Eppure la mattinata era cominciata nel migliore dei modi: borse continentali in rialzo di quasi due punti percentuali, spread in ulteriore riduzione. Tutto nella scia dei due giorni precedenti, quando la «manovra» del governo Monti aveva persuaso «i mercati» che il malato più pericoloso della zona euro, se non altro per le dimensioni, stava «facendo sul serio». Ossia stava mettendo in conto alla popolazione i danni causati da un procedere globale della crisi e dall’insipienza di un governo dalla «vista corta».
Tutti gli occhi erano puntati sul vertice europeo di Bruxelles, che si aprirà oggi per concludersi domani. Ed era considerato scontato che lì saranno prese decisioni radicali per assicurare un governance europea unitaria nella gestione della crisi. Patti e trattati rivisti, un rafforzamento delle regole vincolanti «almeno per i 17 paesi dell’eurozona», proprio per assicurare un risultato «credibile» di fronte ai mercati. Ma è bastato che la France Presse rendesse noto il «pessimismo» di un anonimo componente del governo tedesco, che si diceva assai meno fiducioso sui possibili risultati del Consiglio europeo, per gettare di nuovo nello sconforto gli operatori di borsa. Milano arrivava a perdere oltre il 2,5%, e poco peggio facevano le altre piazze europee. Sotto stress i Btp, con lo spread dei decennali che tornava a toccare «quota 400» e il rendimento a superare il 6%. Aveva dato il suo contributo «tecnico» anche il successo dell’asta sui titoli tedeschi – la precedente, quasi una settimana fa, era invece andata quasi deserta – che sembrava confermare un di più dei fiducia verso la Germania, a scapito dei partner continentali.
Il panico – in un mercato «volatile» al punto di sperimentare un’escursione del 4% in poche ore – smetteva di propagarsi solo grazie a una seconda indiscrezione d’agenzia (si badi bene: non di fronte a dati ufficiali quantificabili e perciò «oggettivi»). era stavolta l’americana Bloomberg ad anticipare «misure straordinarie» che la Bce dovrebbe render note soltanto oggi. Ci sarà infatti una riunione del board della banca di Francoforte, presieduta da Mario Draghi, al termine della quale dovrebbe esser deciso un nuovo taglio dei tassi di interesse (il secondo in poco più di un mese), riportando dunque il tasso principale all’1%.
Soprattutto, però, è atteso l’annuncio di nuove «misure non standard» per conferire maggiore liquidità al sistema bancario. L’obiettivo di contrastare la «stretta creditizia» in atto – le banche non si prestano più soldi neppure tra di loro – verrebbe affrontato ampliando il ventaglio di «collaterali» offerti dalle stesse banche in garanzia per prestiti Bce. In pratica: spazzatura «derivata» in cambio di soldi freschi. Mentre non verrebbe soddisfatta l’aspettativa di un Bce che agisce più risolutamente come «prestatore di ultima istanza», e quindi impegnata in acquisti molto più massicci di titoli di stato «a rischio» sul mercato secondario.
L’annuncio risollevava un poco le borse dai minimi di giornata. Ma andrà valutata stamani la portata di un’altra notizia, stavolta certa: la Cftc (authority Usa su futures e derivati) ha imposto le società di intermediazione «limiti rigorosi» sull’acquisto di «bond stranieri» ritenuti in questo momento eccessivamente rischiosi. Di fatto: quasi un divieto di acquisto di titoli di stato europei.
L’insieme delle notizie e delle aspettative caricate su questo vertice sono dunque fonte di forti oscillazioni tra la «fiducia» e il terrore. E dipingono uno scenario che ci sembra così riassumibile. I «mercati» stanno agendo come un branco di predatori affamatissimi; i paesi che vengono presi di mira non hanno altre alternative che fare «sacrifici umani», tagliando la spesa pubblica sociale (con tanto di indicazioni dettagliate, come nella «lettera della Bce» di agosto). Vengono saziati per un attimo e rivolgono la loro attenzione altrove. Ma il sommovimento globale che li anima è di tali dimensioni – e di totale indifferenza per i «danni locali» – che si può restare schiacciati anche avendo messo «tutti i conti a posto».
I «sacrifici» intollerabili imposti con ben quattro manovre consecutive in un anno, insomma, rischiano molto concretamente di essere una goccia nel mare. Inutili.
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da Il Sole 24 Ore
Golden Rule e sanzioni semi-automatiche: la “ricetta Merkozy” per far uscire l’Europa dalla crisi
Stefano Natoli
I principi del pareggio di bilancio e gli obiettivi del patto di stabilità da inserire nelle Costituzioni, sanzioni quasi automatiche in caso di superamento del 3% del rapporto deficit/pil, quadro giuridico comune per la convergenza su regolazione finanziaria, mercato del lavoro, armonizzazione delle imposte sulla società, tassa sulle transazioni finanziarie. Sono questi gli elementi della proposta franco-tedesca contenuti nella lettera di quattro pagine che Nicolas Sarkozy e Angela Merkel hanno inviato al presidente del Consiglio europeo Herman Van Rompuy alla vigilia del Consiglio europeo dell’8 e 9 dicembre.
Eurosummit cruciale per le sorti di eurolandia
Un Consiglio che da più parti è definito cruciale per le sorti di eurolandia e che Francia e Germania non permetteranno venga chiuso senza un’intesa. È quanto assicura il ministro francese delle Finanze, Francois Baroin: «Nè Angela Merkel, nè Nicolas Sarkozy lasceranno il tavolo senza che sia firmato un accordo forte», ha detto Baroin poco dopo la minaccia lanciata del premier britannico David Cameron sul fatto che la Gran Bretagna sarebbe «pronta a bocciare qualunque modifica dei Trattati Ue contraria agli interessi di Londra». Riserve, quelle britanniche, che dovrebbero essere facilmente aggirate: secondo il piano che il presidente Van Rompuy si appresta a presentare sarebbe infatti possibile applicare regole di bilancio più severe senza modificare i trattati e dunque evitando la ratifica dei Parlamenti nazionali.
I due leader: anticipare di un anno l’entrata in vigore dell’Esm
Tornando alla lettera inviata allo stesso Von Rompuy, i leader di Francia e Germania propongono inoltre di anticipare di un anno l’entrata in vigore dell’Esm (il meccanismo permanente anti-crisi messo a punto dall’Unione) e di prendere «tutte le misure necessarie per stabilizzare l’eurozona nel suo insieme» e per rafforzare «l’architettura dell’Unione economica e monetaria». Architettura che deve poggiare su un «rafforzamento della governance per assicurare la disciplina di bilancio così come una crescita più forte ed un’accresciuta competitivitá». Un obiettivo che si può raggiungere attraverso «un contratto rinnovato tra i Paesi membri della zona euro». I due leader sono attesi domani sera a Bruxelles per la cena informale dei 27.
New York Times: nel piano Sarkò-merkel manca la crescita
Sul piano Merkel-Sarkozy c’è da registrare il giudizio impietoso del New York Times. In un editoriale pubblicato oggi, il giornale americano afferma che la ricetta franco-tedesca per salvare l’euro potrà assicurare una stabilità temporanea ma finirà per aggravare il problema fondamentale dell’Europa: la mancanza di crescita. Il prestigioso quotidiano newyorkese definisce «sbagliata» la proposta di Parigi e Berlino e teme che essa possa «peggiorare le cose». Un’analisi, quella del New York Times, che ricalca quella dell’amministrazione Obama che spinge per una soluzione della crisi europea che non penalizzi troppo la crescita, minacciando la ripresa mondiale. «Mentre i tedeschi insistono sul fatto che la disciplina di bilancio riporterà la fiducia sui mercati – si legge – i mercati percepiscono che una recessione sempre più profonda renderà ancora più duro per le nazioni più deboli ripagare i loro debiti». Secondo il Nyt «le nazioni profondamente indebitate debbono certamente riportare i propri bilanci sotto controllo, riformare il mercato del lavoro, vendere le proprietà statali e diventare più competitive. Ma questo non può essere fatto senza crescita. La Germania potrebbe dare la necessaria spinta, risparmiando meno e spendendo di più e assorbendo più importazioni dai Paesi vicini. Ma il piano non prevede alcuno stimolo da parte tedesca».
Il quotidiano poi critica il fatto che Sarkozy e Merkel abbiano bocciato la soluzione degli eurobond, frustrando così ancora una volta le ambizioni di creare una vera unione politica ed economica.
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La Germania alza la posta sui Trattati
Beda Romano
A 24 ore dall’inizio di un vertice cruciale per il futuro dell’unione monetaria la Germania ieri ha sottolineato ancora una volta la necessità di riformare i Trattati adottando un nuovo assetto istituzionale per salvare la moneta unica. L’opzione è guardata con grande timore dagli altri paesi dell’Unione, combattuti tra il desiderio di dare una riposta ambiziosa alla crisi e il timore di creare nuove incertezze.
Riferendosi alle proposte del presidente del consiglio europeo Herman Van Rompuy, che prevedono modifiche ai protocolli oltre che ai Trattati, una fonte governativa tedesca ha spiegato a Berlino che questo piano «è insufficiente rispetto al nostro obiettivo: ossia un nuovo quadro legale che istituisca una nuova cultura della stabilità». E ha aggiunto: «Sono pessimista sulla possibilità di raggiungere un accordo globale».
Secondo la stessa fonte, «un certo numero di partner non ha capito la gravità della situazione». Sul tavolo del consiglio che si riunirà oggi per una due-giorni cruciale, ci sono proposte per imporre una nuova disciplina di bilancio, migliorare la force de frappe dei fondi salva-Stati, rafforzare la convergenza tra gli i Paesi membri. Non era chiaro ieri se i segnali berlinesi erano solo negoziali, o se vi sia il desiderio di alzare la posta.
Certo è che la dura presa di posizione tedesca stona per certi versi con la lettera che Francia e Germania hanno inviato ieri a Van Rompuy. Da un lato il documento parla della necessità di «un contratto rinnovato tra i Paesi della zona euro». Dall’altro, indica che le sanzioni proposte dalla Commissione contro i Paesi in deficit possono essere bloccate dal consiglio con una maggioranza qualificata, senza quindi un pieno automatismo.
Secondo il gabinetto Van Rompuy, per introdurre la regola sul bilancio in pareggio basta cambiare il Protocollo 12 con l’assenso del consiglio. Modifiche più profonde ai Trattati – per esempio relative all’avvio della procedura di deficit eccessivo o al ruolo della Commissione – richiedono invece il benestare dei Paesi, in versione semplificata, o la convocazione di una convenzione, se c’è trasferimento di sovranità.
Ieri sera secondo esponenti europei la strada di una vera riforma dei Trattati appariva la più probabile, con tutti i rischi connessi. La partita è particolarmente difficile perché bisognerà decidere se i cambiamenti – quali essi siano – saranno a 17 o a 27. Per accettare la prima opzione, la Gran Bretagna potrebbe chiedere contropartite (per esempio modifiche alla legislazione europea in materia finanziaria o di orario del lavoro).
Sul fronte della gestione della crisi, il Consiglio europeo deve decidere come potenziare l’Efsf (attraverso l’aiuto del Fondo monetario internazionale?), e come modificare lo statuto dell’Esm (ammorbidendo l’obbligo del contributo dei privati a una eventuale ristrutturazione del debito, aumentandone la dotazione, e trasformandolo in istituzione creditizia). Su quest’ultimo punto la Germania è contraria.
La speranza è di giungere come minimo a un accordo su linee-guida che possano essere decise formalmente a marzo e che convincano nel frattempo la Banca centrale europea a sostenere il debito europeo. I negoziatori puntavano ieri su un pacchetto che sia univoco per i mercati, ma abbastanza flessibile perché possa essere aggiustato dai negoziati diplomatici che seguiranno l’accordo delle prossime ore.
Sul fronte italiano, in più di una occasione il premier Mario Monti ha sottolineato come le regole europee siano per il paese un utile corsetto. L’attenzione della delegazione italiana sarà rivolta al ruolo che avranno le istituzioni europee nel controllare i bilanci. La recente riforma del Patto di stabilità mette l’accento sulla necessità di ridurre il debito, prevedendo per i Paesi margini di trattative che l’Italia non vorrà sacrificare.
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I mercati mettono i leader alle strette
Isabella Bufacchi
Sarà pure un gesto disperato. Ma è comprensibile: per i politici europei è difficile potersi concentrare mentre si è incalzati dal ritmo ossessivo dell’ultimo tam tam dei mercati, «make it or break it, make it or break it». L’Eurozona, a corto di idee e di credibilità come fabbrica di “bazooka”, è giunta all’atto estremo, forse risolutivo: la coesistenza dell’Efsf con l’Esm, la somma della potenza di fuoco del fondo di stabilità temporaneo (che finora ha funzionato poco e male) con quella del fondo salva-stati permanente (che ancora non esiste). In più, all’occorrenza, non è escluso il supporto finanziario esterno del Fondo monetario internazionale e, se vi saranno le condizioni, della Bce.
L’Europa spera che il tutto avrà un valore superiore alla somma delle parti, ma il rischio invece è che il colpo in canna esploda in mano ai politici europei. Ecco perché.
I mercati, che possono sbagliare le previsioni ma sanno far di conto, hanno alzato il tiro fin da subito. Il primo Efsf con garanzie per 440 miliardi e capacità di finanziamento attorno ai 250 miliardi non bastava a coprire le necessità di Grecia, Irlanda, Portogallo e altri potenziali: anche se affiancato dall’Efsm, il meccanismo di stabilizzazione della Ue garantito dal bilancio Ue. Il secondo Efsf, con garanzie e sovragaranzie per 780 miliardi e potenza di fuoco da 440 miliardi, non è sembrato poter bastare per coprire eventuali crisi di liquidità di Spagna e Italia. Il terzo Efsf, che altro non è che il secondo con effetto leva e con un’estensione tramite speciali veicoli d’investimento, potrebbe erogare prestiti dai 600 miliardi in su. Ma il mercato si è messo in testa un bazooka tra i 1.000 e i 2.000 miliardi e smuoverlo da questa aspettativa appare allo stato attuale un’impresa ciclopica.
I tempi intanto stringono e dopo quasi due anni dallo scoppio della crisi greca rimettersi al tavolino per sfornare la quarta o quinta versione del fondo di stabilità salva-Stati non è più consentito. Messi alle strette, gli Stati dell’Eurozona capitanati da Germania e Francia avrebbero deciso di sommare Esfs ed Esm, coinvolgendo Fmi e forse Bce. I mille e più miliardi sulla carta ci sono: 440-600 miliardi dell’Efsf.3 sommati ai 500 miliardi dell’Esm. Per arrivare a quota 2.000, le linee di credito non meglio definite di Fmi e la liquidità della Bce.
Per convincere il mercato sulla realizzazione in tempi rapidi (uno o due mesi) di questa squadra di soccorritori, ben coordinati e interconnessi, tra oggi e domani i capi di Stato e di Governo dell’Eurozona e dei 27 dovranno annunciare senza giri di parole una tabella di marcia: il giorno esatto in cui l’Esfs inizierà a erogare le garanzie sui titoli di Stato in asta oppure a emettere i T-bill per fare provvista a breve; la data di lancio del primo veicolo Spiv con intervento sul mercato secondario o primario dei titoli di Stato; il giorno esatto del primo acquisto da parte dell’Esfs di titoli di Stato europei in asta; la data di trasferimento da parte dei Paesi dell’Eurozona della prima quota (cinque per un totale di 80 miliardi) del capitale Esm; il giorno di attivazione del meccanismo attraverso il quale l’Fmi aiuterà Esfs o Esm.
Anticipare l’avvio del fondo permanente imporrà l’introduzione – entro gennaio? febbraio? – nelle emissioni dei titoli di Stato con scadenza superiore a un anno le clausole di azione collettiva (Cac). Questa novità (che sembra destinata a sopravvivere dopo la cancellazione della perdita di capitale in automatico dei privati nel caso di intervento dell’Esm) servirà ad assicurare la ristrutturazione ordinata del debito sovrano con l’accordo del Paese debitore e della maggioranza qualificata dei creditori privati.
Queste clausole andranno scritte velocemente sui nuovi BTp, CcT e CTz: chiarendo come andranno considerati i vecchi titoli senza Cac. Entro domani l’Europa dovrà provare anche a chiarire ai mercati l’arrivo di categorie di subordinazione nel mondo del debito sovrano: Fondo monetario ed Esm diventeranno creditori privilegiati e questo renderà i sottoscrittori dei titoli di Stato subordinati al rimborso integrale dei prestiti erogati da Fmi e Esm.
Se la Bce dovesse entrare in gioco – ha già acquistato titoli di Stato greci senza partecipare all’haircut nella ristrutturazione del debito greco – i mercati dovranno avere bene chiare le regole del gioco. Sempre che qualcuno abbia ancora voglia di lanciare un gettone sul panno verde di Eurolandia.
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