Le autorità israeliane hanno ieri ordinato l’evacuazione della loro ambasciata a Amman nel timore di proteste simili a quelle che la scorsa settimana al Cairo avevano portato ad un vero e proprio assalto contro la sede diplomatica. Il quotidiano israeliano Haaretz riferisce nella sua edizione online che il premier Benyamin Nethanyahu ha imposto a tutti i diplomatici di rientrare in patria con un giorno di anticipo rispetto alla norma che prevede che chi lavora nell’ambasciata di Amman non resti in Giordania durante il week-end. L’emittente panaraba Al Arabiya riferisce che l’ambasciatore si era offerto di restare durante l’assenza dei colleghi, ma da Tel Aviv avrebbero imposto di rientrare anche a lui. La protesta, organizzata attraverso Facebook, dovrebbe iniziare domani e protrarsi per tutto il fine settimana. Assieme all’Egitto, la Giordania è l’unico paese arabo ad avere rapporti diplomatici con Israele.
Per Tel Aviv si va quindi accentuando la percezione di una completa solitudine in tutta la regione, un isolamento relativamente compensato dal sostegno economico, militare e diplomatico degli Usa e di qualche governo europeo (tra cui l’Italia).
Il premier turco Erdogan, oggi in Tunisia, ieri è intervenuto alla Lega Araba con un intervento che non è piaciuto affatto alle autorità israeliane. “È tempo che la bandiera palestinese sventoli alle Nazioni Unite. Uniamo gli sforzi e facciamo che questa bandiera diventi un simbolo di pace e di giustizia in Medio Oriente” ha affermato Erdogan. Durissimo l’affondo contro Israele, nuovamente definito come «un bambino viziato» che usa il terrorismo di Stato e che sta determinando la rovina del suo popolo attraverso le sue politiche. L’unica via per lo Stato ebraico per uscire dalla solitudine, secondo Erdogan, «è agire in modo responsabile come uno Stato responsabile e serio». E fino a quando questo non avverrà non ci sarà nessuna normalizzazione tra Turchia e Israele.
Il quotidiano turco «Al-Zaman», tra l’altro, ha rivelato ieri che la Turchia ha cambiato un vecchio software militare destinato ai suoi caccia, navi da guerra e sottomarini. Il nuovo software non riconosce più come «amici» aerei e imbarcazioni israeliane. Oggi Erdogan è in Tunisia accompagnato da 170 imprenditori e sei ministri e domani sarà a Tripoli, e sarà uno dei primi capi di stato a entrate nella Libia dalla caduta di Gheddafi, battuto però sul tempo da Cameron e Sarkozy
che oggi sono a Tripoli blindata da un enorme apparato di sicurezza.
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