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La fabbrica ecologica che cancella i palestinesi

La disgregazione per usura di una sola bottiglia di pet dura quasi mezzo millennio. Tutto per la voglia di bollicine che tante minerali non hanno neppure. Così l’azienda Sodastream ha pensato alla sorgente casalinga e vende l’occorrente per arricchire l’acqua del rubinetto della desiderata frizzantezza. Azzerando lo scarto della plastica. Guardate anche voi (http://www.youtube.com/user/SodastreamItalia#p/a/u/0/uy06U8cRF4s). Sodastream, marchio quotato al Nasdaq, ha però un inconfessato segreto. Gran parte della produzione delle macchinette che vende in 41 Paesi è concentrata nei 15.000 mq dell’impianto di Mishor Adumim, sorto sui terreni dove c’erano i villaggi palestinesi di Abu Dir, Al-Izriyyeh, Al-Issawiyyeh, Al-Tur, Anata, Nebbi Mussa occupati dal giugno 1967. L’esproprio di un’area immensa attorno alla fabbrica ha reso possibile la creazione della gigantesca colonia di Ma’ale Adumim (39.000 abitanti) che ha definitivamente separato la parte araba di Gerusalemme est dalla restante Cisgiordania.

Afferma l’attivista del BDS Stephanie Westbrooke”Sodastream ha ripetutamente cercato di distogliere l’attenzione dalla fabbrica di Mishor Adumim affermando come sia solo una delle tante che il gruppo possiede al mondo. L’amministratore delegato Daniel Birnbaum in un’intervista dichiarava che tutti i prodotti Sodastream venduti in Svezia sono realizzati in Cina, non in Israele. Peccato che un recente rapporto della Securities and Exchange Commission sulle società presenti in Borsa indichi l’impianto a Mishor Adumim come “una fabbrica per lavorare metallo, plastica e produrre bottiglie attrezzata con macchine utensili e di assemblaggio, un impianto per la produzione di cilindri per la ricarica di CO2 e per collaudare i cilindri”, mentre due subappaltatori in Cina non producono altro che alcuni componenti per i gasatori Sodastream. Il rapporto annuale chiarisce anche che le tanto vantate fabbriche in tutto il mondo – Australia, Germania, Olanda, Nuova Zelanda, Sud Africa, Svezia e Stati Uniti – forniscono soltanto servizi di ricarica di CO2”. L’attivista cita la Svezia perché il movimento del “Boicottaggio, Disinvestimento, Sanzioni” contro lo Stato d’Israele ha conseguito in quella che è (o forse è meglio dire era) la prima nazione acquirente dei prodotti Sodastream un grosso successo della propria campagna.

La Coop svedese, che vanta il 21% di quote di mercato interno, ha deciso di sospendere la vendita dei cilindretti nei suoi supermarket proprio a causa della loro provenienza e della violazione da parte di Tel Aviv del Diritto internazionale. Un rapporto realizzato dalla Coalizione Donne per la Pace ha evidenziato come la Sodastream versi parte dei suoi profitti a sostegno dell’insediamento illegale di Ma’ale Adumim che è diventato da vent’anni una città d’Israele. L’Ong Peace Now afferma che oltre l’86% dei terreni su cui sorge la colonia era di proprietà palestinese. L’insediamento vìola il Diritto internazionale sancito dalla Quarta Convenzione di Ginevra che vieta a una nazione occupante di trasferire i propri cittadini su un territorio occupato. Per Israele la Cisgiordania non è uno Stato al quale applicare la Convenzione; la Corte Internazionale di Giustizia e il Comitato Intenazionale della Croce Rossa respingono questa tesi. Oltre all’accattivate pubblicità Sodastream si è molto impegnata in pubbliche relazioni per decantare il contestato luogo di produzione. Petra Schrott dell’ufficio marketing definisce l’impianto cisgiordano come “uno splendido esempio di coesistenza pacifica dove 160 lavoratori palestinesi ricevono, oltre a pasti caldi, tutte le prestazioni sociali e sanitarie in conformità con le leggi israeliane“.

 


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