E’ vero che in queste ore il governo è in difficoltà. Glissa, parla di trafficanti di gasolio intercettati. Interpellato dalla stampa il ministro degli Affari Commerciali Hayati Yazıcı è parso imbarazzato e ha sostenuto di non conoscere i dettagli della vicenda. Mentre monta la protesta dell’opposizione soprattutto a opera del Partito della Pace e della Democrazia che ha organizzato una manifestazione nella centralissima piazza Taksim di Istanbul. La deputata del Bdp Sebahat Tuncel punta il dito contro affermazioni provenienti dal partito di governo dove alcuni provocatoriamente affermano “se si vaga in montagna si può anche restare uccisi ”. Riceve però solo un parziale sostegno dal monito del collega repubblicano Gökhan Günaydın che dichiara “I contrabbandieri compiono azioni illegali e vanno fermati, naturalmente non coi bombardamenti”. La volontà di non concedere alibi al radicalismo militare del Pkk sta rinsaldando un fronte securitario amplissimo che va dall’Akp ai nazionalisti passando per il Chp. Così i filo kurdi del Bdp continuano a ritrovarsi isolati nel Parlamento e fuori. Erdoğan lo sa e prosegue gestendo la consolidata linea del doppio binario verso quella minoranza – imbonimento e maniere forti – con la prevalenza ormai di quest’ultime dopo la rottura della tregua elettorale nel luglio scorso. Le uccisioni di militari da parte dei guerriglieri del Pkk sono il formidabile collante che unisce un ampio fronte che, in barba a ogni promessa d’autonomia, mantiene la comunità kurda succube delle decisioni centrali.
Gli eventi luttuosi non sembrano incrinare né l’Esecutivo né la carriera personale del premier. Gli staff di governo e di partito lo supportano e lo lanciano per un nuovo ciclo che lo vedrebbe candidato per la carica presidenziale nel 2014. Il futuro Presidente della Repubblica verrà eletto direttamente dal voto popolare, un fattore che rafforza le chances di Erdoğan. L’ex sindaco di Istanbul sta vivendo una fase di successo in patria e all’estero, momento sottolineato anche dal Times che l’ha incoronato politico dell’anno. Ultimamente fra le fila dell’establishment del Partito della Giustizia e dello Sviluppo s’è creata una tensione per l’esternazione di Hüseyin Tanrıverdi che, perorando l’ipotesi di un nuovo ruolo istituzionale per Erdoğan, aveva fatto il nome dell’attuale presidente Gül per la direzione di partito (e magari di governo). Apriti cielo! Le critiche sono state asperrime. Molti membri dell’Akp, pur non dicendolo, hanno pensato che non giovava all’islamismo moderato evocare un minuetto di poltrone simile a quello perpetuato da anni da Putin e Medvedev. Così Tanrıverdi ha innescato una rapidissima retromarcia dichiarando d’essere stato frainteso. L’idea d’un Gül nuovamente leader non è accantonata però secondo alcuni osservatori potrebbe venire vissuta dalla gente come un ritorno a un passato di minore supremazia. Il suo premierato coincise con l’Erdoğan amministratore locale (seppure d’una città-vetrina qual’è Istanbul). Il boom dell’islamismo politico ha fatto il paio con la voglia d’arrivare in alto messa in atto da mister Recep Tayyip. Così la pensano in tanti nel Paese e i vertici dell’Akp di rimando pensano di usare adeguatamente certe figure.
La corsa per la futura leadership del partito-sistema ha anche altri illustri candidati a cominciare dall’eminenza grigia del programma erdoganiano, il ministro degli Esteri Davutoğlu. Cui s’aggiungono Ali Babacan e Bülent Arınç. Eppure qualche esponente del partito è sembrato infastidito dalla toto-leadership proposta dalla stampa interna, fra questi il ministro dei Trasporti. Mentre il Parlamento potrebbe anche far slittare al 2015 l’elezione del Capo dello Stato appare palese la distanza fra simili questioni e le vite periodicamente falciate di cittadini di serie B come risultano i kurdi delle province orientali.
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