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L’Egitto illuso e normalizzato


Gli ex di Mubarak tornano in scena
Islamisti pronti a vincere le elezioni. Costruire una forza democratica: una fatica di Sisifo Controlleranno con gli islamisti la maggioranza del futuro parlamento

INVIATO AL CAIRO
Talaat Sadat dice di essere vicino al popolo, soprattutto nelle difficoltà quotidiane, rimanendo, ad esempio, bloccato in auto per un alcune ore ore, prigioniero negli ingorghi stradali folli che paralizzano il Cairo in questi giorni di Ramadan. E Sadat ieri pomeriggio, al volante della sua automobile nel Wast al Balad, il centro commerciale della capitale, si è preso la sua dose giornaliera di traffico, caldo e inquinamento salutando e sorridendo ai passanti, per indicare «Vedete, sono come voi, soffro come voi».
Nipote di Anwar Sadat, il presidente assassinato nel 1981, Talaat Sadat è il leader nel Nuovo Partito Nazionale (Npn), nato dalle ceneri del Hizb Watan, il Partito nazionale democratico (Pnd) dell’ex presidente Hosni Mubarak, crollato sotto i colpi della rivoluzione del 25 gennaio. In verità il partito di Talaat Sadat è noto tra tutti gli egiziani come «Flul», termine che potrebbe essere tradotto come «ritirata disordinata», quella delle truppe in rotta, senza più comando e in preda al panico. Non è facile perciò per Talaat Sadat guidare un partito dal nome nuovo ma che alla maggior parte della gente ricorda le nefandezze, la corruzione, gli abusi e le frodi elettorali dei trent’anni di Mubarak al potere.
Eppure si commetterebbe un errore pensando che il «Flul» sia minuscolo, marginale e privo di consensi. Al contrario i «fluli», membri effettivi e simpatizzanti, non sono pochi, soprattutto se parliamo dell’Alto Egitto – solo sfiorato dalla rivoluzione – ma non mancano anche al Cairo e negli altri grandi centri urbani, come Alessandria e Suez. E sanno mascherarsi bene. L’altra sera, ad esempio, M.B., giornalista di al Masry al Youm, ha passato gran parte della nostra conversazione ad elencare i «traguardi» raggiunti dall’Egitto sotto la guida di Mubarak e a minimizzare violazioni dei diritti umani e libertà negate per tre decenni, precisando ad ogni occasione: «Ma io non sono un “fluli”».
Per mesi, i giovani rivoluzionari e i blogger, in prima linea in Piazza Tahrir contro Mubarak e il regime, sono stati il punto di riferimento privilegiato per giornalisti, ricercatori e analisti di ogni parte del globo, desiderosi di capire e a raccontare il fenomeno più appassionante e intrigante della rivoluzione egiziana. Sono i giovani infatti che cercano di tenere vivo lo spirito della trasformazione, stavolta contro i tentativi di restaurazione del Consiglio supremo delle Forze Armate che guida il paese. Ma a oltre sei mesi dalle giornate esaltanti di piazza Tahrir, gli attori tradizionali della politica egiziana sono tornati in scena e i giovani rivoluzionari, frantumati in decine di gruppetti e tenuti insieme da coalizioni traballanti, recitano ruoli meno importanti sul palcoscenico della politica nazionale. Del prossimo Parlamento, che uscirà dalle legislative di novembre (ancora da confermare), ad esempio, faranno parte non pochi ex deputati del Pnd di Mubarak. «Grazie alla legge elettorale attuale (che privilegia l’uninominale) potrebbero occupare il 20% dell’Assemblea», ci dice Ayman Hamed, giornalista del neonato quotidiano Tahrir. «Nell’Alto Egitto i clan familiari decidono tutto, anche per chi votare alle elezioni ed è probabile che in quella parte del paese coloro che un tempo stavano con Mubarak verranno in buona parte rieletti grazie al partito di Talaat Sadat».
Si tratta di personaggi che simboleggiano l’ancien regime come Abdel Rahman Ghoul, di Qena, da 20 anni in Parlamento, uno dei tanti «indipendenti» che in realtà stavano saldamente con l’ex raìs. Oppure Adel Ayyub, punto di riferimento di molti clan beduini. E si aggirerà certamente tra i banchi del Parlamento anche un rappresentante della potente famiglia Gabry che controlla il turismo nella piana di Giza, responsabile di quella che è passata alle cronache come la «seconda battaglia del cammello», ossia la carica con cavalli e cammelli di inizio febbraio contro i manifestanti in piazza Tahrir. In discussione c’è una legge che potrebbe proibire agli ex membri del Pnd di potersi candidare. Ma un modo di aggirare la legge si trova sempre.
Ayman Hamed, che ha fatto parte del «Movimento 6 Aprile», il più attivo tra i movimenti politici e sociali schierati contro il regime di Mubarak, non nasconde la sua delusione per quella che descrive «l’incapacità mostrata dai giovani di formare un loro soggetto politico alternativo alla politica tradizionale». Concorda la blogger Asmaa Mahfouz (arrestata a metà mese per diffamazione delle Forze Armate, poi «perdonata») che qualche giorno fa ci sottolineava con amarezza «i contrasti tra i giovani di diverse tendenze politiche di fronte al pugno duro dell’Esercito». Unità e compattezza, dicono Mahfouz e altri giovani attivisti, potrebbero dare più forza a chi chiede una legge elettorale capace di limitare il potere dei clan e, quindi, di impedire il ritorno dei «fluli».
Ma i pro-Mubarak sono soltanto una parte della concentrazione di forze conservatrici che si ritroveranno a far parte del futuro Parlamento. Gli analisti, a mezza bocca, danno per sicuri vincenti i Fratelli musulmani (Fm) in diverse zone del Cairo, a Porto Said, Ismailiya, Mansoura, Tanta e persino nella città operaia di Suez, dove la sinistra egiziana vanta consensi significativi. Sulla base di un accordo, i Fm «lasceranno» ai salafiti la città di Alessandria.
Previsioni che Salah Adly, il segretario generale del risorto Partito comunista egiziano, trova realistiche. «Con ogni probabilità il futuro Parlamento sarà composto per un 50% da deputati della Coalizione Democratica (Fm, salafiti, Gamaa Islamiyya, altre formazioni islamiche e i partiti di centrodestra Ghad e Wafd, ndr) e per un altro 20% dal “Flul», afferma Adly ricevendoci nella piccola sede del Pce nei pressi di piazza Talaat Harb. Il segretario comunista riferisce che si sta lavorando molto a compattare il Blocco Egiziano formato due settimane fa con 14 formazioni laiche e della sinistra, dal Pce al Partito social democratico, dagli Egiziani liberi del tycoon cristiano Neguib Sawiris ai socialisti, fino ai musulmani sufi del partito Tahrir.
«E’ uno schieramento troppo eterogeneo per poter contrastare la forza del fronte politico opposto, perché mette insieme i comunisti e i capitalisti che fanno capo a Sawiris, non vedo quale programma comune saranno in grado di elaborare», nota con ironia Housam Hamalawi, uno dei principali esponenti della sinistra radicale egiziana, che non aspira a far parte dell’Assemblea a tutti i costi e che sta cercando di saldare un’alleanza con i lavoratori in sciopero e i nuovi sindacati indipendenti. La beffa è dietro l’angolo: chi non ha fatto la rivoluzione, come i Fratelli musulmani rimasti a guardare per molti dei 18 giorni di proteste anti-Mubarak, e i «Flul» avranno il controllo del Parlamento. Rimarranno ben pochi seggi alle forze che si sono battute nelle strade contro il raìs e per un nuovo Egitto.

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Mi. Gio. INVIATO IL CAIRO
INTERVISTA
Aida Seif Al Dawla: «Donne al palo nel dopo rivoluzione»

INVIATO IL CAIRO
Le donne egiziane sono state la forza trainante della rivoluzione del 25 gennaio, soprattutto della prima parte della sollevazione anti-Mubarak. E oggi, in non pochi casi, guidano la protesta contro le posizioni ambigue dei generali del Consiglio supremo delle forze armate. Non a caso sono la maggioranza dei rinviati a giudizio di fronte alle tanto contestate corti militari. Sul ruolo delle donne a sei mesi dalla rivoluzione, sui diritti negati e le battaglie future, ma anche sui temi caldi della politica nazionale, abbiamo intervistato al Cairo Aida Seif al Dawla, esponente di primo piano del movimento femminista e della sinistra. Il suo centro «Nadim» contro la violenza è una delle espressioni più conosciute e rispettate della società civile.
Cosa ha cambiato la rivoluzione per le donne egiziane
Ci sono vari livelli. Se parliamo della strada, della gente comune, degli studenti e delle lavoratrici, allora possiamo dire che qualche progresso importante è stato fatto. Il protagonismo delle donne egiziane è un fatto accertato e riconosciuto da tanti. E non è limitato solo alle appartenenti alla classe media ma riguarda anche la popolazione più povera. Quanto questo protagonismo sorto in piazza Tahrir sia penetrato nelle famiglie è difficile dirlo ma certo anche lì sta avendo riflessi interessanti che potranno evolversi ulteriormente in futuro.
In politica i cambiamenti però sono stati insignificanti…
E’ vero, molte donne vengono invitate a partecipare a forum e conferenze, intervistate da radio e televisioni, ma continuano a rimanere assenti ai vertici delle istituzioni. Ad esempio nessuna donna fa parte del comitato di saggi (nominato dall’Esercito) incaricato di elaborare le linee fondamentali della futura costituzione e ancora oggi non si è capito sulla base di quali criteri siano stati scelti i suoi componenti. Purtroppo i partiti non stanno agendo in maniera molto diversa dal passato, e preferiscono accogliere e promuovere i dirigenti ed attivisti maschi perché portano più voti alle elezioni. Ma questo dipende anche dall’attuale sistema elettorale.
E’ a favore della quota-rosa, applicata durante le elezioni legislative per il rinnovo dell’ultimo parlamento, con Mubarak ancora al potere?
Nel caso dell’Egitto credo che sia necessaria. In generale però non guardo ad essa con favore perché le donne, poste in condizioni di piena parità con gli uomini, devono saper dimostrare le loro capacità ed essere in grado di farsi eleggere.
I laici in Egitto temono un parlamento dominato dai Fratelli musulmani. Lei?
In verità non credo sino in fondo alle previsioni di chi parla del 50% dei seggi che andranno agli islamisti. Sono certo che i Fratelli musulmani e i salafiti conquisteranno un bel po’ di consensi ma dubito che riusciranno a controllare realmente il parlamento. Mi preoccupa di più la concentrazione di forze capitaliste che si sta saldando agli islamisti. Si tratta di uno schieramento che punta sul «concedere qualcosa» di significativo ad ogni parte coalizzata. Nelle settimane passate ho letto che esponenti del fronte conservatore vorrebbe limitare al minimo il diritto delle donne di divorziare e non manca chi vorrebbe reintrodurre il provvedimento che consente di riportare con la forza a casa una moglie o una figlia facendo ricorso alla polizia.
L’Egitto come Stato civile, del quale si dibatte tra le forze politiche in queste settimane, può offrire alle donne la realizzazione di diritti ed aspirazioni?
Lo Stato civile del quale si parla tanto non ha possibilità di essere realizzato. I vari documenti che abbiamo letto, incluso quello elaborato dagli sceicchi dell’università islamica Azhar, cercano soltanto di trovare un punto di consenso nazionale e non di garantire diritti alle donne.
Qual è la strada che lei invita a seguire?
Non esiste una sola ricetta, da parte mia sollecito la sinistra egiziana a tornare a fare la sinistra, a lavorare per la trasformazione della società e, quindi, al raggiungimento della piena uguaglianza tra uomo e donna in ogni campo, dal lavoro alla vita.

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