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Cameron, l’aspirante dittatore

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da “Il Sole 24 Ore”

Io blogger e vigilante per le strade di Londra: «Questi ragazzi non chiedono nulla»

di Angela Manganaro

Ruwayda Mustafah Rabar è nata in Kurdistan, vive a Londra, ha 22 anni, studia legge, scrive per l’Huffington Post, nel suo blog si definisce scrittrice, femminista, ciclista. Da tre giorni twitta puntuale la rivolta a Londra, reporter di quello che accade sotto casa sua. «Vivo nel South West – scrive – ieri (lunedì) ho partecipato al programma di vigilanza organizzato dagli abitanti del mio quartiere. Ho dovuto chiamare la polizia due volte perché c’erano ragazzi che hanno provato a forzare la porta del centro commerciale».

«Proprio adesso (martedì notte, ndr) ci sono tre agenti per ogni entrata per proteggere il centro da questi giovani opportunisti. Penso che il sentimento prevalente ora nel Regno Unito sia un misto di rabbia, frustrazione o solo la delusione per come stanno andando le cose. La gente ha perso lavoro, beni, le piccole aziende sono in grossa difficoltà. Le zone più pericolose della città sono già state tutte saccheggiate: Tottenham, Peckham, Hackney, Brixton, i quartieri poveri e malfamati per eccellenza».

«I quartieri più sicuri sono a Ovest, quelli dove vivono i ricchi. Non abbiamo mai visto rivolte del genere nel Regno Unito. Quello a cui stiamo assistendo è una novità per chiunque, ed è questa la vera tragedia. La gente ha risposto alle violenze usando i social network (gli stessi strumenti usati dalle gang per decidere gli obiettivi da colpire ndr) per ripulire le strade. È quello che stiamo facendo (su twitter l’hashtag è #riotcleanup ndr). Si puliscono le strade, ci si fa forza gli uni con gli altri ma la maggior parte della gente ce l’ha con il Governo. Sono incredibilmente arrabbiati per come è stata affrontata questa emergenza».

«Alcuni vedono in queste rivolte le azioni di opportunisti. Altri sottolineano che i ragazzi stanno facendo quello che stanno facendo perché i tagli decisi dal Governo colpiscono soprattutto loro, in particolare quelli delle classi sociali più povere. In questo momento è davvero difficile dire qual è la vera causa scatenante. Chi si ribella non chiede nulla al Governo e alla società. E non ci sono leader di gang che decidono anche se le azioni sono concertate grazie alla chat del blackberry».

Ruwayda continua a lavorare: twitta con Andy Carvin, il giornalista di Npr che ha smascherato Amina, la finta blogger siriana inventata da uno studente americano fuoricorso, e ritwitta un post in cui c’è scritto che il multiculturalismo in Gran Bretagna non è morto.

10 agosto 2011

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Sale a cinque il numero delle vittime degli scontri in Gran Bretagna. Il profilo dei rivoltosi

Il 68enne Richard Mannington Bowes, aggredito e gravemente ferito lunedì scorso durante i disordini scoppiati nel quartiere londinese di Ealing è deceduto in seguito alle lesioni riportate: lo ha annunciato la Polizia Metropolitana di Londra.

Sale così a cinque il numero dei morti nelle violenze che hanno interessato la capitale ed altre città del Paese: lunedì un uomo, poi deceduto, era stato trovato gravemente ferito in un’automobile Croydon e martedì tre persone sono state investite mortalmente da una vettura a Birmingham. La polizia ha reso noto che l’autopsia di Bowes verrà condotta il prima possibile ed è stata aperta un’inchiesta per omicidio.

Le prime violenze erano scoppiate nella notte fra sabato e domenica nel quartiere multietnico di Tottenham, dopo una manifestazione convocata per protestare contro la morte di Mark Duggan, pregiudicato ucciso in uno scontro a fuoco con la polizia. Le circostanze della sparatoria sono al momento oggetto di un’inchiesta: secondo alcune fonti di stampa britanniche infatti gli agenti dell’unità speciale armata avrebbero aperto il fuoco senza essere stati precedentemente attaccati.

Intanto ieri la BBC ha cercato fare il punto su chi siano coloro che stanno mettendo a ferro e fuoco Londra e il resto dell’Inghilterra. La tv ha tentato di costruire un profilo sociologico fondato sull’analisi statistica di 56 persone, comparse tra ieri e oggi di fronte alla Corte londinese di Camberwell Green per rispondere di saccheggi, furti e devastazioni compiute negli ultimi giorni. A compierli è, in genere, un uomo di età compresa tra i 15 e i 24 anni. Per la precisione i vandali che hanno seminato paura e distruzione sono per il 36% giovani di età compresa tra i 20 e i 24 anni, e per il 33% tra i 15 e i 24 anni di età.

L’analisi della BBC coincide con quella del Guardian, che indica nell’80% la stima degli incriminati sotto i 25 anni di età e mette in rilievo come almeno la metà è minorenne, fino al caso estremo dell’undicenne incriminata per saccheggio. Infine, il 95% degli incriminati è di sesso maschile. Quanto ai reati, il profilo indica una propensione dei violenti a compierli fuori della propria località di residenza: è il caso del 76% dei crimini.

12 agosto 2011

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Cameron minaccia di bloccare i social network

Lotta senza quartiere contro le gang, molte delle quali composte da giovanissimi, sfruttando tutti i mezzi possibili ed immaginabili: dall’esercito per appoggiare la polizia se sarà in difficoltà, al blocco dei social network come Facebook e Twitter, utilizzati dai teppisti per coordinare la guerriglia. L’ha illustrata oggi il premier britannico David Cameron, spiegandone le grandi linee ai Comuni, nel dibattito parlamentare convocato d’urgenza per fare il punto sulle violenze che in questi giorni hanno incendiato le principali città inglesi.

Cameron, come detto, non esclude il blocco dei popolarissimi social network. «Tutti coloro che hanno assistito a queste orribili azioni sono rimasti colpiti dal fatto che sono state organizzate attraverso i social network», ha detto il premier britannico. «La libera circolazione delle informazioni può essere usate per nobili azioni. Ma anche per azioni malvagie – ha aggiunto Cameron – . Stiamo lavorando con la polizia, i servizi d’intelligence e l’industria per capire se può essere giusto impedire alle persone di comunicare attraverso questi siti e servizi quando sappiamo che stanno preparando violenze disordini e atti criminali».

La Bbc ha tentato un profilo sociologico fondato sull’analisi statistica di 56 persone, comparse tra ieri e oggi di fronte alla Corte londinese di Camberwell Green per rispondere di saccheggi, furti e devastazioni compiute negli ultimi giorni. A compierli è, in genere, un uomo di età compresa tra i 15 e i 24 anni. Per la precisione i vandali che hanno seminato paura e distruzione sono per il 36% giovani di età compresa tra i 20 e i 24 anni, e per il 33% tra i 15 e i 24 anni di età. L’analisi della BBC coincide con quella del Guardian, che indica nell’80% la stima degli incriminati sotto i 25 anni di età e mette in rilievo come almeno la metà è minorenne, fino al caso estremo dell’undicenne incriminata oggi per saccheggio. Infine, il 95% degli incriminati è di sesso maschile.

Da notare, tuttavia, che c’è anche una ricca ereditiera di 19 anni, Laura Johnson, che studia italiano ed inglese alla prestigiosa università di Exeter, tra le persone arrestate per i disordini a Londra. Secondo il conservatore The Daily Telegraph, la Johnson, figlia del direttore di una grossa società, è accusata di avere rubato insieme con due amiche beni per circa 5mila sterline in un centro commerciale del sud di Londra, poi ritrovati nella sua auto.

Intanto ci saranno ripercussioni degli incidenti sul regaolare svolgimento della Premier League. L’incontro della prima giornata tra Tottenham ed Everton, in programma sabato alle 16, è stato rinviato su richiesta della polizia, a causa delle violenze urbane a Londra. Lo ha annunciato Richard Scudamore, amministratore delegato della massima serie del calcio inglese. È proprio nel quartiere di Tottenham, ad alcuni metri dallo stadio di White Hart Lane dove giocano gli Spurs, che le rivolte sono cominciate sabato scorso, prima di propagarsi in tutta Londra e quindi in molte altre città dell’Inghilterra. Questa decisione è stata presa oggi, al termine di una riunione dei vertici della Premier League e dei loro omologhi dei campionati inferiori.

11 agosto 2011

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Quattro giorni di guerriglia a Londra, mille arrestati e tribunali aperti anche di notte

La pioggia spegne la rabbia e a Londra Londra e dintorni è stata una notte tranquilla, dopo l’imponente spiegamento di forze messo in campo dal premier David Cameron, che ha dato il via alla «linea dura» contro violenze e saccheggi. L’ultimo bilancio della Bbc è di 888 persone arrestate e 371 incriminate solo a Londra, dove sono stati schierati 16mila poliziotti. Più di 300 persone sono state inoltre arrestate nel West Midlands e altre 100 a Manchester e Salford.

Oggi intanto è previsto l’intervento di Cameron alla camera dei comuni, una prova che si annuncia difficile per il premier, dopo le polemiche per la risposta lenta e macchinosa delle autorità. E gli attacchi personali per non aver interrotto le vacanze in Toscana non appena esplosa la rivolta. Il premier presiederà un’altra riunione del Cobra, il comitato di emergenza, per poi riferire in Parlamento durante una sessione straordinaria dedicata
proprio alle violenze dilagate questa settimana a Londra e nel resto del Paese. Tra le misure adottate dalle autorità britanniche, secondo la Bbc, quella di tenere aperti i tribunali anche la notte per velocizzare i processi a carico delle persone arrestate per direttissima da sabato scorso. Ieri Cameron aveva dichiarato che «la linea dura» sta pagando e che i
poliziotti sono pronti a ripristinare la calma nelle strade anche con l’utilizzo dei «cannoni ad acqua».

A Birmingham si è svolta nella notte una veglia funebre per ommemorare i tre uomini investiti da una macchina nel corso dei tumulti mentre cercavano di proteggere il proprio quartiere.

11 agosto 2011

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da “il manifesto” del 12 gosto 2011

Rita Di Santo – LONDRA
INTERVISTE
«Questi ragazzi alienati come prima»
Un incontro con David Lawson del «Black Audio film Collective»

 

Abbiamo incontrato David Lawson, membro fondatore dei Black Audio Film Collective, gruppo londinese di artisti di origine africana (black-british), nato nel ’82, subito dopo i riots inglesi del 1981. Negli ultimi trent’anni, il collettivo ha operato sul territorio, realizzando un dettagliato lavoro di documentazione. Lawson ci ha raccontato le origini.
«Il Black Audio Film Collective – spiega – era composto da sette persone: John Akomfrah, Reece Auguiste, Edward George, Lina Gopaul, Avril Johnson e Trevor Mathison. Avevamo tutti studiato allo stesso college negli anni 80. Anche se provenivamo da discipline diverse, arte, filosofia, sociologia, antropologia, avevamo un impegno in comune: diventare produttori culturali. Il collettivo non era finanziato da nessuna organizzazione e abbiamo cominciato a produrre insieme lavori. All’inizio utilizzavamo molto materiale d’archivio, poi abbiamo dato luogo a progetti fotografici, giornalistici e scritto saggi».
Un lavoro di documentazione sul territorio, post-coloniale, sull’integrazione razziale e l’identità culturale. I membri del collettivo erano quasi tutti emigrati, dall’Africa, Asia, Caraibi, oppure erano figli di emigrati. Molti di loro avevano i genitori che si erano trasferiti nel Regno Unito negli anni 50 e 60, avevano lavorato già nel paese per 20/25 anni. «I nostri genitori volevano diventare cittadini britannici. Noi figli, eravamo i black-british, impegnati a consolidare la nostra identità politica e sociale. Nati nel Regno Unito chiedevamo i diritti di cittadini britannici. Durante i riots del 1981 c’era ancora tanto razzismo nel paese. Giovani neri, africani, asiatici, caraibici erano discriminati a tutti i livelli, e così lo erano anche i nostri genitori. Erano mal pagati, facevano i lavori peggiori, noi ricevevamo l’educazione peggiore. La gente era stanca. Le proteste del 1981 nacquero per lottare contro le ingiustizie politico-sociali. Il razzismo si era istituzionalizzato. In particolare la polizia aveva adottato una linea dura contro i giovani neri».
I disordini iniziarono a Londra e arrivarono a Bristol, Birmigham, tutte le maggiori città del paese. «Il nostro impegno come collettivo – continua Lawson – era una risposta a questa condizione. I nostri lavori del 1982 and 1983 erano tutti tesi a registrare quello squilibrio sociale. Alla fine del 1983-1984, avevamo terminato la prima serie di lavori del B.A.F.C. dal titolo Sign of the Empire. Images of Nationality, diviso in due parti, trattava di identità razziale e colonialismo. Due anni dopo, nel 1985, ci fu un altro momento di proteste. Ricevemmo una telefonata da un amico che ci informò dei disordini scoppiati a Birmingham. John Akomfrah e Lina Gopaul, con altri del collettivo, andarono a filmare le rivolte e da lì nacque Handsworth Songs (86). Quelle sommosse erano il risultato di una generazione insoddisfatta e alienata. Per la maggior parte erano giovani neri ma c’erano anche bianchi, ragazzi di seconda generazione, nati nel Regno Unito. Quelli che vediamo oggi rappresentano la quarta generazione, ragazzini neri e bianchi, figli della working-class. Soffrono dello stesso tipo di alienazione e insoddisfazione. Le loro speranze di futuro si riducono sempre di più. Il sistema educativo non li aiuta. Sono una sotto classe. È sempre esistita una sottoclasse in questo paese, ma non se ne parla. Dall’altra parte abbiamo una casta di privilegiati. C’è una profonda ingiustizia sociale ora nel paese, basti pensare ai bonus che vengono elargiti alle banche… E c’è anche una forte corruzione politica».
«Le persone coinvolte oggi – dice ancora Lawson – sono molto più giovani, nei riots del 1981 e del 1985, c’erano trentenni e quarantenni, ora sono sedicenni. Per trent’anni il governo britannico non si è mai occupato delle loro ragioni».
Negli scontri di questi giorni, solo a Londra ci sono stati circa 800 arresti. E i media raccontano i fatti a modo loro. «Sì, di nuovo non sono interessati alle ragioni, a capire quello che sta accadendo. Vogliono solo marchiare i fatti. Si limitano a definire gli atti ‘criminali’, si preoccupano troppo della cronaca. Ci sono stati ottocento arresti e parlano di atti criminali e terrorismo. Questo è esattamente quello che facevano nel 1981 e nel 1985».E il Black Audio Film Collective userà questi nuovi riots nel prossimo lavoro? «Dopo Nine Muses, il film parte del progetto Made in England? stiamo realizzando una nuova istallazione, centrata sull’emigrazione e l’integrazione culturale, gli scontri di questi giorni ci saranno, ma in modo indiretto. Useremo molto materiale d’archivio. John sta lavorando al montaggio, al momento si chiama Duemilauno».
LONDRA
Abbiamo incontrato David Lawson, membro fondatore dei Black Audio Film Collective, gruppo londinese di artisti di origine africana (black-british), nato nel ’82, subito dopo i riots inglesi del 1981. Negli ultimi trent’anni, il collettivo ha operato sul territorio, realizzando un dettagliato lavoro di documentazione. Lawson ci ha raccontato le origini.
«Il Black Audio Film Collective – spiega – era composto da sette persone: John Akomfrah, Reece Auguiste, Edward George, Lina Gopaul, Avril Johnson e Trevor Mathison. Avevamo tutti studiato allo stesso college negli anni 80. Anche se provenivamo da discipline diverse, arte, filosofia, sociologia, antropologia, avevamo un impegno in comune: diventare produttori culturali. Il collettivo non era finanziato da nessuna organizzazione e abbiamo cominciato a produrre insieme lavori. All’inizio utilizzavamo molto materiale d’archivio, poi abbiamo dato luogo a progetti fotografici, giornalistici e scritto saggi».
Un lavoro di documentazione sul territorio, post-coloniale, sull’integrazione razziale e l’identità culturale. I membri del collettivo erano quasi tutti emigrati, dall’Africa, Asia, Caraibi, oppure erano figli di emigrati. Molti di loro avevano i genitori che si erano trasferiti nel Regno Unito negli anni 50 e 60, avevano lavorato già nel paese per 20/25 anni. «I nostri genitori volevano diventare cittadini britannici. Noi figli, eravamo i black-british, impegnati a consolidare la nostra identità politica e sociale. Nati nel Regno Unito chiedevamo i diritti di cittadini britannici. Durante i riots del 1981 c’era ancora tanto razzismo nel paese. Giovani neri, africani, asiatici, caraibici erano discriminati a tutti i livelli, e così lo erano anche i nostri genitori. Erano mal pagati, facevano i lavori peggiori, noi ricevevamo l’educazione peggiore. La gente era stanca. Le proteste del 1981 nacquero per lottare contro le ingiustizie politico-sociali. Il razzismo si era istituzionalizzato. In particolare la polizia aveva adottato una linea dura contro i giovani neri».
I disordini iniziarono a Londra e arrivarono a Bristol, Birmigham, tutte le maggiori città del paese. «Il nostro impegno come collettivo – continua Lawson – era una risposta a questa condizione. I nostri lavori del 1982 and 1983 erano tutti tesi a registrare quello squilibrio sociale. Alla fine del 1983-1984, avevamo terminato la prima serie di lavori del B.A.F.C. dal titolo Sign of the Empire. Images of Nationality, diviso in due parti, trattava di identità razziale e colonialismo. Due anni dopo, nel 1985, ci fu un altro momento di proteste. Ricevemmo una telefonata da un amico che ci informò dei disordini scoppiati a Birmingham. John Akomfrah e Lina Gopaul, con altri del collettivo, andarono a filmare le rivolte e da lì nacque Handsworth Songs (86). Quelle sommosse erano il risultato di una generazione insoddisfatta e alienata. Per la maggior parte erano giovani neri ma c’erano anche bianchi, ragazzi di seconda generazione, nati nel Regno Unito. Quelli che vediamo oggi rappresentano la quarta generazione, ragazzini neri e bianchi, figli della working-class. Soffrono dello stesso tipo di alienazione e insoddisfazione. Le loro speranze di futuro si riducono sempre di più. Il sistema educativo non li aiuta. Sono una sotto classe. È sempre esistita una sottoclasse in questo paese, ma non se ne parla. Dall’altra parte abbiamo una casta di privilegiati. C’è una profonda ingiustizia sociale ora nel paese, basti pensare ai bonus che vengono elargiti alle banche… E c’è anche una forte corruzione politica».
«Le persone coinvolte oggi – dice ancora Lawson – sono molto più giovani, nei riots del 1981 e del 1985, c’erano trentenni e quarantenni, ora sono sedicenni. Per trent’anni il governo britannico non si è mai occupato delle loro ragioni».
Negli scontri di questi giorni, solo a Londra ci sono stati circa 800 arresti. E i media raccontano i fatti a modo loro. «Sì, di nuovo non sono interessati alle ragioni, a capire quello che sta accadendo. Vogliono solo marchiare i fatti. Si limitano a definire gli atti ‘criminali’, si preoccupano troppo della cronaca. Ci sono stati ottocento arresti e parlano di atti criminali e terrorismo. Questo è esattamente quello che facevano nel 1981 e nel 1985».E il Black Audio Film Collective userà questi nuovi riots nel prossimo lavoro? «Dopo Nine Muses, il film parte del progetto Made in England? stiamo realizzando una nuova istallazione, centrata sull’emigrazione e l’integrazione culturale, gli scontri di questi giorni ci saranno, ma in modo indiretto. Useremo molto materiale d’archivio. John sta lavorando al montaggio, al momento si chiama Duemilauno».
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Marco Mancassola – LONDRA
FUMO DI LONDRA
«Business as usual», riparte lo shopping
Con l’incoraggiamento dalle autorità i cittadini londinesi organizzano l’autodifesa

 

Molta gente, nelle giornate clou degli scontri e dei saccheggi, è andata a mangiare nei ristorantini di Dalston: sapeva che erano aperti. E il motivo per cui erano aperti era che i ristoratori e i negozianti turchi della zona avevano chiamato amici e parenti, con mazze da baseball, a fare la guardia delle proprie vetrine. Ha funzionato. Le gang dei ragazzini sono passate per la zona ma, tranne l’assalto a un negozio della catena JD Sports, non hanno osato fare altro.
Le autorità, d’altro canto, incoraggiano l’autodifesa: secondo un articolo del Guardian, la polizia avrebbe distribuito istruzioni ai commercianti londinesi sull’«uso ragionevole della forza» per difendere le proprietà. Le vendite online di strumenti di autodifesa sono lievitate: Amazon.co.uk ha visto crescere a livelli esorbitanti, nelle ultime ore, le vendite di mazze «sportive». Un clima da far west in cui i poveri, ancora una volta, sembrano pronti a massacrarsi a vicenda.
Un fondo speciale di venti milioni di sterline è stato intanto annunciato dalle autorità londinesi per i danni subiti dalle attività commerciali. Si attendono dettagli su come sarà distribuito. Ne potranno beneficiare solo i negozi indipendenti, magari privi di assicurazione, o anche quelli di grandi catene? Catene di abbigliamento sportivo come Foot Locker o JD Sports, tra le più colpite, dovrebbero forse iniziare a considerare i danni da sommosse urbane come fisiologici: sono i negozi dove gli stessi ragazzi delle periferie lavorano o provano a lavorare, comprano oppure rubano. I negozi che definiscono il loro stile, che loro adorano e che poi, a quanto pare, alla fine incendiano. Il ciclo è completo. Il cortocircuito totale.
A un paio di giorni dalla fine delle violenze, i cappucci delle felpe sono su, come sempre. Gli adolescenti camminano sotto il cielo livido di un’estate che quest’anno non è mai arrivata. Il sei per cento dei giovani londinesi sotto i 19 anni, dice una statistica del Centre for Social Justice, appartiene a una gang. Le gang di strada «censite» sono 257. In un altro articolo, assai profetico, comparso sul Guardian a fine luglio, si parlava della chiusura dei youth club nei quartieri del nord di Londra, dovuta ai tagli sociali che hanno ridotto del 75% il budget dei servizi giovanili. In molte aree, i youth club erano l’unica alternativa alla socialità delle gang. La loro chiusura, combinata con i tagli all’istruzione, avrebbe portato a grossi problemi nelle strade, annunciava un operatore sociale.
Ma nelle strade di Londra, si sa, tutto scorre con cinica velocità. La città si scrolla di dosso la cenere dei roghi. I turisti belgi e francesi che vengono in giornata a fare shopping a Oxford Street, approfittando del cambio favorevole, sembrano non aver neppure sentito parlare delle rivolte. Business as usual, come si dice qui. Fino magari alle prossime fiammate. Fino ai prossimi roghi altrettanto veloci. Sotto il cielo livido sembra difficile, al momento, trovare il modo di immaginare qualcos’altro: roghi estemporanei, violenti e intermittenti.
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Viola Caon – LONDRA
La repressione
Da Cameron, «Nessuna pietà»
Misure eccezionali: il primo ministro punta alla chiusura dei social network

Esercito e bavaglio, il governo conferma la linea dura: «Non è un problema di povertà, ma di cultura»

 

Il governo inglese non mostrerà alcuna pietà per i rivoltosi né è pronto giustificare le violenze di questi giorni con lo spettro dei tagli o con altre motivazioni sociologiche. Anche se «il crimine si verifica sempre in un contesto e non possiamo ignorarlo – è l’unica analisi che il premier David Cameron riesce a elaborare – Non è un problema di povertà, ma di cultura. Per risolverlo abbiamo bisogno di maggior rispetto per l’autorità e più disciplina nelle scuole».
Nel suo discorso ai membri del Parlamento Cameron ha confermato in pieno la linea dura preannunciata nei giorni scorsi. «Non accetteremo che cose del genere succedano nel nostro paese. Non permetteremo che una cultura del terrore si diffonda per le strade», ha tuonato il primo ministro inglese ai parlamentari rientrati d’urgenza in città.
L’inquilino di Downing street ostenta mano ferma: «La nostra reazione è iniziata», dice, ci vogliono misure speciali, maggiori poteri alla polizia (ma conferma i tagli al budget per la sicurezza) e se necessario anche l’uso dell’esercito. Il deputato laburista Chris Bryant a questo punto gli ha ricordato che quando Winston Churchill mandò le truppe per sedare le rivolte a Tonypandy non fece altro che peggiorare la situazione. «Voi laburisti rifiutate l’idea che la polizia possa essere riformata. Ecco perché il paese non vi ascolta», gli ha risposto secco Cameron.
Tra le misure speciali ne spunta una senza precedenti tesa a limitare e controllare l’uso dei social dei network. «Le violenze cui abbiamo assistito sono state organizzate attraverso i social media. La libera circolazione di informazione può essere utilizzata bene oppure male. Quando qualcuno usa i social media per incitare alla violenza, deve essere fermato. Stiamo perciò lavorando con polizia, intelligence e industria per capire se sia giusto bloccare le comunicazioni attraverso questi siti e servizi, quando sappiamo che si stanno pianificando violenze, disordini e atti criminali», l’idea è questa.
Nel suo discorso, Cameron ha riconosciuto la necessità di fare chiarezza sulle dinamiche della morte di Mark Duggan, il ragazzo ucciso dalla polizia la cui morte ha scatenato il finimondo, e ha assicurato che l’Independent Police Complaints Commission sta già portando avanti le dovute indagini: «Tuttavia – aggiunge – quello che ha seguito la veglia di sabato scorso per la morte di Duggan, non ha niente a che vedere con essa. Si è trattato di atti di vera e propria criminalità». Poi, dopo aver incensato il lavoro eroico delle forze dell’ordine, ha toccato il tasto dolente per il suo governo e per i vertici di Scotland Yard, messi sotto accusa: «Il problema è che all’inizio la polizia ha invece trattato la questione come un problema di ordine pubblico». L’argomento polizia è l’unico che mette un po’ di frizione tra il premier e il leader dell’opposizione Ed Miliband, finora i sintonia con il governo nel condannare duramente le proteste. I laburisti, insieme al sindaco di Londra, il biondissimo conservatore Boris Johnson, chiedono con insistenza di rivedere i tagli governativi alla polizia, visto il maggiore impiego di forze previsto. Ma il primo ministro ha una certezza inespugnabile anche su questo: i tagli non inficeranno affatto l’operato delle forze dell’ordine. Un po’ di pepe Miliband lo ha messo persino nel domandare che le inchieste vengano condotte da organi indipendenti e non dal governo. Ma Cameron lo zittisce: il Ministero degli Interni ha già avviato la propria inchiesta che seguirà il suo corso.
Per le vittime dei danni promette risarcimenti, annunciando sconti fiscali per chi è stato colpito e un fondo di emergenza di 10 milioni di sterline per le autorità locali.
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Cristina Cecchi
NELLA RETE
Censura Twitter e Blackberry Piovono critiche

 

Stop ai social network. Ieri pomeriggio, durante il dibattito parlamentare, il primo ministro David Cameron ha minacciato il blocco temporaneo di alcune piattaforme online. Il premier non li nomina mai, ma si riferisce a Facebook, Twitter, e al famigerato servizio Blackberry Messenger, accusato di aver fomentato le rivolte. I giovani londinesi lo hanno usato per darsi gli appuntamenti, e lo hanno preferito perché i suoi messaggi sono criptati e privati.
Un annuncio che ha suscitato critiche da più parti. «Come si fa a sapere che una persona sta pianificando una sommossa? Chi lo decide?» si chiede Jim Killock, direttore esecutivo di Open rights group, importante organizzazione inglese che si occupa di protezione dei diritti nell’era digitale. «L’unica risposta realistica è che decidano le corti. O assisteremo velocemente ad abusi da parte di compagnie private e della polizia».
L’associazione esprime forte preoccupazione per la sicurezza e la privacy degli utenti on line, si teme un controllo illegale delle password da parte di governo e polizia. E soprattutto per il fatto che le misure proposte possano costituire un pericoloso precedente. Killock chiama in aiuto la Cina, e cita il commento del People’s Daily, il quotidiano del Partito Comunista. «L’occidente dice di sostenere la libertà su internet, e contesta il fatto che i governi di altri paesi controllino questi siti (social network). Ora possiamo dire che sta assaggiando il frutto amaro della sua compiacenza e non può lamentarsi».
Anche Jeff Jarvis, sull’edizione on line del Guardian di ieri, vede il pericolo di creare un precedente e si chiede: «Cosa ci separa dai tiranni arabi che tagliano le comunicazioni sociali via Twitter o dalla Cina che lo vieta?». E aggiunge: «Quando la parola di qualcuno non è libera, la parola di nessuno è libera. La censura non è il sentiero della civiltà. Solo la parola lo è».
«Quindi la risposta alle rivolte è meno comunicazione, meno connessione sociale e meno supporto sociale? Oh, funzionerà», twitta Elizabeth Varley, imprenditrice e ceo di TechHub, un progetto che offre spazi per start-up a Londra. Paul Chambers, che è stato condannato per aver scritto un tweet in cui minacciava scherzosamente di far saltare un aeroporto, affida a Twitter il suo punto di vista sulla questione: «Questa visione dei social network è ridicola. Non c’è comprensione, né adattamento. C’è solo voglia di oppressione».
I social network hanno cambiato le regole dell’informazione, e la politica deve adattarsi. Le critiche non arrivano solo da fuori. «Tutti i tentativi governativi di controllare i social media sembrano destinati a fallire», dice John Basset, ex funzionario all’agenzia britannica per la signal intelligence e attuale membro anziano del Royal United Service Institute di Londra. Non solo, sembrano anche minacciare l’autorità di chi ci prova.
Le primavere arabe hanno fatto scuola. È proprio questa la paura di alcuni ambienti conservatori, che temono che la gestione delle rivolte possa condizionare il resto del mandato di Cameron. «Potrebbe essere la sua Katrina oppure le sue Falklands», sobilla un tory.

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Marco d’Eramo
RITRATTO
Quando David spaccava le vetrine
Il premier è discendente illegittimo del re Guglielmo IV e della sua amante Dorothea

Il primo ministro conservatore, che oggi tuona contro i vandali, 24 anni fa venne salvato dall’arresto dal portafoglio di papà

 

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