È un vero e proprio record quello registrato nel 2011 dall’export turco, che ha raggiunto quota 134,6 miliardi di dollari. Lo ha annunciato ieri il ministo dell’Economia di Ankara, spiegando che la crescita del dato su base annua rispetto al 2010 è del 18,2%. «È un record nella storia della repubblica», ha detto Caglayan in una conferenza stampa realizzata ad Ankara. Nel solo mese di dicembre, la Turchia ha esportato beni per 12,1 miliardi di dollari, con un aummento del 4,5% rispetto allo stesso mese del 2010. «Si tratta del dato più alto per l’export mensile degli ultimi 37 mesi», ha commentato Caglayan.
Insomma l’economia turca va bene, tira. Un dato che si accompagna ad un aumento esponenziale dell’influenza politico-diplomatica di Ankara. Non è affatto un mistero che i partiti che si accingono a governare in Tunisia ed Egitto si ispirano assai all’esperienza turca di un governo islamico ma pragmatico della cosa pubblica, che non disturbi il business e le alleanze internazionali a tutto campo. E una notizia battuta ieri dall’Ansa ci parla proprio di quanto stia crescendo l’egemonia turca anche nel vicino Medio Oriente. Diventata una dei punti di riferimento principali della cosiddetta opposizione interna siriana – è in Turchia che ha la propria sede, e i propri padrini, il cosiddetto Consiglio Nazionale Siriano – Ankara ora mira anche all’Iraq dal quale gli americani sono da poco partiti. Almeno quelli in divisa:
“Un tempo c’erano i giannizzeri, oggi ci sono imprenditori e insegnanti. Una scuola privata turca nei giorni scorsi ha inaugurato una succursale nel nord dell’Iraq, la parte curda del paese, semi-autonoma da Baghdad. Un episodio all’apparenza minore, ma che in realtà racconta molte cose sulla politica della Turchia islamica di Erdogan e sulle sue ambizioni di potenza regionale «neo-ottomana». La società turca Fezalar, che gestisce una serie di scuole, in soli quattro mesi di lavoro ha costruito a Isik, nella provincia irachena di Sulaimaniya, una scuola elementare privata, con annesso asilo. Gli studenti sono 620, e per il prossimo anno tutti i posti sono già prenotati. La scuola è stata costruita con la collaborazione delle autorità di Sulaimaniya e di filantropi locali. A Isik nel 2008 imprenditori turchi avevano già aperto la prima università del Kurdistan iracheno. «Forniamo un’educazione guardando agli standard educativi raggiunti nei paesi del mondo – ha spiegato il direttore, il turco Bekir Erdag -. La nostra scuola comprende laboratori di computer e scienze, un’aula di pittura, una libreria e un locale multifunzionale per attivit… sociali. La nostra principale lingua educativa è l’inglese… ma offriamo anche corsi in curdo, turco e arabo». La scuola elementare turca di Isik è solo una piccola realtà, frutto dell’intraprendenza degli imprenditori anatolici. Ma dietro c’è anche un raffinato e complesso gioco di politica estera. Il governo islamico moderato di Recep Tayyp Erdogan e del suo ministro degli Esteri Ahmet Davutoglu (vera eminenza grigia dell’esecutivo e del partito Ak) persegue da anni una politica di riavvicinamento e di pacificazione con la minoranza curda. Quest’ultima è perseguitata da decenni dall’elite laica kemalista, che nega la sua identità e cerca di riassorbirla nella nazione turca. Il sanguinoso terrorismo rosso del Pkk, che ha fatto, dal 1984, 40.000 morti, nasce anche dal rifiuto dei burocrati e militari nazionalisti di Ankara di concedere diritti e autonomia alla minoranza. Erdogan in questi anni ha cercato di ricucire questa ferita, mostrando aperture ai curdi e giocando anche sulla comune religione islamica sunnita. È stato grazie al premier islamico se i curdi sono riusciti ad arrivare in parlamento. Quello di Erdogan e di Davutoglu è stato un gioco difficile, sul filo del rasoio, sempre attenti a non irritare troppo le elite laiche e il nazionalismo del loro popolo. La politica interna filo-curda si inserisce perfettamente nella politica estera del governo dell’Akp, improntata al principio «nessun problema con i vicini». Alla frontiera orientale della Turchia c’è il Kurdistan iracheno: formalmente una regione dell’Iraq, di fatto un quasi-stato autonomo. Svelenire i rapporti fra turchi e minoranza curda serve ad Erdogan a migliorare i rapporti con il Kurdistan iracheno e ad avere maggiore influenza per evitare la formazione di uno stato curdo indipendente. Uno scenario che terrorizza i turchi, perchè potrebbe portare alla secessione dei propri territori curdi. In questo gioco si inserisce anche la lotta al Pkk, l’organizzazione terroristica indipendentista che ha la sue basi nel nord dell’Iraq. La mano tesa ai curdi per Erdogan si accompagna alla tolleranza zero per il terrorismo, principale ostacolo alla normalizzazione dei rapporti fra etnie. E le buone relazioni con Sulaimaniya sono fondamentali per dare all’esercito turco il diritto di sconfinare in Iraq per dare la caccia ai terroristi. La scuola elementare di Isik si inserisce in questo Grande gioco. Per i turchi é una testa di ponte della loro cultura in Kurdistan, uno strumento per far crescere una classe dirigente amica di Ankara e per stringere i rapporti con i vicini. Per i curdi, é l’occasione per migliorare le relazioni con la Turchia e favorire quindi i loro connazionali che vivono nel vicino anatolico.”
Una volta ripulito dal gergo giornalistico e da alcune ‘ingenuità’ sul filantropismo di imprenditori e politici turchi, questo pezzo dell’Ansa ci racconta che la nuova classe dirigente turca cerca di combattere i kurdi di casa propria facendosi amici quelli del vicino Iraq, da sempre in competizione con il Pkk e assai più disponibili al compromesso con gli stati che si dividono il Kurdistan, in cambio di prebende e ‘sviluppo’, ovviamente. Il kurdistan iraqeno è terreno di conquista facile, soprattutto dopo lo spezzettamento del paese seguito alle due guerre contro Saddam Hussein e all’occupazione militare dell’Iraq. E in questo terreno Ankara è entrata in competizione con l’ex alleata e ora nemica Israele, che pure nelle regioni kurde del nord dell’Iraq ha investito parecchio.
Ankara nel frattempo stringe legami anche con i palestinesi. Proprio ieri un ringraziamento per l’impegno dimostrato a favore della causa palestinese e la richiesta di un maggiore supporto politico e umanitario alla Striscia di Gaza lo ha rivolto al governo turco il leader di Hamas – e premier di Gaza – Ismail Haniyeh, visitando la Mavi Marmara, la nave della Freedom Flottiglia per Gaza, che nel 2010 fu assaltata dai militari israeliani, che ammazzarono nove attivisti turchi a bordo. Sulla nave ormeggiata nel porto di Istanbul, Haniyeh è tornato a denunciare l’embargo imposto a Gaza da Israele e ha definito «martiri» i nove attivisti uccisi mentre cercavano di rompere l’embargo, tentando di consegnare aiuti umanitari alla popolazione della Striscia. Quella in Turchia è la prima tappa del primo viaggio all’estero di Haniyeh dal 2007. Dal paese alleato, dove ieri ha incontrato il premier Recep Tayyip Erdogan, il premier di Hamas ha anche chiesto all’Autorità nazionale palestinese di non partecipare all’incontro previsto per domani in Giordania con esponenti del governo di Tel Aviv.
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