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Garzòn, i Borboni e gli scheletri nell’armadio della Spagna ‘democratica’

A ben vedere, non se l’è cavata poi così male, alla fine, l’ex giudice spagnolo Baltazar Garzòn. Oggi infatti il Tribunale Supremo di Madrid ha assolto l’ex magistrato dal reato di abuso d’ufficio e di negligenza professionale per aver indagato – in realtà per aver fatto finta di indagare – sui crimini del franchismo durante e dopo la guerra civile. A favore dell’assoluzione hanno votato ben 6 dei 7 magistrati che compongono la suprema corte.

L’accusa contro Garzòn era partita sulla base di una querela di parte del ‘sindacato’ Manos Limpias (‘Mani pulite’) e dall’Associazione di estrema destra ‘Libertad e Identidad’, che avevano chiesto per Garzon 20 anni di interdizione dai pubblici uffici, per aver a loro dire vulneratola Legge di Amnistia del 1978 che di fatto impedisce di punire i responsabili dei crimini compiuti dai gerarchi e dai funzionari statali durante la dittatura franchista. Una sorta di ‘legge del punto finale’ (simili a quelle che saranno applicate dai regimi ‘democratici’ in America Latina negli ultimi decenni dello scorso secolo) che concesse l’impunità ai fascisti spagnoli in cambio del passaggio dei poteri dalla vecchia gerarchia fascista all’attuale monarchia parlamentare. Un patto indecente che fu all’epoca sostenuto da quasi tutti partiti antifascisti spagnoli – Partito Comunista compreso – e che di fatto ha permesso il riciclaggio di buona parte della classe dirigente franchista all’interno dello Stato nelle nuove forme pseudo-democratiche assunte dalla fine degli anni ’70. Fino a pochi anni fa direttori di giornale, magistrati, funzionari della Polizia, dirigenti statali, magistrati e quant’altro protagonisti per decenni di uno dei regimi più sanguinari della storia contemporanea hanno continuato a guidare le istituzioni, la stampa e la vita pubblica in una Spagna che non ha mai fatto i conti con il proprio passato e che non ha mai rotto con la dittatura e il fascismo. Una Spagna profonda e dominata da quelli che alcuni analisti chiamano i “poderes facticos” – cioè i poteri forti paralleli rispetto alle istituzioni formalmente democratiche – che negli ultimi mesi si è scatenata contro quello che di fatto è stato uno degli esponenti di punta della guerra che Madrid ha condotto per decenni contro i nemici dello Stato. Garzòn per anni è stato la punta di diamante della repressione selvaggia e brutale delle istituzioni spagnole contro il movimento basco di liberazione nazionale e le sue articolazioni sociali, politiche, sindacali. Fido esecutore degli input dei poteri forti trasversali – ed eredità di una struttura ancora franchista della attuale monarchia parlamentare – Garzòn ha chiuso giornali, radio e riviste, fatto arrestare migliaia di militanti e dirigenti politici e sociali, negato indagini sugli innumerevoli casi di tortura ai danni dei baschi arrestati. Una verve repressiva mostrata anche nei confronti degli altri movimenti indipendentisti catalano e galiziano, dei gruppi spagnoli di estrema sinistra, degli immigrati protagonisti di alcune rivolte contro una intollerabile situazione di apartheid.

Eppure Garzon è incredibilmente diventato, in Spagna ma anche all’estero, il simbolo di una lotta contro il malaffare e le dittature di estrema destra – fu a causa sua che venne arrestato il dittatore cileno Augusto Pinochet – difeso oggi a spada tratta da organizzazioni progressiste e di sinistra, soprattutto in America Latina. Grazie ad un abile lavoro di marketing Garzòn è riuscito a far dimenticare la propria storia di repressore e persecutore della sinistra e dei movimenti popolari e ad accreditarsi invece come campione di libertà e democrazia. Negli ultimi tempi però, è caduto in disgrazia presso quegli stessi ambienti politici e giudiziari che per tanto tempo ha fedelmente servito.

Nell’ultimo processo, quello che si è chiuso oggi, Garzòn se l’è cavata, a dimostrazione che contro di lui non è in atto una persecuzione ma probabilmente uno stop da parte di chi non gradisce il suo eccessivo protagonismo. Infatti l’ex giudice del tribunale speciale antiterrorismo Audiencia Nacional è stato condannato lo scorso 9 febbraio a 11 anni di inabilitazione dalla magistratura dalla Corte Suprema che ha così riconosciuto valida l’accusa per aver ordinato intercettazioni di conversazioni fra avvocati e imputati nello scandalo Guertel, una storia di corruzione in seno al Partito popolare ora al governo.

Successivamente, il Tribunale Supremo ha archiviato per decorrenza dei termini il terzo processo, che vedeva Garzòn accusato questa volta di corruzione impropria nella causa per i presunti patrocini illegali da parte di enti bancari e aziende spagnoli di un ciclo di conferenze tenuto dal magistrato all’Università di New York.

A fianco di Garzon, considerato ingiustamente e superficialmente ‘paladino dei diritti umani’, si è schierata di fatto tutta la sinistra spagnola, che nei mesi scorsi ha addirittura organizzato manifestazioni di solidarietà nei confronti dell’ormai ex magistrato.

Una sinistra che pure è conscia di quanto la Spagnasia retta da una democrazia incompiuta e limitata, visto che alcune settimane fa Izquierda Unida ed altre formazioni progressiste hanno chiesto che venga fatta piena luce sul ruolo di re Juan Carlos di Borbone durante il tentato golpe del colonnello Antonio Tejero nel febbraio del 1981. l’iniziativa è nata dopo la declassificazione a Berlino di un rapporto dell’allora ambasciatore tedesco, Lothar Lahn, secondo il quale il monarca avrebbe mostrato «simpatia» e «comprensione» per i militari nostalgici di Franco. In un dispaccio al governo tedesco pubblicato da Der Spiegel, Lahn riferì di un colloquio avuto con Juan Carlos tre giorni dopo che gli uomini di Tejero avevano occupato il parlamento di Madrid mitragliette alla mano. Il giovane re, nominato dal dittatore Francisco Franco suo successore prima di morire nel 1975 (dopo l’assassinio da parte dell’organizzazione basca Eta dell’ammiraglio Carrero Blanco, successore designato del dittatore), «non mostrò rigetto o sdegno» nei confronti dei golpisti «anzi – scrisse Lahn – mostrò comprensione, se non simpatia» usando parole «quasi per giustificarli». La ricostruzione ufficiale di quanto avvenuto la notte del golpe “fallito”, che ha contribuito all’attuale forte popolarità di Juan Carlos, ha contribuito molto a rendere il sovrano popolare anche tra l’opinione pubblica progressista. Alcuni storici e la sinistra indipendentista basca nel suo complesso, però, hanno da sempre sollevato dubbi sull’operato del Borbone. In un discorso pronunciato mentre il parlamento era occupato dai golpisti, Juan Carlos aveva chiesto ai militari ammutinati di deporre le armi ottenendo la resa di Tejero dopo poche ore. Nel suo dispaccio Lahn riferisce che il re gli disse che «i capi dell’ insurrezione volevano solo quello che desideriamo tutti: concretamente il ripristino di disciplina, ordine, sicurezza e tranquillità».
Izquierda Unida (Iu) ha depositato un disegno di legge al Congresso nel quale chiede la declassificazione di tutti i documenti riguardanti il tentato golpe. Iu e la sinistra verde e repubblicana catalana di Icv e Erc hanno chiesto che sia fatta piena luce su quanto accadde il 23 febbraio 1981, chiedendo che vengano rese pubbliche le registrazioni delle telefonate fatte dal parlamento dai golpisti nella notte del 23 febbraio, di cui non si sa con esattezza dove si trovino, e di quelle fatte a Palazzo Reale della Zarzuela. 

Fatti vecchi e superati, potrebbe pensare qualcuno. Ma molto significativi, visto che il dittatore morì di vecchiaia nel suo letto e che i suoi uomini guidaronola Spagnaverso una transizione democratica mai avvenuta del tutto. E visto anche che i nostalgici di Franco sollecitarono e ottennero – con l’alzamiento di Tejero dell’81 – un ulteriore virata a destra di un quadro istituzionale e legislativo spagnolo reazionario aspramente contestato dai movimenti popolari nei Paesi Baschi e non solo.

E che non siano fatti vecchi lo dimostra proprio ciò che sta accadendo a Garzòn, vittima di un sistema che ha incarnato e rappresentato per decenni senza battere ciglio. E lo dimostrano anche altre notizie relative alla ‘famiglia reale’, impelagata in una serie di scandali e innervosita dalle “attenzioni” di alcuni magistrati e giornalisti. Alcuni giorni fa la sorella di Juan Carlos di Borbone, l’infanta Pilar, è intervenuta pubblicamente in difesa di Inaki Urdangarin, il genero del re indagato per corruzione e storno di fondi pubblici, invitando i giornalisti a stare «zitti» fino a quando la giustizia si sarà pronunciata. «È una polemica che avete creato voi» ha replicato l’anziana signora rivolta ai cronisti. Urdangarin, ex-campione olimpico di pallamano diventato Duca di Palma dopo il matrimonio con la figlia minore di Juan Carlos, l’infanta Cristina, è accusato di avere stornato ingenti quantità di fondi pubblici versati alla fondazione Noos da lui presieduta nel 2004-2005 dai governi regionali di Valencia e Baleari in particolare verso una società immobiliare di cui è proprietario con la moglie. Negli ultimi giorni Undargarin è stato interrogato dai magistrati per un totale di ben 21 ore.

Quale sia il rapporto del paese con il suo passato lo dimostra l’esistenza e l’agibilità che hanno gruppi, partiti e lobby economiche che si richiamano direttamente al regime franchista. Ad esempio la Fondazione FranciscoFranco, vicina alla famiglia del dittatore morto nel 1975, haannunciato che intende querelare l’artista catalano Eugenio Merino, creatore dell’opera ‘Franco Congelato’ esposta nelle scorse settimane alla mostra di arte contemporanea Arco 2012 di Madrid. Nell’opera di Merino una statua di Franco in alta uniforme e occhiali scuri è rinchiusa in un frigorifero con i colori della Coca Cola, raffigurando così la figura del dittatore come una sorta di ‘scheletro nell’armadio vivente” della cosiddetta democrazia spagnola. Intollerabile per i suoi apologeti che ogni anno si riuniscono a celebrare le sue gesta nel faraonico mausoleo nella Valle de Los Caidos che l’attuale governo ha deciso di lasciare al suo posto. 

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