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G8. Obama incorona Hollande

«La crescita è una priorità». Mentre il solo rigore fine a se stesso è un pericolo troppo grande per l’Europa e il resto dell’economia mondiale. Barack Obama e Francois Hollande, al termine della prima visita del neopresidente francese alla Casa Bianca, parlano la stessa lingua. E si presentano uniti al vertice del G8 di Camp David chiedendo «un approccio responsabile» e «un’agenda forte» che spazzi via i fantasmi di una nuova recessione globale, sostenga la ancor debole ripresa e rilanci lo sviluppo.

Questo giudizio del Corriere della  sera è talmente condiviso da tutta la stampa internazionale da fr pensare a una nota dettagliata diramata dalla Casa Bianca perché il messaggio arrivasse “forte e chiaro” alla signora rinchiusa nel Reichstag.

Stati Uniti ed Europa “tedesca” hannpo fin qui seguito vie abbastanza diverse per gestire la crisi. Gli Usa hanno speso valanghe di denaro pubblico per sostenere il proprio sistema bancario, che ha potuto così scaricare verso l’Europa le proprie “sofferenze” e cominciare a speculare sulla possibile rottura dell’euro, unica moneta al momento che contrasti l’egemonia del dollaro.

L’Europa ha speso anche molto, ma non con gli stessi risultati. Del resto è ancora un paese fatto di stati nazionali e il più solido di essi – la Germania – ha avuto tutto da guadagnare dal “rigore” imposto a tutti gli altri. Per dirne una: ha potuto rifinanziare gratis, o addirittura guadagnandoci, il proprio debito pubblico. La corsa dei capitali verso i Bund tedeschi ha avuto questo effetto, aggravando allo stesso tempo le difficoltà dei “partner” europei, misurabile in spread.

Ora però è tempo di provare una regia globale meno frammentaria, altrimenti il meccanismo si rompe per tutti. Obama “sceglie” il quasi-keynesiano Hollande per cambiare – un po’, senza esagerare – la direzione di marcia. L’enfasi sulla “crescita” ha questo significato.

Siamo curiosi di leggere cosa diranno o scriveranno i rigoristi “senza se e senza ma” (uno, Giavazzi, è persino diventato un consulente tecnico del governo tecnico) di fronte a quesat possibile “svolta”. Ma non abbiamo molti dubbi: mosuleranno la canzone che gli viene chiesto di cantare, con la stessa sicumera di prima.

Ai nostri lettori ci limitiamo a ricordare che “crescita” e “rigore” sono alternativi; non possono essere “contemperati”. O si persegue una politica di tagli di spesa pubblica, con effetti immediati sui redditi spendibili e quindi sul Pil; o all’opposto si fanno investimenti pubblici (la cui efficacia economica dipende dalla qualità delle scelte: regalare soldi in giro non è detto che promuova “crescita”), finanziando la spesa in deficit. Una bestemmia per Bundesbank e Merkel. Una necessità per chi teme che la recessione prosegua e si avviti.

 

Obama in pressing sulla Merkel
Mario Platero

CHICAGO. Dal nostro inviato
Gli Stati Uniti e la Francia sono d’accordo che la tenuta dell’euro non può essere messa in discussione e che la Grecia deve restare nella moneta unica. Un messaggio forte dunque, che porta il peso degli Stati Uniti nell’operazione in corso per tranquillizzare i mercati, per recuperare stabilità e per uscire da una spirale pessimistica che ha persino suggerito in certi ambienti politici e fra certi analisti una possibile spaccatura dell’euro: «La Grecia deve restare nell’Eurozona. Ci siamo trovati d’accordo sul fatto che tutti dobbiamo fare il possibile perché questo si verifichi – ha detto il presidente francese François Hollande in dichiarazioni successive a un lungo incontro nell’Ufficio Ovale con il presidente americano Barack Obama – e lo abbiamo fatto – ha continuato – anche per inviare un messaggio al popolo greco che si accinge a nuove elezioni».
Quello di ieri, alla vigilia del G-8 americano di Camp David, è stato il primo incontro fra due presidenti divisi da alcune differenze importanti. Sul piano economico Obama, che pure rappresenta la sinistra dello spettro politico americano, non condivide le soluzioni francesi per impostare dei programmi di crescita sostenibile. Su quello politico le differenze riguardano i tempi per un ritiro dall’Afghanistan e anche su questo Hollande ha sottolineato di aver «promesso» al popolo francese un ritiro anticipato: «La mia promessa è per un ritiro delle nostre truppe dalla operazioni di combattimento entro la fine del 2012 – ha detto Hollande parlando di fianco a Obama – detto questo troveremo altri modi per appoggiare il passaggio delle consegne al popolo afghano». Obama ha invece pianificato un ritiro dalle operazioni belliche attive entro il 2014 ed è attorno a questo obiettivo che si coagulerà qui a Chicago nel fine settimana il consenso dei Paesi membri durante il vertice della Nato.
Hollande, in tipica tradizione francese, ne ha anche approfittato per rivendicare con un certo puntiglio l’indipendenza e l’autonomia del suo Paese: «La Francia è un Paese indipendente e tiene alla sua indipendenza ma in amicizia con gli Stati Uniti. È con quella amicizia e con quell’indipendenza che potremo essere efficienti al massimo per risolvere le sfide con cui ci confrontiamo». Prima fra tutte quella economica. Se Obama e Hollande possono riportare alla luce antiche differenze economiche che sembravano sepolte per sempre nel passato, quelle fra l’amministrazione Clinton e le presidenze di sinistra in Europa di Lionel Jospin in Francia e di Massimo d’Alema in Italia negli anni 90, in questo momento sulle differenze prevale l’emergenza economica. L’obiettivo comune è quello di rilanciare la crescita (al G-8, ha detto il presidente Usa, sarà discussa «una forte agenda per la crescita»), di curare il malato europeo e di restituire stabilità ai mercati. Con una missione politica oltre che economica. Hollande vuole contenere l’intrusione tedesca nella definizione del modello europeo, ma ha anche sottolineato che la permanenza della Grecia nell’euro è un messaggio politico oltre che economico: «Ci saranno elezioni in Grecia e volevamo mandare un segnale al popolo greco». Come dire: sappiate eleggere una maggioranza stabile senza disperdere il voto. Ma il messaggio politico vale anche per Obama. Talmente importante da riguardare la sua stessa conferma alla Casa Bianca alle elezioni del 6 novembre. Obama sa bene che una destabilizzazione dell’euro può avere conseguenze devastanti per le altre economie: «La questione non riguarda solo l’Europa. Ma l’economia mondiale» ha detto. Avrebbe potuto aggiungere: l’economia americana.
Obama e Hollande dunque hanno siglato ieri un patto per l’euro e con questo patto si sono poi presentati al G-8 cercando di coinvolgere la maggioranza degli altri Paesi. Per Obama la valenza è doppia: da una parte dimostra che il possibile rallentamento Usa deriva da questioni esterne, da una crisi come quella europea. Dall’altra, si premunisce: meglio non arrivare mai al punto di doversi giustificare, meglio giocare d’anticipo e la Francia diventa un partner centrale. Obama ha cercato di aggiungere un tono leggero all’incontro ricordando che «hamburger e patatine fritte (french fries, in inglese) vanno molto d’accordo» e che chiederà a Hollande, che studiò il fast food in America «qualche consiglio per cucinarli meglio».

da Il Sole 24 Ore

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