB. «Le prove indicano che the News of the World ha pagato la polizia per informazioni e che la casa madre ha versato somme a coloro che minacciavano azioni legali. Il tabloid ha continuato a pagare giornalisti ed editori le cui conoscenze avrebbero potuto creare imbarazzo. Il computer di un editore è stato distrutto e le email di prova distrutte».

 

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da La Stampa

New York Times” contro Murdoch: “Paga per seppellire gli scandali”

Dal “Wall Street Journal” replica al vetriolo: “Non accettiamo lezioni morali da chi ha legittimato Julian Assange, noi non paghiamo le fonti ma altri lo fanno, anche in America”

Lo scandalo britannico sull’impero di Rupert Murdoch sbarca in America sotto forma di una guerra di carta: il “New York Times” apre il fronte americano dell’offensiva contro la News Corporation a colpi di rivelazioni imbarazzanti e il “Wall Street Journal” ribatte con un editoriale in cui difende la credibilità del gruppo, accusando i detrattori di non avere la coscienza troppo in ordine avendo difeso Julian Assange.

I due maggiori quotidiani di New York duellano senza risparmiarsi colpi bassi dal 2007, quando Murdoch acquistò il conservatore “Journal” con la dichiarata intenzione di sostituire il liberal “Times” nel ruolo di giornale che “stabilisce l’agenda di cui si discute in America”. Per oltre una settimana il “Times” di Bill Keller e Jill Abramson ha seguito in maniera scrupolosa i fatti londinesi ma l’affondo è arrivato con l’inchiesta su “News of America Marketing”, una società di raccolta pubblicitaria di News Corporation guidata da Paul Carlucci, ex editore del tabloid “New York Post” sempre di Murdoch. I reporter del “Times” hanno scoperto che negli ultimi cinque anni Carlucci ha versato 655 milioni di dollari di fondi di Murdoch in risarcimenti legali e danni ammettendo episodi di spionaggio industriale e violazione della concorrenza in più Stati, dal Michigan al Minnesota fino al New Jersey.

La tesi del “Times” è che la strategia di ricorrere ai soldi per “seppellire gli errori” è la stessa seguita da Murdoch in Gran Bretagna con la decisione di chiudere il tabloid “News of the World” al centro dello scandalo sulle intercettazioni telefoniche. L’accusa a News Corporation è dunque di operare in America come in Gran Bretagna, tantopiù che gli episodi documentati in New Jersey imputano a “News of America Marketing” la sistematica violazione di password online che evoca metodi simili alle intercettazioni di comunicazioni private. Se a questo si aggiunge che l’Fbi ha aperto un’inchiesta su possibili implicazioni americane dello scandalo britannico e che il ministro della Giustizia Eric Holder ha sulla propria scrivania una denuncia della News Corporation per violazione della legge “Us Foreign Corrupt Pratices Act” che persegue chi commette gravi infrazioni all’estero, Rupert Murdoch deve aver avuto il sentore che la battaglia si sta allargargando agli Stati Uniti.

Da qui la contromossa del “Journal” di Robert Thompson che ha dedicato gran parte del giornale di ieri allo scandalo: il titolo di apertura in prima pagina e due intere pagine all’interno sull’arresto di Rebekah Brooks puntano a provare ai lettori la perdurante “integrità del quotidiano” attestata anche dall’indagine interna svolta dal “Dow Jones Special Committee”, composto da cinque saggi indipendenti incaricati dal 2007 di vegliare sui comportamenti dell’editore. Al tempo stesso però il “Journal” tiene però a rispondere ai rivali del “Times” con un editoriale al vetriolo nel quale accusa “concorrenti e politici” di sfruttare lo scandalo inglese “per assalire noi e forse la libertà di stampa”. “I tabloid britannici sono conoscuti da decenni per comprare gli scoop” edunque chi sfrutta gli errori commessi da “News of the World” per attaccare News Corporation ha la coscienza sporca, tantopiù se le “lezioni suglistandard di giornalismo vengono da pubblicazioni che hanno legittimato moralmente Julian Assange e Wikileaks” come il “New York Times” ed il “Guardian” britannico, che scelsero di pubblicare i telegrammi segreti del Dipartimento di Stato.

Ma non è tutto, perché il “Journal” recapita un palese avvertimento alla concorrenza: “Noi non paghiamo le fonti di informazione ma si tratta di una pratica molto diffusa nella stampa, inclusi gli Stati Uniti”. Come dire, se il “Times” sceglierà la guerra aperta su intercettazioni e corruzione non è detto che a soccombere sarà la testata di Murdoch. Ce n’è abbastanza per prevedere che il nuovo capitolo della sfida promette scintille.

Maurizio Molinari

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La vita spericolata di Sean Hoare: alcol, droghe e rivelazioni scomode

Paolo Bernocco

Chi aveva interesse a veder morto Sean Hoare? Molti, verrebbe da pensare, considerando che si sta parlando dell’uomo che con le sue rivelazioni ha fatto scoppiare lo scandalo intercettazioni che sta facendo tremare mezza Inghilterra, dal premier Cameron fino al magnate dei media Rupert Murdoch. Secondo la polizia, tuttavia, le circostanze del decesso di Sean- trovato senza vita nel suo appartamento di Watford- «non sembrano sospette». Il reporter aveva scoperto per la prima volta l’esistenza di queste pratiche quando un collega gli aveva consigliato di rivolgersi ad uno dei suoi capi per scoprire dove si trovasse una persona su cui stava scrivendo un articolo. Il responsabile era tornato poco dopo con le informazioni richieste e gli aveva rivelato che la persona in questione «si trovava in Scozia».

A uno stretto amico di Andy Coulson, ex direttore di “News of the World”, Hoare aveva rivelato che quando i due lavoravano insieme al Sun il direttore utilizzava le intercettazioni abitualmente, bollando come «semplici bugie» le voci che lo volevano estraneo alla vicenda. Il giornalista aveva raccontato che non solo Coulson era a conoscenza delle intercettazioni, ma «incoraggiava tutto il suo staff» ad effettuarle per ottenere delle esclusive.

Tornato sotto la luce dei riflettori la scorsa settimana – quando aveva rivelato che i cronisti di “News of the World” si servivano di tecnologie della polizia per rintracciare le persone sfruttando il segnale dei loro cellulari – Hoare aveva poi descritto nei dettagli le pratiche utilizzate dai reporter del giornale di Murdoch: «In 15, 30 minuti si era in grado di localizzare la posizione di qualsiasi persona». «Quando un giornalista aveva bisogno di qualche informazione confidenziale – raccontava Hoare – ne parlava al news desk e in poco tempo otteneva la risposta. Bastava non chiedersi il perchè».

L’uomo non nascondeva le sue debolezze e un passato difficile, fatto di droghe, alcol e lunghe fasi di riabilitazione, ma andava ripetendo: «Ora tutto ciò è irrilevante». Teneva a sottolineare di non aver tratto alcun beneficio economico dalla vicenda, e un po’ rimpiangeva i tempi in cui da giornalista di punta dello showbiz londinese passava lunghe nottate in sfarzosi party con popstar e divi dello spettacolo.Il suo unico scopo, adesso, era «ripulire» il giornalismo britannico da queste pratiche spietate, e si augurava che le sue rivelazioni potessero essere d’aiuto a tal proposito. Un desiderio rimasto irrealizzato.

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Stampa debole, libertà a rischio

 

LONDRA
Roy Greenslade è uno che la sa proprio lunga sui tabloid. Ha lavorato come correttore di bozze al Sun, proprio appena era stato comprato da Murdoch, al Daily Mail, al Daily Star ed è stato direttore del Daily Mirror «quando ancora poteva essere considerato un buon giornale», come dice lui. Attualmente insegna giornalismo presso la City of London University, è editorialista per l’Evening Standard e ha un blog (seguitissimo) dedicato ai media sul Guardian da cui negli ultimi due anni ha sferrato i più violenti, ma anche i più lucidi attacchi contro Murdoch, il suo impero mediatico e il pericolo che costituisce per la libertà di stampa in Inghilterra e nel mondo. Il giorno dopo l’uscita dell’ultimo numero del News of the World ha scritto sul Guardian: «Nelle 48 pagine del giornale che hanno celebrato i suoi supposti momenti più alti, Murdoch ha cercato di fare la parte dell’eroe e di nascondere la propria volgarità. Non solo, molte delle volgarità sono state rivestite di una patina disgustosa di eroicità».
Che cosa significa il Murdoch-gate per l’industria giornalistica in questo momento?
Questo scandalo mette una pressione particolare sui giornali in Inghilterra. Adesso siamo tutti sotto esame, perché questo è il momento in cui i politici possono permettersi di dire la loro sulla stampa e eventualmente possono tentare di limitarla. In poche parole, anche se Murdoch è un criminale, è di fatto una colonna portante dell’industria mediatica, giornalistica in particolare. E sono tempi davvero difficili perché altri proprietari possano sostituirlo.
Lei ha è stato direttore del Daily Mirror, ha lavorato anche per Daily Mail, Sun, Daily Express e Daily Star. Di certo, ha una buona conoscenza del mondo dei tabloid. Cosa può dire al riguardo?
Com’è noto, in Inghilterra abbiamo due tipi di giornali. Personalmente lo definisco «il fenomeno delle due stampe»: la stampa seria che lavora nell’interesse pubblico e la stampa d’intrattenimento. Questo secondo tipo di stampa ha bisogno sempre di più e più materiale per trovare lo scoop. In genere le loro vittime son i vip, che interessano una parte della popolazione ma non sono di interesse pubblico.
Negli ultimi vent’anni, la pressione sui tabloid per trovare sempre nuove storie è incredibilmente aumentata e si è verificato il fenomeno che ha portato allo scandalo News of the World: i giornalisti sono sempre più pronti a correre rischi enormi pur di avere l’esclusiva su una storia.
Dove porterà il Murdoch-gate?
È davvero impossibile dirlo. Abbiamo già alle spalle due anni di investigazioni della polizia; adesso sono state indette due inchieste da parte del governo. Sono sicuro che ci saranno sempre più azioni civili da parte, ad esempio, di celebrità che non hanno denunciato in passato News Corporation. Jude Law è l’esempio più recente. Non è un caso che Rebekah Brooks abbia detto, dando le dimissioni, “capirete le motivazioni del mio arresto tra un anno”. Credo proprio che in questo anno rivelazioni più scioccanti seguiranno, altre persone verranno arrestate e altre saranno accusate. In più, la polizia è furiosa verso la compagnia di Murdoch e ha già detto pubblicamente “li prenderemo”.
Crede sia lecito fare un parallelo tra Silvio Berlusconi e Rupert Murdoch?
Fino a poco tempo fa avrei detto di no, ma questo episodio apre nuove prospettive. Di sicuro, dopo la nomina ad addetto stampa del governo e il successivo arresto di Andy Coulson, non possiamo negare che esiste un legame stretto e perverso tra media e politica. I media devono assolutamente ritornare a essere liberi e completamente indipendenti in Inghilterra.
Cosa ne sarà di BSkyB, la seconda tivù a pagamento del Regno Unito?
Sarebbe interessante se a News Corporation, che adesso possiede il 39%, venisse ridotta la quota. Sarebbe davvero un colpo durissimo al gruppo del tycoon in Gran Bretagna. In ogni caso, la compagnia ha un grande futuro davanti a sé. Sta già andando bene e secondo me vedrà grandi profitti nei prossimi tre anni, Murdoch o non Murdoch.
Pensa che Murdoch potrebbe decidere di vendere i suoi giornali inglesi?
Ho sollevato la questione in questi giorni sul mio blog per il Guardian. Credo che al momento sia molto improbabile, ma è possibile che a un certo punto venga costretto dalle circostanze. Però ad esempio, lui adora il Sun e penso che farà davvero di tutto per tenerselo.
Cosa crede che succederà se risultasse qualcosa dalle investigazioni americane dell’Fbi?
Secondo me c’è un po’ di confusione al riguardo. Gli agenti dell’Fbi al momento stanno investigando sulla condotta dei giornalisti statunitensi al News of the World. Non stanno ancora verificando se le stesse pratiche illegali siano state applicate ai danni di cittadini americani. In ogni caso, se dovesse risultare che anche i telefoni americani sono stati messi sotto controllo, allora per Murdoch saranno di sicuro guai ben più seri.
Molti dicono che questa potrebbe essere la fine dell’era dei tabloid in Inghilterra. È d’accordo?
Di sicuro, una parte fondante dei tabloid sarà fortemente ridotta, ed è la parte che noi chiamiamo kiss and tell, ovvero tutto quello che riguarda il gossip legato ai vip. In realtà il declino dei tabloid non è solo imputabile al Murdoch-gate, anche la recente legge sulla privacy ha avuto e avrà un peso. Sta diventando sempre più difficile ottenere interviste con personaggi famosi e credo che i tabloid dovranno trovare un modo di reinventarsi.
È strano pensarci ora, ma quando ho iniziato alla City University, la mia prima lezione – nel 2004 – si intitolava «Ci porteranno all’inferno?». Il tema erano i tabloid e la mia tesi, ovviamente ancora ignara di intercettazioni illecite, mazzette ai poliziotti e investigatori privati, mirava ad analizzare in che misura l’industria dei tabloid stesse danneggiando ed eventualmente erodendo dall’interno l’intera industria giornalistica. Non potevo immaginare fino a che punto. (viola caon)
da “il manifesto” del 19 luglio 2011

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