«Siamo la brigata che ripulirà la Libia dagli schiavi neri»: si leggono ancora le scritte dei miliziani provenienti da Misurata che hanno preso la città a metà dello scorso agosto
Insieme a Sirte, la città «gheddafiana» assediata e distrutta, Tawergha, la città dei neri libici, oggi spopolata e sfregiata, rischia di diventare il simbolo della «nuova Libia». Situata a qualche decina di chilometri da Misurata, Tawergha contava circa 30mila abitanti, in gran parte libici di pelle nera: nacque nel XIX secolo come città di transito nel traffico degli schiavi. E «schiavi» (abeed) è l’insulto che più ricorre sui muri di Tawergha dopo la conquista in agosto da parte dei miliziani anti-gheddafiani provenienti da Misurata.
La cittadina è ora disabitata (e molte case incendiate e saccheggiate): i suoi abitanti sono scappati mano a mano che gli insorti si avvicinavano e gli ultimi, qualche centinaio, sono stati espulsi dalle milizie. Ora sono sparsi presso parenti e soprattutto in campi profughi improvvisati ma di tanti si sono perse le tracce. Molti sono stati arrestati ai check-point o addirittura prelevati dagli ospedali e scomparsi. Assassinati. Una sorta di pulizia etnica nella quale l’odio razziale si è mescolato all’accusa agli abitanti di essere stati pro-Gheddafi e, pur essendo libici, suoi «mercenari».
Fin dall’inizio della guerra civile circolavano notizie (corredate a volte da foto e video) sulle atrocità commesse non solo dai lealisti gheddafiani ma anche dagli insorti sostenuti dalla Nato, incluse decapitazioni di neri libici, combattenti e non, accusati di crimini e stupri. Ma a Tawergha è il castigo colllettivo di un’intera città. Il primo a lanciare l’allarme era stato il… Wall Street Journal il 21 giugno («Libyan City Thorn by Tribal Feud»): uno suo reporter, Sam Dagher, aveva intervistato i comandanti militari degli insorti di Misurata e uno di loro, Ibrahim al-Halbous, diceva con chiarezza che una volta conquistata Tawargha i suoi abitanti avrebbero dovuto fare fagotto, perché «Tawergha non esiste più, c’è solo Misurata». Dagher parlava dell’esplodere di un «razzismo che prima del conflitto era latente». Fra le due città, sui muri le scritte pro-Gheddafi erano state sostituite da moniti tipo «siamo la brigata che ripulirà la Libia dagli schiavi neri». Il reverendo nero statunitense Jesse Jackson a giugno chiese – inascoltato – un’indagine della Corte penale internazionale.
La situazione di Tawergha precipita in agosto. Ricostruiva la vicenda l’inchiesta «Ethnic Cleansing, Genocide and the Tawergha», di Human Rights Investigation , un piccolo gruppo di ricercatori indipendenti nel campo dei diritti umani, da non confondere con la più nota Human Rights Watch, il cui rapporto sulle vicende di Tawargha è successivo. Grazie ai bombardamenti aerei della Nato e ai missili Grad dei ribelli, Tawergha viene presa il 13 agosto. Al Jazeera mostra case distrutte, prigionieri messi in un container di ferro (ma è impossibile filmarli), un ferito in abiti civili portato via e armati che obbligano gli ultimi abitanti a partire. Quando Telesur si reca sul posto «non c’è più nessuno, salvo nella parte antica dove i ribelli non ci hanno lasciati entrare; pare che là ci sia ancora qualcuno, e quando escono in cerca di cibo o acqua li catturano». .
Alla fine di agosto Amnesty International denuncia le vendette e le esecuzioni sui pro-gheddafiani prelevati perfino dagli ospedali e uccisi o fatti sparire e indica nei Tawergha un gruppo particolarmente vulnerabile che abbisogna di protezione. Chiede anche ai nuovi governanti di farla finita con l’impunità. Questi ultimi glissano su Tawergha e minimizzano sul resto…
E’ ancora il Wsj a riferire che il «premier provvisorioa» del Cnt, Mahmoud Jibril, il 18 settembre in un incontro pubblico a Misurata dà in pratica il via libera alla cancellazione della città: «Su Tawergha ritengo che nessuno debba interferire, salvo la popolazione di Misurata. Non possiamo riferirci alle teorie della riconciliazione nazionale usate in Sudafrica, Irlanda o Europa dell’Est». Grandi applausi e grida di «Allah u Akbar». In quei giorni molte case della cittadina venivano incendiate, «per evitare che ritornino», spiegava un ribelle.
Il 30 ottobre Human Rights Watch (Hrw) riepiloga la tragedia della città nel suo rapporto «Beatings, Shootings, Deaths in Detention of Tawerghans». «Le milizie di Misurata terrorizzano gli sfollati da Tawergha – abbandonata, saccheggiata e in parte bruciata – e assicurano che non ritorneranno mai». Hwr ha intervistato decine di sfollati in tutto il paese, e fra questi 26 detenuti a Misurata e nei dintorni e 35 sfollati a Tripoli, Heisha e Hun. Le denunce, definite «credibili», parlano di ferimenti o esecuzioni di persone disarmate, arresti arbitrari e torture su detenuti, fino alla morte in alcuni casi. Secondo l’Alto commissariato Onu per i rifugiati, i 15mila abitanti sono fuggiti in gran parte nella regione Jufra, nelle città di Hun, di Sokna e nelle campagne circostanti, poi verso Bengasi o Tripoli, a Tarhouna, Khoms o nel Sud.
Il 25 ottobre Hrw è stata testimone, nella Tawergha spopolata, di un saccheggio totale e il giorno dopo ha visto diverse case in fiamme, sotto gli occhi delle brigate di miliziani di Misurata.
Molti abitanti di Tawergha sostenevano, anche armi alla mano, Gheddafi durante l’assedio a Misurata. Ma dopo il cambio di regime è stato un susseguirsi di abusi, arresti arbitrari e persecuzione dell’intera comunità. Molti detenuti di Tawergha incontrati nelle diverse prigioni di Misurata, e altri incontrate dopo il rilascio, mostrano segni di maltrattamenti e raccontano di torture anche con l’elettricità, per obbligarli a confessare di aver combattuto e di aver stuprato.
Ma è un crimine in sé anche aver obbligato un’intera città a fuggire. «Forzare tutti i residenti di Tawergha ad andare via è una punizione collettiva ed è un crimine contro l’umanità», dichiara Hrw, precisando che le autorità dovrebbero processare solo i responsabili dell’assedio a Misurata permettendo ai civili di ritornare nella loro città.
Tre addetti sanitari hanno raccontato che il direttore de facto di un ospedale fra Sirte ed Heisha ordinava ai medici di curare per primi i ribelli feriti, lasciando stare i neri, «che sono di Tawergha», i civili di Sirte, i soldati di Gheddafi, le donne…
Nella città di Jufra miliziani di Misurata sono entrati a più riprese nei campi che ospitavano persone di Tawergha per portare via gli uomini. E’ caccia all’uomo. Gli sfollati di un campo hanno dato a Hrw la lista di 50 giovani spariti.
Dureranno per sempre il silenzio e l’impunità?
* Tutti i dati e le citazioni riportate sono disponibili, per chi voglia verificarli, in rete
La cittadina è ora disabitata (e molte case incendiate e saccheggiate): i suoi abitanti sono scappati mano a mano che gli insorti si avvicinavano e gli ultimi, qualche centinaio, sono stati espulsi dalle milizie. Ora sono sparsi presso parenti e soprattutto in campi profughi improvvisati ma di tanti si sono perse le tracce. Molti sono stati arrestati ai check-point o addirittura prelevati dagli ospedali e scomparsi. Assassinati. Una sorta di pulizia etnica nella quale l’odio razziale si è mescolato all’accusa agli abitanti di essere stati pro-Gheddafi e, pur essendo libici, suoi «mercenari».
Fin dall’inizio della guerra civile circolavano notizie (corredate a volte da foto e video) sulle atrocità commesse non solo dai lealisti gheddafiani ma anche dagli insorti sostenuti dalla Nato, incluse decapitazioni di neri libici, combattenti e non, accusati di crimini e stupri. Ma a Tawergha è il castigo colllettivo di un’intera città. Il primo a lanciare l’allarme era stato il… Wall Street Journal il 21 giugno («Libyan City Thorn by Tribal Feud»): uno suo reporter, Sam Dagher, aveva intervistato i comandanti militari degli insorti di Misurata e uno di loro, Ibrahim al-Halbous, diceva con chiarezza che una volta conquistata Tawargha i suoi abitanti avrebbero dovuto fare fagotto, perché «Tawergha non esiste più, c’è solo Misurata». Dagher parlava dell’esplodere di un «razzismo che prima del conflitto era latente». Fra le due città, sui muri le scritte pro-Gheddafi erano state sostituite da moniti tipo «siamo la brigata che ripulirà la Libia dagli schiavi neri». Il reverendo nero statunitense Jesse Jackson a giugno chiese – inascoltato – un’indagine della Corte penale internazionale.
La situazione di Tawergha precipita in agosto. Ricostruiva la vicenda l’inchiesta «Ethnic Cleansing, Genocide and the Tawergha», di Human Rights Investigation , un piccolo gruppo di ricercatori indipendenti nel campo dei diritti umani, da non confondere con la più nota Human Rights Watch, il cui rapporto sulle vicende di Tawargha è successivo. Grazie ai bombardamenti aerei della Nato e ai missili Grad dei ribelli, Tawergha viene presa il 13 agosto. Al Jazeera mostra case distrutte, prigionieri messi in un container di ferro (ma è impossibile filmarli), un ferito in abiti civili portato via e armati che obbligano gli ultimi abitanti a partire. Quando Telesur si reca sul posto «non c’è più nessuno, salvo nella parte antica dove i ribelli non ci hanno lasciati entrare; pare che là ci sia ancora qualcuno, e quando escono in cerca di cibo o acqua li catturano». .
Alla fine di agosto Amnesty International denuncia le vendette e le esecuzioni sui pro-gheddafiani prelevati perfino dagli ospedali e uccisi o fatti sparire e indica nei Tawergha un gruppo particolarmente vulnerabile che abbisogna di protezione. Chiede anche ai nuovi governanti di farla finita con l’impunità. Questi ultimi glissano su Tawergha e minimizzano sul resto…
E’ ancora il Wsj a riferire che il «premier provvisorioa» del Cnt, Mahmoud Jibril, il 18 settembre in un incontro pubblico a Misurata dà in pratica il via libera alla cancellazione della città: «Su Tawergha ritengo che nessuno debba interferire, salvo la popolazione di Misurata. Non possiamo riferirci alle teorie della riconciliazione nazionale usate in Sudafrica, Irlanda o Europa dell’Est». Grandi applausi e grida di «Allah u Akbar». In quei giorni molte case della cittadina venivano incendiate, «per evitare che ritornino», spiegava un ribelle.
Il 30 ottobre Human Rights Watch (Hrw) riepiloga la tragedia della città nel suo rapporto «Beatings, Shootings, Deaths in Detention of Tawerghans». «Le milizie di Misurata terrorizzano gli sfollati da Tawergha – abbandonata, saccheggiata e in parte bruciata – e assicurano che non ritorneranno mai». Hwr ha intervistato decine di sfollati in tutto il paese, e fra questi 26 detenuti a Misurata e nei dintorni e 35 sfollati a Tripoli, Heisha e Hun. Le denunce, definite «credibili», parlano di ferimenti o esecuzioni di persone disarmate, arresti arbitrari e torture su detenuti, fino alla morte in alcuni casi. Secondo l’Alto commissariato Onu per i rifugiati, i 15mila abitanti sono fuggiti in gran parte nella regione Jufra, nelle città di Hun, di Sokna e nelle campagne circostanti, poi verso Bengasi o Tripoli, a Tarhouna, Khoms o nel Sud.
Il 25 ottobre Hrw è stata testimone, nella Tawergha spopolata, di un saccheggio totale e il giorno dopo ha visto diverse case in fiamme, sotto gli occhi delle brigate di miliziani di Misurata.
Molti abitanti di Tawergha sostenevano, anche armi alla mano, Gheddafi durante l’assedio a Misurata. Ma dopo il cambio di regime è stato un susseguirsi di abusi, arresti arbitrari e persecuzione dell’intera comunità. Molti detenuti di Tawergha incontrati nelle diverse prigioni di Misurata, e altri incontrate dopo il rilascio, mostrano segni di maltrattamenti e raccontano di torture anche con l’elettricità, per obbligarli a confessare di aver combattuto e di aver stuprato.
Ma è un crimine in sé anche aver obbligato un’intera città a fuggire. «Forzare tutti i residenti di Tawergha ad andare via è una punizione collettiva ed è un crimine contro l’umanità», dichiara Hrw, precisando che le autorità dovrebbero processare solo i responsabili dell’assedio a Misurata permettendo ai civili di ritornare nella loro città.
Tre addetti sanitari hanno raccontato che il direttore de facto di un ospedale fra Sirte ed Heisha ordinava ai medici di curare per primi i ribelli feriti, lasciando stare i neri, «che sono di Tawergha», i civili di Sirte, i soldati di Gheddafi, le donne…
Nella città di Jufra miliziani di Misurata sono entrati a più riprese nei campi che ospitavano persone di Tawergha per portare via gli uomini. E’ caccia all’uomo. Gli sfollati di un campo hanno dato a Hrw la lista di 50 giovani spariti.
Dureranno per sempre il silenzio e l’impunità?
* Tutti i dati e le citazioni riportate sono disponibili, per chi voglia verificarli, in rete
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