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Cosa sta succedendo nella “Libia liberata”?

A tutt’oggi non esistono smentite ufficiali da parte dell’amministrazione americana riguardo ad alcune notizie secondo cui gli Stati Uniti avrebbero inviato 12.000 soldati a Malta come primo passo per poi trasferirli in Libia, nel tentativo di riprendere il controllo della situazione deteriorata nel paese (una smentita a tale proposito è in effetti arrivata il 19 gennaio da parte dell’Ambasciata USA a Malta, mentre l’articolo di al-Quds al-Arabi risale al 17 gennaio; è invece confermato da diverse fonti il deterioramento della sicurezza in Libia di cui si parla nel prosieguo dell’articolo (N.d.T.) ).
Dal canto loro, i canali satellitari arabi hanno sminuito la gravità di questa situazione, e ne hanno parlato ben poco dopo che la missione NATO era riuscita a rovesciare il precedente regime e a sbarazzarsi del suo leader, distruggendo le sue ultime roccaforti, le città di Sirte e Bani Walid, a scapito dei loro abitanti.
Le informazioni provenienti dalla Libia – in base a numerosi reportage apparsi sulla stampa occidentale – indicano che la resistenza al Consiglio Nazionale Transitorio (CNT) starebbe ottenendo un sostegno crescente fra i libici e che l’autorità del leader del CNT, Mustafa Abdul Jalil, si starebbe logorando sempre più rapidamente di fronte all’ascesa delle milizie armate e dei loro comandanti sul campo.
Le milizie armate costituiscono la preoccupazione maggiore degli abitanti della capitale Tripoli in particolare, e dell’intero territorio libico in generale. La gente teme per la propria vita e per quella dei propri figli in conseguenza di questo fenomeno. La maggior parte delle città libiche si sono trasformate in una giungla di armi, mentre le milizie in lotta fra loro hanno cominciato a spartirsi i quartieri. Tali milizie sono costituite da quattro gruppi principali: le brigate di Zintan, il Consiglio militare di Tripoli (guidato da Abdelhakim Belhadj), la milizia di Misurata, e l’Esercito nazionale libico guidato da Khalifa Haftar.
Osama al-Juwaily, ministro della difesa nel governo di Abdurrahim el-Keib, più di una volta ha fissato scadenze per la confisca delle armi nelle città, per lo scioglimento delle milizie, e per l’integrazione dei loro membri nelle file dell’esercito, ma queste promesse non sono state mantenute né le scadenze sono state rispettate, mentre il caos della sicurezza è rimasto invariato.
Gli Stati occidentali non mostrano la dovuta preoccupazione per questa situazione, poiché fino a quando il petrolio libico continua a fluire verso i loro porti essi si accontentano di essere riusciti a rovesciare il regime. Il caos libico non li tocca in alcun modo, a meno che non emerga una resistenza armata in grado di minacciare la produzione del petrolio e di colpire le condotte dirette verso i porti da cui viene esportato il greggio.
Le statistiche occidentali dicono che la produzione del petrolio libico è tornata ad avvicinarsi ai livelli precedenti all’intervento militare NATO, pari a un milione e mezzo di barili al giorno. Questa è una buona notizia per i paesi consumatori di questo tipo di petrolio, come Francia, Italia, Germania, Olanda ed altri: il petrolio libico è “sweet and light”, adatto per le raffinerie europee, progettate per trattare questo petrolio particolarmente leggero e indicato per produrre il carburante per gli aerei.
Il popolo libico si è ribellato contro il precedente regime ed ha in gran parte sostenuto l’intervento della NATO per rovesciarlo, sperando che avrebbe poi goduto di sicurezza e stabilità, e usufruito degli introiti petroliferi che raggiungono i 60 miliardi di dollari l’anno. Ma il deterioramento della sicurezza e l’inasprimento del conflitto fra le milizie potrebbero portarlo alla frustrazione ed alla disperazione.
Le notizie occidentali indicano che la nuova Libia si sta piegando a una nuova forma di colonialismo: le forze NATO sono ancora presenti sul terreno, anche se in forma indiretta, e alcune notizie indicano che la maggior parte dei pozzi petroliferi e dei porti libici per l’esportazione del greggio sono soggetti alla protezione ed al controllo di queste forze.
Siamo in attesa dell’arrivo di osservatori arabi e stranieri in Libia che ci offrano un’immagine veritiera di ciò che sta accadendo sul terreno all’ombra di quello che attualmente è un blackout mediatico. Essi dovranno dare una risposta a numerosi interrogativi: cosa ha originato gli scontri nella città di Gharyan la settimana scorsa? Cosa ha originato i precedenti scontri a Tripoli? Cosa sta succedendo nelle città dell’oriente libico e di Gebel Akhdar? Qual è la situazione di Misurata? E, cosa ancora più importante, che ne è delle migliaia di prigionieri detenuti nelle carceri delle milizie – ed in particolare dei neri – accusati di aver sostenuto il passato regime e di aver combattuto sotto la bandiera verde di Gheddafi?
Il rovesciamento di un regime dittatoriale è certamente un fatto positivo, che però può tradursi in una catastrofe se l’alternativa diventa il caos e l’insicurezza, la lotta fra le milizie, e un’occupazione occidentale mascherata o palese.

Da Medarabnews.com (Traduzione di Roberto Iannuzzi)

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