I torturatori di Erdogan hanno immortalato se stessi e si sono postati in posa,sul cadavere della donna che hanno ucciso. Ci penseranno i combattenti curdi a riconoscerli, se possibile. Noi abbiamo scelto di pubblicare solo l’immagine luminosa di Ekin. E’ il ricordo di fuoco che lascia negli occhi di chi non accetta l’oppressione. Ovunque, nel mondo. (Red. Contropiano)
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Il 10 agosto, la guerriglia delle YJA STAR (Forze di difesa delle donne del PKK- Partito dei Lavoratori del Kurdistan).
Kevser Eltürk (Ekin Wan) è stata uccisa in uno scontro con le forze di sicurezza turche nel distretto di Varto, nella provincia di Muş in Turchia.
“Non siamo spaventate:
Perché sappiamo che questo Stato è assassino, lo sappiamo dai villaggi che ha evacuato e dalle donne imprigionate che ha ucciso. Perché sappiamo che questo Stato è stupratore, lo sappiamo dai seni torturati delle donne, dai tentativi di fiaccare attraverso lo stupro la loro volontà, dalle donne imprigionate e torturate in carcere. Lo sappiamo dalle vostre sporche guerre ingiuste, che non del nostro corpo ci fanno vergognare ma semmai della nostra umanità. Lo sappiamo da Shengal, da Kobanê.
E’ chiaro che questa vostra misoginia nasce dalla paura che avete delle donne che lottano sulle barricate, nelle prigioni e sui monti. Noi non abbiamo paura di voi e non ci vergogniamo del nostro corpo “.
(comunicato dell’YDK).
Nome di battaglia Ekin Van, combattente curda del Pkk, è stata ammazzata dopo essere stata torturata e abbandonata nuda in strada a Varto, nella provincia di Muş.
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Ekin Van, donna, curda, combattente del PKK. E’ stata brutalmente torturata e ammazzata dall’esercito turco. Il suo corpo è stato abbandonato per strada, nudo, come se fosse un rifiuto da gettare via, come se dovesse essere un monito perenne, pubblico, per chi osa sfidare Erdogan e lo strapotere militare della Turchia e della Nato in questo fazzoletto di terra.
Niente di troppo diverso dalle immagini che diffonde l’Isis sulla fine che fanno i suoi prigionieri.
A Ekin e alle donne coraggiose e rivoluzionarie come lei, alle sue compagne che sono state le uniche a impedire davvero l’avanzata dello Stato Islamico, fino a qualche mese osannate dai nostri viscidi governanti e dai loro mezzi di comunicazione e ora tornate a essere le “terroriste” del PKK, a loro vogliamo dedicare alcuni versi che Pablo Neruda scrisse per un’altra sorella della rivoluzione. Perché il loro sacrifico muoverà la storia, perché non sono passate invano, ne siamo certi. Perché non muore il fuoco.
“Verranno un giorno sulla tua piccola tomba
prima che le rose di ieri si disperdano,
verranno a vedere quelli d’una volta, domani,
là dove sta bruciando il tuo silenzio.
Un mondo marcia verso il luogo dove tu andavi, sorella.
Avanzano ogni giorni i canti della tua bocca
nella bocca del popolo glorioso che tu amavi.
Valoroso era il tuo cuore.
Nelle vecchie cucine della tua patria, nelle strade
polverose, qualcosa si mormora e passa,
qualcosa torna alla fiamma del tuo adorato popolo,
qualcosa si desta e canta.
Sono i tuoi, sorella: quelli che oggi pronunciano il tuo nome,
quelli che da tutte le parti, dall’acqua, dalla terra,
col tuo nome altri nomi tacciamo e diciamo.
Perché non muore il fuoco”.
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