Il 27 marzo, l’inviato Onu per il Medio Oriente Robert Serry riferiva al Consiglio di Sicurezza che secondo “fonti credibili” (mai precisate) novemila persone sarebbero state uccise nelle violenze dall’inizio della crisi. Non indicava i responsabili. (Settimane prima il segretario generale dell’Onu Ban Ki Moon parlava di ottomila vittime. Intanto i Comitati di coordinamento locale, organo dell’opposizione, parlano di undicimila morti e ovviamente li imputano tutti al regime).
Reuters: metti in bocca all’Onu un frase e farà il giro del mondo
Ma ecco come pochi giorni dopo le parole di Serry vengono travisate dalla Reuters, con ripercussioni a catena su moltissimi media: “Le Nazioni Unite dicono che le forze di Assad hanno ucciso oltre novemila persone dall’inizio del conflitto” (http://www.reuters.com/article/2012/04/05/syria-idUSL6E8F5AAH20120405). Dunque , tutti i morti sono imputati all’opera del regime. Non è quel che affermano gli onusiani, pur di parte.
La stessa agenzia stampa dedica poi una frasetta sibillina(e così fanno anche tutti gli altri media) alla conta dei morti resa nota dal governo siriano: “La Siriaha detto alla comunità internazionale che sono morte in un anno 6.044 persone e fra queste 2.566 fra soldati e poliziotti”. Nulla è detto del contesto di questa comunicazione governativa, e non si specifica a chi il governo attribuisca questi morti. Riferita così, si potrebbe anche intendere che il governo ammette: ok, di questi seimila moti noi abbiamo ucciso i civili, ma gli armati ci hanno ucciso i soldati e i poliziotti).
La conta dei morti diffusa dal governo siriano (ovviamente ignorata)
La conta dei morti divulgata dal governo siriano è riferita con precisione solo dalla venezuelana Telesur (poi ripresa da molti media ispanofoni antagonisti alle potenze occidentali) e dalla russa RT. Ecco qua. Il rappresentante permanente del governo siriano presso l’Onu, Bashar Jaafari, il 30 marzo ha mandato al presidente di turno del Consiglio di Sicurezza Mark Lyall Grant con copia a Ban Ki Moon una lettera (qui il link per il testo: http://un-report.blogspot.it/2012/03/syrian-government-armed-groups-killed.htm) nella quale spiega 6.143 persone (non 6.044 come scritto dalla Reuters) sono state uccise nel paese fino al 15 marzo 2012, “a causa degli atti commessi da gruppi terroristi armati”. Ecco il dettaglio: “Civili morti: 3.211. Poliziotti morti: 478. Soldati e forze di sicurezza: 2.088 (fino al 21 marzo). Donne: 204. Bambini uccisi: 156. Persone rapite: 1.560, di cui 931 scomparse. Persone direttamente assassinate: 106”. Dunque, il governo sembra distinguere fra civili uccisi perché presi in mezzo negli scontri e civili direttamente assassinati. Cosa che la conta dell’opposizione non fa.
Quotidianamente l’agenzia governativa Sana fornisce il bollettino delle violenze: ad esempio il 4 aprile fra notizie di ordigni disinnescati o sequestrati e riparazioni di oleodotti sabotati riferisce della morte di due minori, Sabbar e Khaled al Sabbar morti – feriti il padre e un fratello – nello scoppio di una bomba piazzata dietro una scuola e di due massacri nella località di Dseir Bablba a Homs, nei quali sarebbero rimasti uccisi diversi civili fra cui quattro donne rapiti in precedenza.
Ora, entrambe le conte dei morti non sono corredate (né lo potrebbero) di indicazioni che le corroborino. Ma è significativo che una conta, quella dell’opposizione, sia presa come verità, l’altra sia ignorata o travisata. Per i “due pesi due misure” applicati dai media, i dati non verificabili forniti dall’opposizione sono sempre considerati veritieri; i dati non verificabili forniti dal governo sono sempre considerati falsi.
Il sito di Telesur riferisce di un’altra lettera mandata dal governo siriano, stavolta alla Commissaria Onu per i diritti umani Navi Pillay che si comporterebbe ormai come pubblico ministero contro i paesi nel mirino degli occidentali, comela Siria. Il Ministero degli Esteri sostiene che il governo si è impegnato a indagare su tutte le accuse di violazione dei diritti umani, ma chela Commissaria non ha mai fatto parte al governo di nessuna delle denunce che avrebbe ricevuto e non appare certo impegnata per una soluzione pacifica.
Anche il Presidente dell’Assemblea dell’Onu, qatariota, è stato accusato dalla Siria di violazione dei suoi doveri d’ufficio, a servizio degli interessi delle petromonarchie.
Lo Spiegel intervista uno sgozzatore
Eppure, che le forze dell’opposizione armata uccidano parecchio è un fatto ormai noto che traspare talvolta dalla stessa stampa mainstream. La corrispondente da Beirut (Libano) dello Spiegel Ulrike Putz (http://www.spiegel.de/politik/ausland/0,1518,823382,00.html) ha incontrato in ospedale nella città libanese di Tripoli un certo Hussein, un 24enne che faceva parte dei “plotoni di esecuzione” di Homs e aveva ucciso sgozzandoli parecchi soldati caduti nelle mani del cosiddetto “esercito siriano libero”.
Hussein, ferito alle spalle nella fase finale dell’offensiva governativa su Baba Amro, Hussein precisa che invece torturare non era compito suo bensì di una “brigata interrogatori”, e rivendica la sua appartenenza alla “brigata Faruk”, una delle unità più “mediatizzata” fra i gruppi armati. Secondo uno dei “superiori”, Abu Rami, la brigata di Hussein avrebbe ucciso almeno duecento “traditori” (sunniti “spioni” o “cittadini di Homs che non stavano con la rivoluzione”), dopo un brevissimo processo.
Del resto, come abbiamo già riferito, anche a un corrispondente della Bbc embedded a Homs, i “rivoluzionari” avevano mostrato via cellulare scene di decapitazioni ai danni di “miliziani del regime”.
Va detto che ogni tanto qualche breccia nell’informazione si vede. La stessa Reuters dà voce alla denuncia di Mussa Ahmed, ex redattore di Al Jazeera a Beirut, secondo il quale la tivà qatariota fabbrica le notizie sulla Siria: “I fatti sono totalmente diversi dai servizi televisivi”.
Un rapporto sulla pulizia etnica e sulle violenze dei gruppi armati a Homs e Kusayr
La madre superiora del convento di San Giacomo di Qara, Agnès-Mariam de la Croix, ha diffuso il 31 marzo il rapporto Ultime notizie da Homs e Kusayr (http://www.legrandsoir.info/dernieres-nouvelles-de-homs-et-de-kusayr.html). Già mesi fa il monastero ha divulgato una sua conta delle vittime delle bande armate (http://www.sibialiria.org/wordpress/?p=15). Scopo dell’ultimo rapporto: “far sì che l’opinione pubblica prema per la protezione della popolazione siriana, perché non si rompa il patto nazionale e si fermino le violenze interconfessionali” perché “i nobili obiettivi dell’opposizione sono stati fagocitati dall’islamismo”. Il monastero è “aperto a ricevere rifugiati e sinistrati”, per esempio i bambini di Baba Amro i cui genitori non sono ancora stati trovati. La madre superiora dà notizie gravi: una pulizia etnica in atto a danno delle minoranze ritenute filogovernative e violenze di cui lei stessa è testimone oculare da mesi.
A Homs il 90% dei cristiani sarebbero fuggiti per rifugiarsi in aree più sicure (anche il monaco italiano padre Paolo Dall’Oglio residente in Siria parla di 150mila cristiani scappati da Homs). I quartieri di Bab Sbah, Warcheh e una parte di Hamidiyeh sono svuotati e gli appartamenti invasi da bande armate che li saccheggiano e li distruggono dando poi la colpa all’esercito. Gli stessi armati avevano preso di mira i quartieri abitati dalle minoranze confessionali, con mortai, razzi e ordigni Lau israeliani. “Non è giusto dire che la popolazione civile è unicamente presa fra i due fuochi. Spesso i quartieri cristiani sono stati proprio il bersaglio di un bombardamento sistematico”.
“Quando l’esercito è entrato nel quartiere Baba Amro, i terroristi hanno radunato tutti gli ostaggi – cristiani e alauiti – in un palazzo a Khalidiyeh che poi hanno dinamitato perpetrando un massacro terribile che hanno attribuito alle forze governative”.
Nei villaggi non va meglio: “la famiglia Al Amoura, ad Al Durdak, è stata sterminata da terroristi wahabiti, 41 membri sgozzati in un giorno. E “14 membri di una famiglia alauita sono stati uccisi ad Hasibiyeh dal cosiddetto Esercito siriano libero che si ritirava da Baba Amro”.
Anche a Kusayr, non lontano da Homs, molti cristiani sono andati via e altri sono in pericolo. L’estesa famiglia cristiana dei Kasouha ha perso molti membri uccisi a sangue freddo. I quartieri cristiani sono stati bombardati da mortai (distrutta anche la chiesa di padre George Louis) e non in scontri con l’esercito ma così, gratuitamente. Sempre da bande armate “che i media internazionali cercano di presentare come valorosi resistenti mentre hanno applicato la legge della giungla, cercando di fomentare una guerra interconfessionale. Ma non ci sono riusciti: le minoranze non hanno preso le armi e hanno aspettato che arrivasse l’esercito a difenderli”. I cristiani di Kusayr affermano di aver sentito gli islamisti dire che i comitati di coordinamento locale (sempre citati come fonte credibile dai media) hanno già assegnato i beni dei cristiani alle famiglie sunnite.
In queste bande, «ci sono salafiti e wahabiti, le formazioni paramilitari degli islamisti più radicali.
Quanto alle violenze dell’esercito, il rapporto di madre Agnès afferma: «Ringraziamo tutte le istanze che da un anno chiedono all’esercito siriano, anche se spesso accusato a torto e a partire da informazioni false, di farla finita con le violenze sui civili. Ma che dire delle violenze dell’opposizione?».
A chi ritiene che l’interesse della «comunità internazionale» in Siria sia davvero umanitario perché la Siriaha poco petrolio, il giornalista investigativo Russ Baker (http://whowhatwhy.com/2012/04/02/how-war-reporting-in-syria-makes-a-larger-conflict-inevitable/) si incarica di spiegare chela Siria non solo è un alleato essenziale dell’Iran e un ostacolo a chi pianifica un indebolimento dell’influenza regionale di Tehran, ma è anche collocata in un’area cruciale che la rende un luogo ideale per basi militari, tanto più che gli americani si ritirano dall’Iraq ma occorre mantenere nell’area una presenza militare per proteggere gli investimenti.
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