Negli USA gli uffici stampa del governo e del Pentagono, ampiamente e acriticamente ripresi dalla maggior parte dei media occidentali (italiani compresi), sono impegnati da giorni in una costante opera di gestione di quanto accaduto in due villaggi nella regione afghana di Kandahar, dove domenica scorsa 16 civili sono stati uccisi nelle loro case. In particolare il tentativo è quello di continuare ad addossare tutta la responsabilità dell’eccidio sulle spalle di un unico capro espiatorio, sollevando così dalle loro pesantissime responsabilità i suoi commilitoni autori della strage.
Durante la giornata di ieri gli uffici stampa militari hanno centellinato alcune informazioni in linea con la versione del gesto isolato dovuto ad un raptus omicida. Intanto è stato fornito il nome del ‘mostro’: si chiama Robert Bales ed è un sergente che da alcuni giorni è stato rinchiuso in isolamento nella prigione militare di Fort Leavenworth, in Kansas. Ora il tiratore scelto, che prima di essere inviato in Afghanistan aveva già compiuto tre missioni in Iraq dove era rimasto ferito, sarà formalmente incriminato dalla magistratura militare con l’accusa di aver ucciso 16 civili afghani, tra i quali nove bambini, e di aver tentato di dare fuoco ai loro corpi prima di rientrare nella sua base e consegnarsi ai suoi superiori. Teoricamente Bales rischia la pena capitale. Nei giorni scorsi il suo avvocato, John Browne, aveva detto che il suo assistito aveva problemi di grave stress post traumatico dopo le sue missioni in Iraq e nonostante questo era stato costretto a partire di nuovo per l’Afghanistan. Ed ora i suoi commilitoni hanno ricordi tutti positivi del 38enne Bales: il capitano Chris Alexander, che aveva guidato il suo battaglione in Iraq, afferma che il sergente ha «salvato molte vite, è stato uno dei migliori soldati con cui ho lavorato, credo che avesse una grave forma di stress post traumatico, non era uno psicopatico». Prima di rendere pubblica la sua identità, la famiglia di Bales – la moglie e due figli di 4 e 3 anni che abitavano a Lake Tapps, nello stato di Washington – è stata trasferita nella base di Lewis-McChorod per essere protetta. La moglie Karilyn lo scorso anno scriveva sul suo blog che il marito era rimasto molto deluso del fatto che, nonostante le medaglie e gli attestati di merito ricevuti, non fosse stato promosso sergente di prima classe «dopo tutti i sacrifici fatti per questo paese». Ma esprimeva anche la speranza che questo significasse il trasferimento ad un incarico non operativo, magari in una base militare in Germania, in Italia o alle Hawaii. Insomma alla versione ufficiale del responsabile unico della strage si contrappone quella dell’eroe altruista ‘killer per caso’. Ce n’è di che alimentare la stampa scandalistica statunitense per mesi.
Che però poco spazio darà – o non ne darà affatto – a quanto ha appurato una commissione d’inchiesta inviata nei due villaggi nella provincia di Kandahar dal Parlamento di Kabul. Un parlamento che sostiene un governo fantoccio espressione delle truppe di occupazione della Nato, e che nonostante questo non ha potuto evitare di raccogliere le testimonianze degli abitanti dei villaggi sopravvissuti all’eccidio e che provano che ad andare a caccia di inermi cittadini afghani sono stati 15-20 militari a stelle e strisce. Altro che caso isolato. E di ieri un’altra notizia agghiacciante: due delle donne che poi sono state massacrate sarebbero state prima stuprate dai marines. Il risultato dell’inchiesta, svolta da una delegazione di deputati e da funzionari governativi è stato illustrato ieri in una sessione generale del Parlamento, avendo vasta eco sui media del paese. Dopo aver confermato il rogo di vari cadaveri, il deputato Hamidzai Lali ha riferito che secondo testimonianze prima di usare le armi alcuni militari americani hanno catturato due donne, le hanno violentato e poi uccise a colpi d’arma da fuoco. Un altro membro della delegazione, Shakiba Hashami, ha sostenuto che fra 15 e 20 soldati statunitensi hanno partecipato alle uccisioni e che sul cielo del villaggio di Zangabad hanno a lungo volteggiato due elicotteri militari che davano copertura alla rappresaglia. La stessa Hashami ha detto, citando le testimonianze dei residenti, che prima della tragedia di domenica c’era stato un attentato contro le truppe straniere che avevano giurato di volersi vendicare. Insomma non un gesto isolato dovuto a raptus ma una terribile rappresaglia nazista contro gli abitanti di un villaggio nei pressi del quale era partito un attacco contro gli invasori americani.
Di fronte alla sempre più scomoda verità emersa in Afghanistan, i responsabili militari statunitensi hanno diffuso con grande enfasi le immagini riprese da una telecamera fissa posta all’esterno della base di appartenenza del sergente Bales che lo ritraggono mentre rientra da solo e con l’arma di ordinanza avvolta in uno scialle afghano.
Una verità simulata buona per i media statunitensi, ma non certo per una popolazione afghana sempre più insofferente nei confronti di un’occupazione che non ha indebolito i talebani ma anzi li ha resi più forti e autorevoli che mai. Il debolissimo e screditato Parlamento afghano ha intanto stamattina chiesto al presidente Hamid Karzai di revocare l’accordo che garantisce l’immunità nel paese ai militari stranieri.
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