Hamas: addio alla SiriaMichele Giorgio
INVIATO A GAZA
L’uscita di Hamas dalla Siria è completa e definitiva. L’ufficio dell’organizzazione a Damasco non è chiuso ma le sue stanze deserte dicono più di ogni parola. Il movimento islamico palestinese ha tagliato i ponti con il regime di Bashar Assad che lo aveva protetto e sostenuto per una dozzina di anni. Molti dei dirigenti in esilio, a cominciare dal leader Khaled Meshaal, si sono spostati a Doha, nel Qatar divenuto il nuovo sponsor politico di Hamas e destinato presto a prendere il posto dell’Iran tra i principali finanziatori del movimento. Altri dirigenti, come il numero due dell’organizzazione, Musa Abu Marzuk, si sono trasferiti al Cairo. Proprio dall’Egitto il gruppo dirigente di Hamas ha deciso venerdì scorso di proclamare per la prima volta in pubblico il distacco da Assad e di schierarsi apertamente a favore della rivolta in Siria.
Una mossa avvenuta mentre era in corso a Tunisi la riunione dei cosiddetti «Amici della Siria» e che indica anche un raffreddamento dei rapporti con Tehran, alleata di Damasco – che pure qualche settimana fa aveva ricevuto come un capo di stato il premier di Hamas, Ismail Haniyeh – e anche con il movimento sciita libanese Hezbollah alleato di Tehran e Damasco. Proprio Haniyeh venerdì ha inneggiato alla rivolta contro Assad. «Saluto tutti i popoli della primavera araba o piuttosto dell’inverno islamico. Saluto l’eroico popolo siriano in lotta per la libertà, la democrazia e le riforme», aveva detto il premier di Hamas davanti ad una folla di migliaia di persone riunite davanti alla moschea Azhar del Cairo, la più importante scuola sunnita di teologia. «No all’Iran, no ad Hezbollah, la Siria è islamica», ha risposto la folla in un evidente riferimento alla composizione alawita, quindi sciita, del regime di Damasco.
L’allontanamento di Hamas dal regime siriano non è solo frutto di un riposizionamento politico, più pragmatico e moderato, sotto l’impulso del suo leader uscente Khaled Meshaal. E non è certo volto a sostenere «democrazia e riforme» in Siria, visto che i leader di Hamas rimasti per anni a Damasco, ben protetti prima da Assad padre e poi da Assad figlio, non hanno mai aperto bocca sulle violazioni dei diritti umani e sulle libertà negate ai siriani. Hamas, non pochi lo dimenticano, è un movimento sunnita oltre che islamico e ha dovuto fare una scelta di campo di fronte al conflitto siriano che assume sempre di più le caratteristiche di uno scontro settario tra la minoranza alawita al potere e la maggioranza sunnita del paese.
Nelle decisioni di Hamas ha avuto un ruolo anche il Qatar, piccolo ma intraprendente regno del Golfo (stretto alleato degli Usa) che dopo aver promosso l’intervento della Nato in Libia, ha visto rafforzato il suo status nella regione. Doha finanzia i Fratelli musulmani e movimenti affini in Siria, Egitto, Libia e Tunisia. E Hamas – partorito nel 1987 dai Fratelli musulmani di Gaza – ha compreso che la sua «svolta moderata» sarà accompagnata da un generoso contributo economico da parte dell’emiro del Qatar.
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