Fermare l’attacco israeliano «per ora» L’andirivieni di americani a Tel AvivPer Washington colpire adesso sarebbe «destabilizzante». Saranno decisivi i colloqui della prossima settimana fra Netanyahu e Obama
GERUSALEMME
Il «ponte aereo» in corso tra Washington e Tel Aviv avrebbe un solo scopo: impedire un attacco, già nei prossimi mesi, dell’aviazione israeliana alle centrali nucleari iraniane. Lo scriveva ieri Amos Harel sul quotidiano Haaretz, elencando i rappresentanti dell’amministrazione Obama giunti negli ultimi mesi o che verranno in Israele per parlare della guerra all’Iran.
Domenica il consigliere per la sicurezza nazionale della Casa bianca, Tom Donilon, ha incontrato il premier Netanyahu e ha avvertito, in un’intervista alla Cnn, che un attacco israeliano ora avrebbe un effetto «destabilizzante». Tra qualche giorno è previsto l’arrivo del direttore della National Intelligence, James Clapper. Alla fine del 2011 erano atterrati a Tel Aviv il direttore della Cia, David Petraeus, e il segretario alla difesa Leon Panetta. Il mese scorso è stato il turno del comandante degli stati maggiori Usa, Martin Dempsey, di incontrare i vertici israeliani. Tra qualche giorno sarà Netanyahu ad andare negli States, per il discorso annuale di fronte all’assemblea della lobby filo-israeliana Aipac e, soprattutto, per incontrare Barack Obama. Lo precederà a Washington il ministro della difesa Barak che, secondo Amos Harel, gli americani considerano un accanito sostenitore di un attacco immediato alle centrali iraniane, mentre Netanyahu non avrebbe ancora preso una decisione definitiva.
Washington crede che le sanzioni durissime adottate contro l’Iran – che da parte sua nega di volersi dotare di armi nucleari e ieri ha accolto i cinque ispettori inviati dall’Aiea, l’agenzia atomica internazionale – spingeranno, in tempi stretti, Tehran a fermare l’arricchimento in casa dell’uranio. La Casa bianca però non esclude la guerra all’Iran, anzi. Donilon ha detto che un attacco avrebbe «ora» un effetto destabilizzante, quindi potrebbe ricevere luce verde più avanti. Senza dimenticare che, dovesse uno dei repubblicani, ora impegnati nelle primarie del partito, riuscire a conquistare la Casa bianca in novembre, la guerra all’Iran sarebbe sicura. Dal front runner Romney al rivale Ginrich, i repubblicani gareggiano nel condannare le «esitazioni» di Obama.
E’ opinione diffusa tra gli analisti israeliani che i colloqui tra Netanyahu e Obama saranno decisivi. A Tel Aviv pensano che nessuna sanzione, per quanto dura, sarà sufficiente per modificare i programmi iraniani.
La guerra perciò è sempre più vicina. La vera posta in gioco è la «parità strategica», ossia un Vicino Oriente nel quale Israele non sarebbe più l’unico Stato della regione a possedere (in segreto, con il silenzio-assenso dell’Occidente) l’arma atomica e a dettare le regole del gioco ma dovrà «spartire» questo potere con l’Iran. Ammesso che Tehran intenda davvero dotarsi di ordigni nucleari come sostengono Washigton e Tel Aviv. E’ questo che Barak e Netanyahu intendono impedire, e non, come affermano, proteggere Israele da eventuale blitz iraniano con armi atomiche. L’Iran non può attaccare Israele con armi di distruzione di massa perchè dopo pochi minuti verrebbe incenerito dalle testate atomiche montate sui missili israeliani a lunga gittata «Jericho» e su quelli a bordo dei sommergibili dello Stato ebraico che si troverebbero nelle acque dell’oceano Indiano. I satelliti israeliani (e americani) tengono sotto osservazione l’intero territorio iraniano 24 ore su 24, rendendo impossibile un «first strike», un attacco nucleare a sorpresa.
Se da un lato i venti di guerra spirano sempre più forti, dall’altro qualcuno si chiede se Israele è davvero in grado di colpire le centrali iraniane. Sarebbe un’operazione «ampia e molto complessa», ha spiegato ieri il New York Times. Un raid del genere prevede l’impiego di 100 aerei, chiamati a percorrere circa 1.600 chilometri e ad effettuare rifornimenti in volo, per attaccare simultaneamente diversi siti: il reattore ad acqua pesante di Arak e gli impianti di arricchimento dell’uranio di Isfahan, Natanz e Fordo. Per colpire gli ultimi due, uno sotterraneo, l’altro scavato in una montagna, dovranno sganciare bombe «bunker buster» Gbu-28, che potrebbero non bastare a distruggere gli impianti. Tehran da parte sua reagirà con forza – con missili balistici contro Israele, lanciando attacchi contro obiettivi Usa nel Golfo e provando a chiudere lo Stretto di Hormuz al passaggio delle petroliere -, e ieri ha avviato imponenti manovre di difesa anti-aerea che seguono quelle navali delle scorse settimane.
da “il manifesto”
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