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Nuovi attacchi nel Darfur occidentale, una terra che non conosce pace

Dal Darfur occidentale, e in particolare dalla località di Krendik, arriva la notizia di attacchi brutali. Nei tre giorni 22, 23 e 24 aprile ci sono stati attacchi, uccisioni, saccheggi, incendi di case e strutture pubbliche, mutilazioni di cadaveri. Le vittime sono i civili e si tratta dell’ormai nota pratica di genocidio, pulizia etnica, e crimini contro l’umanità.

I colpevoli sono i già conosciuti Janjaweed, ora “Milizie di Supporto Rapido”, sotto il comando di Mohammed Hamdan Dagalo, Hamitti.

I militari, arrivati da vari luoghi del Sudan, per tre giorni hanno agito indisturbati, con la complicità delle forze di sicurezza nazionali. Le forze di sicurezza infatti sapevano degli attacchi e si sono mosse solo nella mattina del 25 aprile.

I testimoni raccontano che la mattina di domenica 24 aprile, alle sei del mattino, pochi minuti dopo il ritiro dell’esercito nazionale presente a Krendik, è iniziato un nuovo attacco, a conferma dell’esistenza di comunicazione, se non di un vero e proprio accordo tra l’esercito sudanese e le milizie.

Secondo il direttore della polizia locale, di Krendik: “Più di 150 veicoli a quattro ruote motrici della milizia Supporto Rapido, e altre 100 auto senza targhe, 200 motocicli e centinaia di cavalli hanno partecipato all’attacco.  Circa 2000 miliziani hanno ucciso più di 200 persone, tra le quali donne e bambini. 164 i feriti. Poche le forze di polizia, mentre l’esercito ha rifiutato l’intervento

Gli attacchi si sono trasferiti dalla sera del 26 aprile nella capitale El Geneina. Le violenze non hanno risparmiato neppure l’ospedale.

All’interno del policlinico le milizie del supporto rapido hanno ucciso Elyas, comandante del Movimento di Liberazione del Sudan (che difende la città).  I testimoni raccontano che si trovava lì in visita al fratello ed è stato riconosciuto dalle Milizie di Supporto Rapido. Oltre al generale, sono stati uccisi medici e altre persone ricoverate.

Questa mattina molti si sono recati nei cimiteri per seppellire i morti, le forze Janjaweed hanno lanciato un attacco anche qui, nei cimiteri, per poi proseguire nella città di El Geneina. A difendere la città le forze di coalizione sudanese. Non si conosce il numero delle vittime.

Queste le richieste dei civili del Darfur Occidentale:

1) Ritenere responsabile il Comitato per la Sicurezza dello Stato a capo del quale vi sono i generali Hamitti e Al Burhan, responsabili del golpe del 25 ottobre. Arrestare i due generali: che siano giudicati dalla corte penale internazionale per i crimini commessi.

2) Assicurare cure mediche a tutti i feriti e attivare assistenza umanitaria per far fronte alla catastrofica situazione dopo l’attacco.

3) Attivare la responsabilità internazionale per i proteggere i civili perchè il governo non ne è in grado. 

4) Non operare distinzioni tra le milizie Janjaweed e le Milizie di Supporto Rapido, nessuno deve essere più ingannato: è ormai noto che le Milizie di Supporto Rapido presenti in diverse località del Darfur presidiano le città con la scusa di essere parte dell’apparato dello Stato, quando la realtà ha dimostrato che sono invece responsabili degli attacchi alla popolazione civile.

La ferita si è aperta più di venti anni fa, con la crisi del Darfur ormai conosciuta da tutti.

La crisi è stata raccontata nel mondo occidentale e da Al Bashir come uno scontro tra etnie: da una parte le etnie del Darfur, dall’altra le etnie che si professano arabe, raccolte sotto il nome di Janjaweed, oggi facenti parte delle Milizie di Supporto Rapido.

Si tratta invece di crimini contro l’umanità, perpetrati con la connivenza e spesso la complicità del governo sudanese (ieri come oggi gli attacchi delle milizie sono accompagnati da attacchi aerei dell’esercito regolare) per il controllo di aree strategiche, ricche di risorse, che invece muovono spinte autonomiste da secoli.

Nonostante i proclami dell’occidente, le missioni di pace e la destituzione del dittatore Al Bashir le ferite sono ancora aperte e continuano a sanguinare. Sanguinano anche in Europa tra i membri della diaspora sudanese.

I cittadini del Darfur chiedono giustizia e protezione, chiedono di non essere dimenticati e che la loro ferita sia raccontata.

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