La ricostruzione.
Per ore il sud di Israele è stato teatro di una serie di attacchi da parte di assalitori giunti presumibilmente dal Sinai che hanno fatto ricorso ad armi automatiche, mine, mortai e razzi anticarro. Hanno colpito diversi veicoli in transito su due arterie che conducono ad Eilat centrando un autobus (e non due come riferito in precedenza), almeno due veicoli civili e un automezzo dell’ esercito. Questo il film della giornata, basato su informazioni ancora frammentarie. – ORE 12 (le 11 in Italia) – Sull’arteria statale 12 un autobus passeggeri proveniente da Beer Sheva viene colpito da tre assalitori armati di Kalashnikov, che si dileguano. Diversi passeggeri (fra cui militari) sono feriti. – ORE 12.15 – Nella stessa zona una unità militare che sta accorrendo per prestare soccorso al bus fa esplodere mine predisposte sul terreno dagli assalitori. Un certo numero di militari sono investiti dalle deflagrazioni. – ORE 12.30 – Nella stessa zona gli assalitori sparano un razzo contro un veicolo civile israeliano in transito. Sono fatti esplodere anche mortai. Cinque israeliani (fra cui due donne) restano uccisi. – ORE 13 – A Beer Ora (sulla arteria statale 90, a 20 chilometri dalla zona dei primi attentati) entrano in azione due altre cellule di assalitori. A quanto pare sparano due razzi anti-carro contro automezzi israeliani: uno è colpito, l’altro viene mancato. Le unità dell’antiterrorismo della polizia israeliana (che da ieri si trovavano in attesa di eventi a nord di Eilat) entrano in azione e in una zona topograficamente molto difficile cercano di localizzare gli assalitori. – Ore 17 – Dopo ore di scontri viene annunciato che sette terroristi sono stati uccisi: alcuni indossavano corpetti esplosivi. Nel frattempo due feriti israeliani decedono nell’ ospedale di Eilat. Al calar delle tenebre nel Neghev meridionale proseguono le ricerche nel timore che altre cellule possano ancora annidarsi nel terreno. Lo stato di allerta viene esteso all’intero territorio israeliano.
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da “il manifesto”
Michele Giorgio IL CAIRO
Egitto ESCLUSO IN MODO CATEGORICO IL COINVOLGIMENTO INDIRETTO
I governatori del Sinai negano ogni legame con gli attentatori
Secondo gli analisti, fra le cause degli attentati centrale rimane la questione palestinese
Gli attentatori non sono partiti dal Sinai. I governatori del nord e del sud del Sinai, Khaled Fouda e Abdel Wahab Mabrouk, ieri hanno escluso in modo categorico il coinvolgimento indiretto del territorio egiziano ipotizzato da fonti di Tel Aviv, negli attacchi sulla strada per Eilat e in altre aree nel deserto del Negev. Altrettanto netta la smentita dei servizi di sicurezza egiziani mentre un’analista molto noto, Nabil Abdul Fattah, del Centro Studi Strategici «al Ahram», definisce infondata l’accusa rivolta più volte dal ministro degli esteri israeliano Ehud Barak al governo post-Mubarak di aver allentato controlli e misure di sicurezza permettendo così un’ampia libertà di movimento ai gruppi «salafiti-qaedisti» che da qualche tempo agirebbero nella Penisola del Sinai.
«È impossibile che gli attentatori siano entrati da Gaza in Egitto per poi spostarsi in Israele, perché da qualche giorno lungo il confine è in corso una ampia operazione militare egiziana proprio per catturare capi e militanti di questi gruppi di estremisti armati», ha spiegato Abdul Fattah. L’analista si è riferito ad «Operazione Aquila», consentita peraltro dallo stesso governo israeliano che ha permesso a quello egiziano di schierare circa 1000 soldati, con 250 blindati proprio nel nord del Sinai. Il trattato di pace di Camp David infatti prevede la smilitarizzazione di quel territorio e le forze armate egiziane possono entrarvi solo con l’autorizzazione di Israele. Nei giorni scorsi giornali e blogger egiziani scrivevano ironicamente che «grazie a al Qaeda», l’Egitto ha recuperato la sua piena sovranità sul Sinai che per oltre 30 anni è rimasto una sorta di «territorio aperto», di fatto ancora sotto il controllo di Tel Aviv grazie alla massiccia presenza di turisti israeliani.
È difficile valutare la forza di queste cellule armate nel Sinai delle quali tanto si parla e che qualche settimana fa avevano attaccato con decine di uomini un comando di polizia e che potrebbero essere dietro ai ripetuti attentati al gasdotto per Israele. Nel Sinai è stato addirittura proclamato un Emirato islamico ma tra i residenti ben pochi hanno preso sul serio la notizia. Alla fine di luglio Il Giornale scriveva di un Sinai prigioniero di terroristi pronti a lanciarsi contro i turisti stranieri, finendo per scatenare le ire dei tour operator, in particolare di egiziani e stranieri che risiedono stabilmente nella penisola e si godono la vita lungo le coste bagnate dal Mar Rosso.
Piuttosto l’attentato di ieri ha dimostrato che queste formazioni armate puntano i loro mitra contro gli israeliani, non verso gli occidentali, e che la questione dei palestinesi sotto occupazione e sotto assedio (Gaza) rimane centrale. Il quadro dipinto dagli esperti israeliani è catastrofico. Secondo Ely Carmon, il Sinai rischia di divenire, più dell’Iran, una minaccia seria per la sicurezza di Israele perché il governo egiziano «non ha più le redini della situazione». Secondo il sito di intelligence Debka nel Sinai fuori controllo si nasconderebbero duemila miliziani bene armati appartenenti a diversi gruppi radicali, anche grazie alla complicità dei beduini per decenni abbandonati dalle autorità centrali egiziane.
L’«Operazione Aquila» intanto ha portato all’arresto di numerose persone ed in particolare di quattro che avrebbero progettato l’esplosione, per la quinta volta in poche settimane del gasdotto dall’Egitto a Israele. Attentati attribuiti a al Qaeda, e che invece fonti locali ritengono siano responsabilità di formazioni locali decise ad interrompere il flusso del gas, non per ragioni ideologiche ma per bloccare un accordo che ha garantito ad Israele l’acquisto del gas ad un prezzo inferiore a quelli di mercato. Regista di quell’accordo di vendita è il ricchissimo affarista Hussain Salem, ricercato in Egitto rifugiatosi in Spagna dopo la caduta di Mubarak.
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Chiara Cruciati GERUSALEMME
Israele Triplice attacco nel sud del paese, 14 morti e una trentina di feriti. Risposta di Tel Aviv: bombardata la striscia di Gaza, 6 vittime. Il sangue ritorna a scorrere
Una bomba tira le altre
Gruppo armato di pistole, fucili e razzi anticarro assalta Eilat, area turistica sul Mar Rosso. Rappresaglia: Tel Aviv chiude i valichi e colpisce la Striscia
Un triplice attacco nel sud dello stato di Israele ha fatto ieri 14 morti, tra cui sette civili, e almeno 26 feriti, secondo un bilancio ancora provvisorio. La reazione è stata immediata: l’esercito israeliano ha bombardando la Striscia di Gaza provocando almeno sei vittime.
Tutto è cominciato intorno a mezzogiorno, quando un gruppo di uomini armati di pistole, kalashnikov ed esplosivo ha lanciato un assalto combinato a una ventina di chilometri a nord di Eilat, località turistica sul Mar Rosso al confine con l’Egitto: colpiti un autobus, un veicolo militare israeliano e due automobili private. Il bus 392 della linea Egged, attaccato a colpi di kalashnikov sull’autostrada numero 12 tra la città di Be’er Sheva a Eilat, trasportava civili e numerosi soldati israeliani che avevano appena lasciato le rispettive basi per il fine settimana. La pattuglia militare accorsa sul luogo è stata a sua volta colpita: testimoni raccontano di una serie di bombe lungo la strada esplose all’arrivo dei mezzi militari.
L’esercito israeliano ha risposto a quel primo attacco chiudendo l’area con posti di blocco; rintracciato e bloccato il veicolo degli attentatori, è scoppiato un conflitto a fuoco e 7 membri del gruppo armato sarebbero stati uccisi, ha detto un portavoce militare.
L’autista dell’autobus ha raccontato che gli attentatori indossavano le divise dei soldati egiziani, il che fa pensare che il commando sia penetrato in Israele dalla frontiera con l’Egitto. Con il passare delle ore l’ipotesi di un unico commando composto da quattro persone ha lasciato posto all’ipotesi di un attacco combinato da parte di più gruppi e almeno una ventina di miliziani. Un’ora dopo il primo attacco infatti due missili anti-carro hanno fatto saltare in aria due veicoli privati, ferendo sette persone e uccidendone sei, mentre al confine tra l’Egitto e la Striscia di Gaza sono stati lanciati razzi verso Israele. Due elicotteri militari sono stati inviati nel luogo per evacuare i feriti, trasportati a Eliat e a Be’er Sheva.
Poco dopo il ministro della Difesa, Ehud Barak, si è detto convinto che l’azione sia strettamente legata alla Striscia di Gaza: «La vera responsabile di questo attacco è Gaza, risponderemo con forza e determinazione».
E La risposta è arrivata: dopo aver chiuso ieri il valico di Erez tra Gaza e Israele in entrambe le direzioni, e il confine di Rafah con l’Egitto, l’aviazione militare ha attaccato nel pomeriggio la Striscia. Ha colpito obiettivi nel nord e nel sud del territorio palestinese,Un primo bilancio parla di almeno sei morti, tra cui almeno un civile colpito in casa; altri sarebbero quattro membri del Popular Resistance Committee e Abu Sabri Enner, capo delle Brigate Salah Eddin, il braccio armato di un gruppo salafita islamico. A Gaza city ieri sera si sentivano gli aerei, ma l’agglomerato urbano è stato risparmiato.
Hamas ha negato il proprio coinvolgimento nella serie di attacchi di ieri attorno a Eilat, dicendosi però convinta che l’assalto sia la risposta ai raid israeliani che quotidianamente colpiscono la popolazione sotto assedio di Gaza. Secondo il leader di Hamas, Bardawil, nei giorni scorsi fonti giordane dei servizi segreti israeliani avrebbero informato Tel Aviv degli attacchi. Il mancato intervento, ha detto Bardawil, sarebbe dovuto alla tradizionale tattica israeliana: spostare l’attenzione dell’opinione pubblica, impegnata nelle ultime settimane in movimenti sociali di protesta contro la politica economica del governo, sulla sicurezza dello Stato d’Israele. Poche ore dopo l’attacco, i leader del movimento di protesta hanno annunciato la sospensione di ogni manifestazione programmata per i prossimi giorni nelle maggiori città israeliane.
L’attacco presso Eilat ha anche riaperto in Israele il dibattito sulle garanzie che un Egitto debole e traballante possa fornire alla sicurezza dello stato ebraico: da tempo Tel Aviv aveva detto di temere che militanti islamici potessero approfittare del vuoto di potere per sferrare attacchi contro Israele. «Un simile evento dimostra la debolezza dell’Egitto in Sinai», ha detto il ministro Barak. L’Egitto si difende, affermando di aver potenziato le misure di sicurezza al confine con lo Stato di Israele e di aver compiuto proprio ieri un raid nel Nord del Sinai, durante il quale sono stati catturati quattro militanti islamici in procinto di attaccare un gasdotto.
È compreso fra quattro e sei morti il bilancio dell’attacco al secondo bus nel sud d’Israele, secondo informazioni di media locali in base alle quali quest’ultimo mezzo sarebbe stato colpito con un lanciagranate e l’azione sarebbe stata seguita da «un conflitto a fuoco fra terroristi e forze di sicurezza». Fra i morti, si contano almeno due aggressori e alcuni passeggeri, stando alla radio pubblica israeliana.
La situazione appare al momento ancora confusa, con scontri segnalati a più riprese fra aggressori e forze di sicurezza in prossimità del confine con l’Egitto. Mentre una vasta zona è stata isolata e circondata. A quanto si era appreso in precedenza, le forze israeliane stavano dando la caccia a un commando composto da almeno tre persone vestite di blu a bordo di una berlina. Ma non si esclude che a condurre gli attacchi possano essere stati più gruppi. Sul primo autobus attaccato, in movimento da Beersheva a Eilat, viaggiavano anche alcuni militari in libera uscita.
ore 12.45 Sono stati almeno tre gli episodi in cui si è articolato l’attacco avvenuto oggi nel sud d’Israele, non lontano dal Sinai egiziano, sfociato alla fine in un conflitto a fuoco tra forze israeliane e aggressori. Lo ha riferito un portavoce militare, secondo il quale i due attacchi, perpetrati in rapida successione contro altrettanti bus di linea in viaggio a pochi chilometri da Eilat (Mar Rosso), sarebbero stati preceduti dall’esplosione di mine fatte saltare al passaggio di pattuglie di militari israeliani in servizio in prossimità della frontiera. Anche in questo caso, risultano esserci stati almeno alcuni feriti.
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