Michele Giorgio
IL CAIRO
«È giusto che gli attivisti (della rivoluzione) vengano processati nelle corti militari mentre Mubarak e la sua mafia sono giudicati da un tribunale civile?». Lo scrittore Alaa Aswan, il più critico tra gli intellettuali egiziani nei confronti del Consiglio supremo delle Forze Armate, ha posto questo interrogativo ai numerosi frequentatori del suo blog dopo che Asma Mahfouz, tra i leader della rivolta del 25 gennaio contro l’ex presidente Hosni Mubarak, è stata rinviata a giudizio davanti a un tribunale militare con l’accusa di avere diffamato i generali che guidano la complessa transizione egiziana. Ieri è giunta la conferma che Mahfouz (intervistata lo scorso 3 agosto dal nostro giornale) subirà un processo davanti a giudici militari. «Stiamo vivendo una fase molto delicata, gli egiziani che hanno lottato per la libertà e contro il dittatore Mubarak non devono smettere di far sentire la loro voce, non possono restare in silenzio», avverte Mahfouz che l’altra sera, dopo essere stata trattenuta e interrogata per ore dai militari e rimessa in libertà provvisoria dietro il pagamento di una cauzione di 20.000 pound egiziani (oltre 2.350 euro), in lacrime ha chiesto di conoscere perché sarà processata da una corte militare. Il presidente della giustizia militare, il generale Mahmoud Moursi, ha replicato che la giovane blogger e attivista «ha travalicato i limiti della libertà di espressione» e ha ammonito che «non ci sarà tolleranza per gli insulti lanciati contro le Forze Armate».
Si respira un’atmosfera pesante al Cairo. Ogni giorno che passa segnali negativi indicano una pericolosa inversione di tendenza rispetto alle speranze di appena sei mesi fa. Uno di questi è giunto persino dalle musalsalat, le soap che le televisioni arabe trasmettono durante il mese di Ramadan dopo l’iftar, il pasto che al tramonto interrompe il digiuno dei musulmani osservanti. Nile Comedy, un rete televisiva di stato, si è rifiutata di mandare in onda alcune scene della soap-comedy che propone una parodia dei funzionari del regime di Mubarak. Nel mirino è finita Al-Tayyara al-Shaqiya (Il piano spregiudicato) che prende di mira l’ex ministro degli interni Habib al-Adly e l’ex funzionario del Partito nazionale democratico (Pnd) Ahmed Ezz (entrambi detenuti, il primo è sotto processo) al potere fino allo scorso febbraio. Censurata anche una puntata dove appariva un personaggio le cui caratteristiche lo rendevano molto simile all’ex presidente del Consiglio della Shura, il potente Safwat al-Sherif.
Dopo le critiche feroci agli esponenti più in vista del regime, adesso dai vertici delle forze armate e del governo sembrano giungere inviti a non calcare la mano se non addirittura ad avere rispetto per alcuni personaggi politici che pure sono tanto odiati dalla maggioranza della popolazione. Trent’anni di potere gestiti con le leggi d’emergenza non possono essere stati responsabilità esclusiva di Mubarak e non è insignificante il fatto che l’ex presidente venga processato solo per le decisioni che ha adottato nei 18 giorni della rivoluzione e non per i crimini precedenti denunciati per anni dai centri per i diritti umani. I militari cercano, evidentemente, delle soluzioni politiche e non solo giudiziarie per chiudere la bocca a Mubarak che, certo, può trascinare all’inferno non pochi dei generali al potere. Una riabilitazione perciò è in corso nei confronti dell’ex raìs. Qualche sera fa, ad esempio, la televisione privata OnTv ha mandato in onda un’intervista esclusiva con Hossam Badrawy, l’ultimo segretario del Pnd, suscitando non poche polemiche. Badrawy ha raccontato gli ultimi giorni al potere di Mubarak dipingendo un ritratto positivo dell’ex presidente, quello di un leader tenuto all’oscuro della situazione reale sul terreno dal suo entourage e che non avrebbe compiuto le scelte giuste soltanto a causa di «consigli errati». Badrawi ha concluso sostenendo che Mubarak aveva scelto di non abbandonare il potere per trent’anni al solo fine di non lasciare campo libero agli islamisti. La classica intervista giusta al momento giusto. E’ intervenuto ancora Alaa al Aswani per denunciare l’assenza del contradditorio durante la trasmissione. «Badrawi è un uomo del passato regime e ha rappresentato Mubarak come un eroe ingannato dal suo entourage», ha protestato. Gli attivisti per i diritti umani hanno fatto notare che nessun cenno è stato fatto all’uso della tortura nelle carceri durante i trent’anni al potere dell’ex «faraone», alle migliaia di egiziani spariti nelle prigioni del regime, alle elezioni-farsa, alle libertà politiche negate, alle immense ricchezze finite nelle tasche di pochi.
In questo clima da Restaurazione è ripreso due giorni fa all’Accademia di polizia al Cairo il processo a carico dell’ex presidente che deve rispondere dell’accusa di aver ordinato di sparare sui dimostranti durante la rivoluzione di gennaio, causando la morte di 850 egiziani. Non ci sono stati colpi di scena, ad eccezione della decisione della corte di vietare dalla prossima seduta (5 settembre) la trasmissione in diretta televisiva del processo. Una scelta che suscita non pochi interrogativi ma che non tutti gli attivisti della rivoluzione condannano. Due giorni fa, fuori dall’aula, dove il raìs è entrato di nuovo su di una barella, si sono «distinti» per il loro comportamento aggressivo alcune centinaia di hooligans pro-Mubarak che hanno attaccato le famiglie delle vittime della repressione.
«È giusto che gli attivisti (della rivoluzione) vengano processati nelle corti militari mentre Mubarak e la sua mafia sono giudicati da un tribunale civile?». Lo scrittore Alaa Aswan, il più critico tra gli intellettuali egiziani nei confronti del Consiglio supremo delle Forze Armate, ha posto questo interrogativo ai numerosi frequentatori del suo blog dopo che Asma Mahfouz, tra i leader della rivolta del 25 gennaio contro l’ex presidente Hosni Mubarak, è stata rinviata a giudizio davanti a un tribunale militare con l’accusa di avere diffamato i generali che guidano la complessa transizione egiziana. Ieri è giunta la conferma che Mahfouz (intervistata lo scorso 3 agosto dal nostro giornale) subirà un processo davanti a giudici militari. «Stiamo vivendo una fase molto delicata, gli egiziani che hanno lottato per la libertà e contro il dittatore Mubarak non devono smettere di far sentire la loro voce, non possono restare in silenzio», avverte Mahfouz che l’altra sera, dopo essere stata trattenuta e interrogata per ore dai militari e rimessa in libertà provvisoria dietro il pagamento di una cauzione di 20.000 pound egiziani (oltre 2.350 euro), in lacrime ha chiesto di conoscere perché sarà processata da una corte militare. Il presidente della giustizia militare, il generale Mahmoud Moursi, ha replicato che la giovane blogger e attivista «ha travalicato i limiti della libertà di espressione» e ha ammonito che «non ci sarà tolleranza per gli insulti lanciati contro le Forze Armate».
Si respira un’atmosfera pesante al Cairo. Ogni giorno che passa segnali negativi indicano una pericolosa inversione di tendenza rispetto alle speranze di appena sei mesi fa. Uno di questi è giunto persino dalle musalsalat, le soap che le televisioni arabe trasmettono durante il mese di Ramadan dopo l’iftar, il pasto che al tramonto interrompe il digiuno dei musulmani osservanti. Nile Comedy, un rete televisiva di stato, si è rifiutata di mandare in onda alcune scene della soap-comedy che propone una parodia dei funzionari del regime di Mubarak. Nel mirino è finita Al-Tayyara al-Shaqiya (Il piano spregiudicato) che prende di mira l’ex ministro degli interni Habib al-Adly e l’ex funzionario del Partito nazionale democratico (Pnd) Ahmed Ezz (entrambi detenuti, il primo è sotto processo) al potere fino allo scorso febbraio. Censurata anche una puntata dove appariva un personaggio le cui caratteristiche lo rendevano molto simile all’ex presidente del Consiglio della Shura, il potente Safwat al-Sherif.
Dopo le critiche feroci agli esponenti più in vista del regime, adesso dai vertici delle forze armate e del governo sembrano giungere inviti a non calcare la mano se non addirittura ad avere rispetto per alcuni personaggi politici che pure sono tanto odiati dalla maggioranza della popolazione. Trent’anni di potere gestiti con le leggi d’emergenza non possono essere stati responsabilità esclusiva di Mubarak e non è insignificante il fatto che l’ex presidente venga processato solo per le decisioni che ha adottato nei 18 giorni della rivoluzione e non per i crimini precedenti denunciati per anni dai centri per i diritti umani. I militari cercano, evidentemente, delle soluzioni politiche e non solo giudiziarie per chiudere la bocca a Mubarak che, certo, può trascinare all’inferno non pochi dei generali al potere. Una riabilitazione perciò è in corso nei confronti dell’ex raìs. Qualche sera fa, ad esempio, la televisione privata OnTv ha mandato in onda un’intervista esclusiva con Hossam Badrawy, l’ultimo segretario del Pnd, suscitando non poche polemiche. Badrawy ha raccontato gli ultimi giorni al potere di Mubarak dipingendo un ritratto positivo dell’ex presidente, quello di un leader tenuto all’oscuro della situazione reale sul terreno dal suo entourage e che non avrebbe compiuto le scelte giuste soltanto a causa di «consigli errati». Badrawi ha concluso sostenendo che Mubarak aveva scelto di non abbandonare il potere per trent’anni al solo fine di non lasciare campo libero agli islamisti. La classica intervista giusta al momento giusto. E’ intervenuto ancora Alaa al Aswani per denunciare l’assenza del contradditorio durante la trasmissione. «Badrawi è un uomo del passato regime e ha rappresentato Mubarak come un eroe ingannato dal suo entourage», ha protestato. Gli attivisti per i diritti umani hanno fatto notare che nessun cenno è stato fatto all’uso della tortura nelle carceri durante i trent’anni al potere dell’ex «faraone», alle migliaia di egiziani spariti nelle prigioni del regime, alle elezioni-farsa, alle libertà politiche negate, alle immense ricchezze finite nelle tasche di pochi.
In questo clima da Restaurazione è ripreso due giorni fa all’Accademia di polizia al Cairo il processo a carico dell’ex presidente che deve rispondere dell’accusa di aver ordinato di sparare sui dimostranti durante la rivoluzione di gennaio, causando la morte di 850 egiziani. Non ci sono stati colpi di scena, ad eccezione della decisione della corte di vietare dalla prossima seduta (5 settembre) la trasmissione in diretta televisiva del processo. Una scelta che suscita non pochi interrogativi ma che non tutti gli attivisti della rivoluzione condannano. Due giorni fa, fuori dall’aula, dove il raìs è entrato di nuovo su di una barella, si sono «distinti» per il loro comportamento aggressivo alcune centinaia di hooligans pro-Mubarak che hanno attaccato le famiglie delle vittime della repressione.
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