Michele Giorgio
Non è detto però che tra i «volenterosi» occidentali e arabi, che martellano con i loro aerei le postazioni dell’esercito governativo (ma anche civili), si condivida pienamente la posizione dura di Abdel Jalil. Tripoli nelle mani dei ribelli sarebbe «un successo catastrofico», ha confessato una fonte diplomatica occidentale di stanza a Bengasi al Times di Londra, facendo riferimento al caos che regna tra le file ribelli reso ancora più lampante il mese scorso dall’assassinio di Abdel Fattah Younes, il generale a capo delle forze militari di Bengasi. «Una frase ampiamente usata alla Nato è che ci aspetta una “vittoria catastrofica” in Libia. E anche se non sarà un successo catastrofico, sarà certamente caotico perchè l’opposizione non è pronta a governare e ci sarà un vuoto dopo Gheddafi… Credo che sarebbe il peggiore scenario possibile se Tripoli cadesse adesso e non ci fosse nessuno a prendere il potere», ha aggiunto il diplomatico. La stampa araba, in particolare il quotidiano al Quds al Arabi, da parte sua nota che l’avanzata dei ribelli verso la capitale è stata accompagnata da una diminuzione del riconoscimento internazionale del Cnt di Bengasi, dovuto in particolare alle perplessità, specie in Occidente, per la crescente influenza che gli estremisti islamici hanno sulle decisioni del governo dei ribelli libici, in particolare al fronte dove compongono la maggioranza delle forze anti-Gheddafi. In Occidente si ritiene che gli assassini di Abdel Fattah Younes siano i combattenti della Brigata Abu Obeida al-Jarrah e i servizi segreti di diversi paesi riferiscono della incapacità di Abdel Jalil anche soltanto di formare un nuovo governo.
I media sauditi invece cercano di riferire un quadro tranquillizzante della situazione a Bengasi, anche per mascherare i generosi finaziamenti che da Riyadh continuano ad andare verso la capitale degli insorti, in parte per compensare gli altrettanto cospicui fondi in arrivo da Doha e in parte per finanziare le moschee libiche che promuovono il wahabismo e il salafismo, due delle correnti islamiche più rigide. Il saudita Al Sharq al Awsat, divenuto una sorta di giornale ufficioso dei ribelli libici (oltre che dell’opposizione islamica in Siria), oltre a riferire di un Gheddafi praticamente in fin di vita, ha pubblicato nei giorni scorsi un’intervista al colonnello Ahmad Bani, portavoce dell’esercito di liberazione libico (Bengasi), per smentire che nelle fila dei «twar» ribelli siano presenti combattenti stranieri, ossia di jihadisti giunti da altri paesi per contribuire alla battaglia contro Gheddafi, come da mesi si dice nella Libia orientale. Il colonnello Bani descrive le forze armate degli insorti come una sorta di esercito popolare del quale farebbero parte tutti i settori della società, oltre ai militari disertori dell’armata governativa, e nega l’esistenza di contrasti tra i capi militari. Il portavoce infine rivela anche che «gli amici del Cnt nel mondo non sono avari» quando di tratta di passare armi ai ribelli, in violazione della risoluzione 1973 del Consiglio di sicurezza dell’Onu.
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